Asta la vista amigo
Sin dal primo FMV, per intenderci quello che introduce il giocatore alla prima missione, s’intuisce la volontà da parte degli sviluppatori di raccontare pressoché gli stessi episodi dell’ultimo capitolo della trilogia, se pur aggiungendo qualche preziosa scena. Potremo, difatti, vedere come il T800 abbia ucciso John Connor e di come sia stato catturato e riprogrammato dalla moglie ed il suo team, argomenti appunto appena accennati nel film. Non passerà molto tempo comunque per impugnare il pad e poter guidare, per l’ennesima volta, il ‘terminatore’ di metallo. Questo Terminator 3: The Redemption si rivela subito come action di vecchia scuola, fatto perlopiù di combattimenti senza troppi pensieri ed inseguimenti in auto con pochi bivi e tanta adrenalina. La prime ore di gioco divertono, soprattutto per il feeling che si avverte sin dalle prime battute con un sistema di controllo bilanciato ed intuitivo, e per quell’aria sbarazzina derivata dalla distruzione di ogni cosa in movimento senza troppi pensieri. Poi cala il sipario ed iniziano i problemi.
La ripetitività delle missioni e la monotonia diventeranno ben presto il perno di un gioco che sembra sempre dover decollare, ma che non lo fa mai. La stessa difficoltà di gioco parte sin dall’inizio a livelli piuttosto elevati, anche grazie all’impossibilità di avere un qualsivoglia check point all’interno della missione, non aiuta di certo ad accrescere l’interesse diventando, a tratti, frustrante. Le parti in cui il nostro eroe cibernetico dovrà vedersela a piedi saranno perlopiù caratterizzate dall’attaccare di continuo andando allo sbaraglio, senza aver mosse con cui schivare i colpi e senza poter mai trovare un riparo per rifiatare. Potremo colpire i cyborg rivali a distanza, con l’ausilio di un’arma per mano, oppure destreggiarci in lotte corpo a corpo a suon di capocciate e cazzotti. Sarà inoltre possibile interagire con alcuni elementi del fondale, tipo cartelli stradali o mitragliatrici a terra, coi quali danneggiare maggiormente i nemici.
La ripetitività delle missioni e la monotonia diventeranno ben presto il perno di un gioco che sembra sempre dover decollare, ma che non lo fa mai.
Asta la vista amigo
Migliorano la situazione le sezioni a bordo di un veicolo, in cui, oltre a dover sparare a destra e a manca, bisognerà scappare o inseguire a seconda della missione. Carina la feature in cui i nemici, una volta investiti, da bravi terminator tutti d’un pezzo risalgono la china della vettura per tentare un’ultima, disperata, offensiva. Di poca utilità, invece, il visore ad infrarossi e la possibilità di potenziare quattro status all’interno di un apposito menù: in teoria dovrebbero aumentare le capacità del proprio alter ego, in pratica però senza riuscirci appieno. Tecnicamente questo Terminator 3: The Redemption riesce sempre a restare su livelli discreti, con un frame rate tutto sommato affidabile nonostante le frequenti situazioni caotiche. Modelli poligonali di nemici e protagonista piuttosto curati come costruzione, un po’ meno per texture. Altalenanti, invece, le ambientazioni, che spazieranno dal dettagliato allo spoglio senza troppe vie di mezzo. Qualche buon effetto particellare e di luce impreziosiscono questo titolo marchiato Atari. Sul fronte sonoro troviamo una soundtrack che viaggia in parallelo alla controparte sentita nel film, ed un doppiaggio in italiano sempre all’altezza.
Senza fare troppa fatica, visto i precedenti, questo Terminator 3: The Redemption si pone all’utenza come miglior titolo dedicato al cyborg holliwoodiano. Purtroppo è affetto da non pochi difetti concettuali e di realizzazione, ma va anche detto che per qualche ora è in grado di divertire senza dover attivare la materia grigia. Consigliato perlopiù ai fan della saga e a chi ha voglia di qualche partita senza troppi pensieri. Per chi non fa parte di queste categorie un giro di prova prima dell’acquisto è altamente consigliato.
- Pro:
- Inizialmente diverte.
- Tecnicamente all’altezza.
- Sistema di controlli azzeccato.
- Contro:
- Alla lunga ripetitivo.
- A tratti frustrante.
- Azione ancorata a concetti di gioco piuttosto vetusti.
Il cinema degli anni ottanta. Con una lacrima a bagnare il viso si potrebbe quasi dire: “Che bei tempi.” Erano i tempi degli uomini muscolosi dalla frase ad effetto sempre in canna, i tempi in cui ci si sorprendeva spesso e volentieri, i tempi, manco a dirlo, dei dualismi importanti. Era proprio l’epoca in cui le platee di fan si dividevano fra sostenitori di Stallone e Schwarzenegger. Roba da rissa, mica bruscoline. Nel mentre uno sbancava i botteghini con l’ennesimo Rocky o Rambo del caso, l’altro si rimboccava le maniche per dargli filo da torcere il più possibile. L’apice del successo Schwarzy lo ottenne impersonando il leggendario cyborg dall’elevata IA e, almeno nel primo episodio, dalla incessante e brutale attitudine a distruggere ed uccidere. Parliamo di Terminator e, più nello specifico, di una saga entrata nella storia con i primi due episodi, e per concept originale, e per effetti speciali che in quegli anni erano all’avanguardia. Col terzo, e finora ultimo, recente episodio, la saga è andata ineluttabilmente scemando, dimostrando come spesso non basta il nome per fare un film di culto. Stessa cosa dicasi per i tie in dedicati a questa produzione di celluloide, che finora non si sono mai dimostrati all’altezza sconfinando fra una bruttura e l’altra. Atari, dopo l’ennesima delusione avuta con la licenza ufficiale di The Rise of The Machine, ha deciso di riprovarci nuovamente con Terminator 3: The Redemption.