L’evoluzione del picchiaduro
Nella Primavera del 1996, Sega introduce Model 3, la prima scheda da sala giochi dalla potenza di 1.000.000 di poligoni al secondo, dalla risoluzione e livello di dettaglio mai visti prima; chi scrive queste righe non potrà mai scordare l’impatto spaccamascella del filmato (accluso recentemente in Virtua Fighter 3 Tb per Dreamcast) usato da Am2 per presentare Virtua Fighter 3, primo gioco nato sulla terza scheda Model di Lockeed Martin, capace di rappresentare personaggi e fondali quasi indistinguibili da un filmato in full motion video d’alta qualità: i vestiti che si lasciavano traspostare dal vento e dal movimento dei fighter, la sabbia del deserto e del mare che si spostava al vostro passaggio, Dural(storico boss finale di ogni episodio) resa in maniera tale da ricordare il T1000 del film di James Cameron Terminator 2: Judgment Day, erano tutte features assolutamente impensabili anche sino a qualche mese a posteriori. Virtua Fighter 3, sin dalla sua uscita nell’Agosto ’96, fu un immediato blockbuster: al roster di 11 lottatori si aggiungono la dolce Aoi e il lottatore di sumo Taka, viene aggiunto un tasto deputato al movimento laterale, visto che per la prima volta il ring di gioco non era posizionato interamente sullo stesso livello come nei prequel o in Tekken (la saga di beatem’up targata Namco). A seguito dell’enorme successo ottenuto, Am2 pubblicò una versione dedicata allo scontro a squadre (a là King Of Fighters di Snk, per intenderci) di Virtua Fighter 3, dal suffisso Team Battle, modificando leggermente la palette di colori dei fondali e, soprattutto, il livello di danno ottenibile dalle mosse di alcuni personaggi.
L’evoluzione del picchiaduro
Come già successo in passato, dopo alcuni anni e con l’introduzione di una nuova scheda da bar (in questo caso la potentissima Naomi 2), Am2 cala il sipario su quello che era prima conosciuto come Project X, presentando nella Primavera del 2001 il quarto episodio della saga di Virtua Fighter, caratterizzato da una qualità cosmetica semplicemente devastante, da un paio di personaggi extra alquanto atipici (e l’esclusione di Taka, un vero bidone di character) ed una struttura di gioco che fa l’occhiolino a quella del secondo episodio della saga. Con tutti i guai finanziari occorsi negli ultimi anni, Sega ha però cambiato faccia e da hardware house e fornitrice di giochi per le sue console, adesso è una software house multipiattaforma, pronta a riguadagnare tutta la fama che merita e che da anni le vien negata. Virtua Fighter 4 è il primo gioco pensato direttamente per una conversione su Playstation 2, tra l’altro esclusiva, sarà riuscito Yu Suzuki a convertire perfettamente il quarto episodio della saga che ha lanciato di fatto la moda dei picchiaduro tridimensionali? Dopotutto, per quanto Playstation 2 sia potentissima, Naomi 2 possiede un hardware decisamente più performante e Yu Suzuki è al suo primo lavoro di conversione sul 128 bit nero Sony.
Chi ben conosce la saga di Virtua Fighter sa che le conversioni casalinghe siano state tutte abbastanza buone ma non perfette: Virtua Fighter per Saturn (lanciato con la console) perdeva tantissimi poligoni mentre Toshinden per Playstation ridicolizzava qualsiasi gioco si sia mai visto in ambiente domestico, con Am2 leggermente colpevole di una programmazione affrettata che poi ha portato alla creazione di Virtua Fighter remix, lanciato gratuitamente (nel solo Giappone, in America era in bundle con la console). Un anno dopo fu la volta del sequel ma grazie al nuovo sistema operativo, sviluppato direttamente da Am2, gli utenti Saturn potettero godere di una conversione praticamente perfetta del meraviglioso Virtua Fighter 2. Accantonato Saturn e lanciato Dreamcast, nel first day fece la sua comparsa la conversione (ad opera di Genki e non, purtroppo, di Am2) di Virtua Fighter 3 Tb, molto vicino al coin-op originale ma non identico nonostante il 128 bit Sega fosse decisamente superiore ad una Model 3.
E’ il momento di analizzare, dopo un’introduzione tanto lunga quanto doverosa, Virtua Fighter 4, esclusiva Playstation 2, primo gioco Am2 per il 128 bit Sony.
Virtua Fighter, fourth installment
Virtua Fighter ebbe i natali come picchiaduro dalla grafica sì 3d, ma dal concept 2d: i combattenti si trovavano costantemente l’uno di fronte all’altro, senza potersi spostare sull’altro asse, portando come unica (mica bruscolini, comunque) innovazione la nuova concezione del picchiaduro, visto come estremamente realistico; niente più donnine succinte che volano a testa in giù con gambe usate a mò di pale d’elicottero, basta ai biondini yankee che scatenano colonne di fuoco urtando il pugno a terra, stop agli hadouken.
Yu Suzuki ha partorito una meccanica di gioco basata sulla verosomiglianza alla realtà, puntando alla rappresentazione fedele di stili di lotta realmente esistenti come Jeet Kune Do (Jacky e Sarah), Hakkioukoken (Akira), Wrestling (Wolf) e via dicendo.
Virtua Fighter 2, oltre alla summenzionata notevole grafica dovuta alla potente Model 2, introdusse lo stile di combattimento dell’ubriaco (Shun Di) e della Mantide Religiosa (Lion Rafale), bilanciando la forza dei vari fighters e diversificando personaggi come Lau e Pai, Jacky e Sarah, un miccino troppo simili fra loro nel capostipite.
Virtua Fighter, fourth installment
Con Virtua Fighter 3 assistiamo ad un drastico cambiamento: oltre alle arene delimitate da un ring come negli episodi precedenti, il dislivello di alcuni fondali, la presenza di neve, sabbia, scale, etc, introduce tutta una nuova serie di variabili da tenere debitamente conto in combattimento. Ancora, Vf3 (e l’update Team Battle) aggiunge un quarto tasto funzione (oltre a parata, pugno e calcio, tutti concatenabili per ottenere centinaia di mosse extra) per gli spostamenti laterali, rendendo Vf3 il primo picchiaduro realmente 3d nel settore coin-op.
Virtua Fighter, fourth installment
Con il quarto episodio della serie, Yu Suzuki aggiusta un miccino il tiro, strizza l’occhiolino al secondo episodio della saga, elimina il tasto “evade”, fa sparire tutte le arzigolature che nel prequel inficiavano il combattimento, mantiene i classici bordi al limite degli stages che causano il ring out (e conseguente sconfitta di chi ci cade) e ripesca da Fighting Vipers mura e recinzioni d’abbattere spedendoci su ripetutamente il proprio avversario. La levetta direzionale è ora in grado di spostare il vostro alter ego virtuale in lungo e largo per i livelli di gioco (alterando minimamente il modo di saltare), aumentando ulteriormente la tridimensionalità, introdotta dall’illustre prequel. I 13 combattenti disponibili, a differenza dei vari Tekken (permeati da mosse assurde, personaggi improbabili comeYoshimitsu, Ogre e Mokujin nonchè svariati colpi comuni ad alcuni personaggi), possiedono stili di combattimento parecchio differenti l’un dall’altro, mentre le accoppiate Jacky/Sarah e Lau/Pai hanno beneficiato di nuove mosse o modifiche a quelle già conosciute per differirli ancor più; per intenderci, Pai è sempre velocissima e con la possibilità di contrattaccare i colpi nemici, Lau è ancora più temibile grazie a nuove combo devastanti, nonostante sia (again) discretamente più lento della figlia.
I nuovi arrivati Lei Fei e Vanessa possiedono stili di combattimento inediti nella saga che si sposano perfettamente con quelli dei vari Akira, Aoi, Lion, già di per sé estremamente differenziati.
La giocabilità di Virtua Fighter è rimasta a grandi linee la stessa: una volta fatta l’abitudine al sistema di controllo (ed in primis alla poco user friendly parata tramite tasto), è possibile effettuare le centinaia di combo, prese e counter di ciascun personaggio, concatenando i tasti d’attacco o con la pressione simultanea degli stessi; come di consueto alcuni personaggi (Akira, Lei) sono estremamente difficili da utilizzare, al contrario di altri parecchio immediati (Sarah, Pai) ma, in ogni caso, il picchiaduro di Yu Suzuki ha una curva d’apprendimento estremamente ripida: volendo fare un paragone sensato, provate ad immaginare Virtua Fighter come Winning Eleven/Pro Evolution Soccer, all’inizio estremamente difficile ma poco a poco, dopo tantissima pratica, tantissime disfatte e un sacco di umiliazioni, potrete dire di avere di fronte ai vostri occhi un vero capolavoro, che dà grandissime soddisfazioni a patto di passare parecchie ore con esso.
Virtua Fighter, fourth installment
Per fare un esempio, il sottoscritto per imparare ad usare a livelli più che discreti Akira (da sempre il lottatore più complesso da utilizzare che esista in un qualsiasi beatem’up) ha letteralmente consumato le sue dita per imparare a contrattaccare con assoluto tempismo ed utilizzare ottimamente, senza essere sbattuti a terra, le prese più devastanti e le combinazioni di mosse che in un primo momento alzano il nemico in aria per poi lasciarlo vulnerabile ad un secondo ed, addirittura, terzo attacco, visto che Akira Yuki è l’unico fighter a non possedere combo di tipo pugno-pugno-calcio (et similia) come quasi tutti i suoi colleghi.
Con questo non vogliamo dire che un neofita non si troverà a suo agio con questa conversione da coin-op: con un livello di difficoltà inferiore a quello di default, usando personaggi relativamente semplici da utilizzare, è possibile arrivare già dopo un paio di partite al cospetto di Dural, sempreverde boss finale della saga, dopo aver familiarizzato quel minimo indispensabile con i tasti e le debolezze di ogni avversario.
Grafica
Come detto nell’introduzione di questa recensione, Virtua Fighter 4 è forse il coin-op graficamente più impressionante che si sia mai visto grazie alla potenza della nuova scheda da sala giochi Naomi 2.
Yu Suzuki ci ha provato, ha fatto del suo meglio e, tenendo conto dei pochi mesi a disposizione per la conversione e l’aggiunta di extra esclusivi per la console Sony (ed inesperienza di lavoro su Playstation 2), direi che non possiamo davvero lamentarci del risultato finale. Il numero di poligoni utlizzato per i personaggi è a dir poco enorme, i corpi sono modellati magnificamente, i visi presentano textures che urlano al fotorealismo (i muscoli sembrano veri!), gli occhi sono realizzati magnificamente, gli indumenti si piegano, svolazzano in accordo con i movimenti, i colpi vengono parati, schivati, evitati con una fluidità delle animazioni mai vista prima, pugni e calci vengono eseguiti con un realismo che lascia quasi inebetiti, le prese vengono sottolineate da cambi di inquadratura efficacissimi, le foglie svolazzano mentre vi picchiate nel livello del ninja Kagemaru, il lussureggiante tempio dove combatterete contro Lei Fei è sorvolato da uno stormo di uccelli mentre le mattonelle sono sottoposte a deflagrazione in caso qualche fighter ci finisca sopra, i ring che delimitano l’area di gioco diventano immediatamente trasparenti in caso la telecamera cambi la sua inquadratura e via dicendo.
Grafica
Sebbene i personaggi non siano molto inferiori in quanto a realizzazione tecnica dal coin-op originale, nei fondali qualche compromesso fa inevitabilmente capolino: la sabbia spostata nel livello di Jeffry è minore, alcuni effetti di luce sono stati attenuati o eliminati, le rifrazioni nel livello di Lau sono state eliminate, minore è anche la neve che si sposta al vostro passaggio nel livello di Lion Rafale mentre lo stage della nuova entrata Vanessa appare decisamente più “castigato” di quello visto in sala giochi, così come quello del protagonista Akira, il dojo.
Il difetto principale della grafica di Virtua Fighter 4 (home version) è però legato all’abbondante presenza di aliasing che deteriora notevolmente il look del prodotto in esame. Come se questo non bastasse, alcuni flickerii talvolta fanno capolino ricordando il pessimo impatto grafico avuto con Ridge Racer V, primo gioco per Playstation 2 e quindi poco ottimizzato per l’Emotion Engine sviluppato da Ken Kutaragi.
Graficamente, quindi, il titolo sarebbe stato eccellente nonostante le vistose differenze dal coin-op da cui è tratto, ma per colpa dei soli sei/sette mesi di tempo destinati alla conversione e la successiva aggiunta di nuove modalità di gioco (nonostante la totale inesperienza sull’hardware a 128 bit di Sony), Am2 ha compiuto, a nostro avviso, un vero e proprio miracolo, confezionando un gran numero di poligoni, rivestiti da moltissime textures, offuscate però da una definizione non all’altezza della situazione e dell’hardware ivi usato. La fluidità però è perfetta, ed ancorata ai canonici 60 fps.
Sonoro
La saga di Virtua Fighter non ha mai annoverato musiche degne di essere ascritte nella bibbia delle original soundtrack, ciònondimeno non sono poche le bgm che resistono all’ingiuria nel tempo (il livello di Aoi in Vf3, quelli di Akira e Wolf in Vf2, etc). Anche in Virtua Fighter 4 abbiamo composizioni di discreta fattura (stage di Lau), altre esaltanti (Vanessa), new age (Akira, Lion), rock (Jacky) e via dicendo; come alcune di queste sono composte da gente che davvero sa il fatto suo, è altresì vero che alcune musiche sono di qualità tutto sommato trascurabile.
Sonoro
Gli effetti sonori sono gli stessi identici già sentiti nei prequel, soltanto con una pulizia del suono (ovviamente) maggiore rispetto alle release per Saturn e Dreamcast; come per le musiche, anche qui alcuni effetti sonori sono azzeccatissimi (la presa di Akira che scaraventa l’avversario in avanti mediante spallata, ad esempio), mentre altri sembrano usciti da un film d’azione (i calci di Jacky ottenibili con la pressione simultanea dei tasti adibiti a Kick e Guard).
Il doppiatori sono, again, gli stessi dei precedenti capitoli, quindi azzecatissimi. Segnaliamo la stupenda voce di Pai, la voce da gran figo di Akira (ma anche di Jacky) e lo spassosissimo doppiatore del maestro Shun Di. Plausi anche per i doppiatori di Vanessa e Lei Fei, i nuovi personaggi.
Extra
Oltre alla modalità Arcade ed al classico Versus Mode (assente inspiegabilmente nella release giapponese di Virtua Fighter 3 TB per Dreamcast), Am2 ha inserito il miglior training mode che memoria d’uomo ricordi (lo stesso di Fighter’s Megamix su Saturn, sempre del team capitanato da Yu Suzuki), la modalità Kumite (100 incontri da sostenere tutti d’un fiato ma…con qualche sorpresina da sbloccare che non vi sveliamo ^_^) e, infine, la modalità A.I. dove potrete personalizzare uno dei combattenti per evolverlo secondo il vostro stile di combattimento, mediante scontro dopo scontro.
Pal version
Quante volte siamo rimasti scottati vedendo giochi in versione pal lentissimi o con bordi sopra e sotto lo schermo a dir poco mastodontici? Beh, Sega non ci ha deluso confezionando una conversione per il mercato europeo ad hoc. Innanzitutto è presente la scelta fra i 50 ed i 60hz (e già qua…), inoltre ci sono i sottotitoli in italiano per le modalità di gioco e le opzioni che aiuteranno i meno anglofoni.
Pal version
Per tutti coloro che speravano nell’inserimento dell’algoritmo più desiderato dai playstationiani, ovvero l’anti aliasing ci duole constatare come questo sia assente ma la feature principale, la velocità di gioco e la grandezza dello schermo come Yu Suzuki ha magicamente orchestrato, sono passati indenni nel processo di conversione.
Conclusioni
Un capolavoro assoluto, ma non per tutti, purtroppo. Virtua Fighter 4 è una convincente conversione del fantastico coin-op, sicuramente non identica, ma non per questo pessima: i poligoni mandati a video sono tantissimi, le textures sono di qualità tutto sommato iù che convincente, i sessanta fotogrammi al secondo non cedono al peso della neve che si sposta, agli uccelli che si librano in volo, al pubblico che si dimena. Il comparto sonoro è ben curato, sebbene non raggiunga livelli d’eccellenza. La giocabilità, croce (per alcuni) e delizia(per altri) della saga, non è sicuramente delle più immediate, soprattutto se volete giocare sin da subito ad alti livelli, cercando di effettuare le mosse più micidiali. Soltanto con tante ore di gioco sul groppone, potrete considerarvi dei veri e propri maestri del gioco.
L’evoluzione del picchiaduro
Sega si è rivelata, sin dai primi anni ’80, una fantastica software house, capace con meravigliosi prodotti videoludici, creati dai suoi talentuosi team di sviluppo, di attrarre un vero e proprio stuolo di appassionti videogiocatori. Chi di noi non ricorda con affetto le prime partite a capolavori immensi come Out Run ed Hang On, dotati, tra l’altro, di cabinati che aiutavano ulteriormente l’utente ad immergersi nell’esperienza videoludica? Chi mai non si è esaltato ad impersonare il protagonista della saga di space Harrier, blastando quanti più nemici possibili alla velocità rizzacapelli generata dalla motherboard Sega System 32?
Quel che pochi non sanno è che tutti i games sinora menzionati sono frutto della fervida immaginazione e (soprattutto) del talento di Yu Suzuki (approdato in SErvice GAmes nel lontano 1983), leader del team di r&s Am2, l’unico team di sviluppo che nel corso degli anni non ha cambiato il proprio nome come i propri colleghi/avversari in Sega (Sega Rosso, Am Annex, Smile Bit sono solo alcuni di questi). Ad Am2 vanno attribuiti diversi meriti, tra i quali quello di aver letteralmente fatto la storia dei coin-op dalla seconda metà degli anni ’80 con i giochi basati su System 32 (Hang On, Out Run, After Burner, Super Hang On e via dicendo) e poi negli anni ’90 con la fortunata serie di schede da bar della Lockeed Martin chiamate Model. Model 1 fu utilizzata da Yu Suzuki ed il suo team per dar vita a Virtua Racing, il primo indimenticabile racing game poligonale a spopolare nelle sale giochi (nonostante fosse Hard Drivin di Tengen il vero pioniere), seguito a ruota dal primo picchiaduro con grafica tridimensionale della storia, ovvero il celebre Virtua Fighter (Autunno 1993). Yu Sukuzi non ha mai nascosto come il gioco con protagonisti Akira, Jacky, Lau e compagnia bella sia stato il primo vero progetto che avrebbe dovuto vedere la luce sull’allora innovativa scheda di Lockeed Martin, preceduto (col senno di poi) da un Virtua Racing praticamente immancabile in una qualsiasi sala giochi degna di questo nome. I 5000 poligoni al secondo, abbinati ad una fludità (allora praticamente perfetta) di trenta fotogrammi al secondo, lasciavano letteralmente senza fiato e in molti passavano il proprio tempo guardando la gente picchiarsi allegramente a Virtua Fighter, solo per contemplare la spettacolarità grafica, stupirsi di come la tecnologia ed, in primis, il genere dei beatem’up one on one (troppo avulso di cloni più o meno buoni del mitico Street Fighter 2) si stava evolvendo. Dopotutto non era possibile trovare un picchiaduro, a quei tempi, senza palle di fuoco, calci fulminanti e via dicendo, l’esatto contrario della filosofia di Virtua Fighter, ovvero l’assoluta verosimiglianza con la realtà. Un paio di anni dopo è sempre Am2 a guidare il progresso tecnologico rilasciando Daytona Usa e Virtua Fighter 2 sulla neonata Model 2 (la stessa scheda del primo Sega Rally di Tetsuya Mizuguchi, leader di Am Annex, prima Am3): la potenza di 300.000 poligoni al secondo, la possibilità di usare textures di un dettaglio per i tempi impensabile, la fluidità (ancor’oggi) perfetta settata a 60 fotogrammi al secondo, assicurava a questi giochi un quantum leap incredibilmente ampio nei confronti dei giochi basati su Model 1. Il confronto fra la grafica di Virtua Fighter 1 ed il sequel era decisamente impietoso, forse ancora superiore di quello fra il primo Tekken per PSone e Tekken Tag per Playstation 2, con personaggi mastodontici, un numero di poligoni elevatissimo e textures tanto splendide quanto diversificate. L’aggiunta di 2 personaggi dallo stile di combattimento decisamente diverso da quello degli otto combattenti preesistenti, la possibilità di contrattaccare i colpi dei nemici (feature elevata al cubo dalla trilogia di Dead Or Alive), unita ad una grafica impressionante e ad un ottimo reparto sonoro, fece di Virtua Fighter 2 una vera e propria religione, tanto che qualsiasi arcade center nipponico ne possedeva almeno 2-3 cabinati, vista la moltitudine di fan del capolavoro di Yu Sukuzi.