Il grande gap di genere nell'industria dei videogiochi è un tema che ciclicamente viene affrontato con maggior insistenza negli ultimi anni, viste anche le tendenze estreme delle varie correnti di pensiero coinvolte. Analizzare dati e raccogliere informazioni però è solo una parte della soluzione perché andrebbe successivamente capito che cosa frena una donna dal partecipare attivamente nell'industria. La risposta forse è sotto il nostro naso e la colpa non è né dei videogiochi né tanto meno degli uomini.
Politica e non videogiochi
Partiamo con il dire che il problema del divario di genere, ovvero quella tendenza che vede una minor partecipazione delle donne a livello professionale, non riguarda esclusivamente i videogiochi ma più in generale il settore di tecnologia e informatica. In un'intervista a Business Insider dello scorso settembre Melinda Gates, moglie di quel Bill che anche i sassi conoscono, ha fornito dati significativi sul coinvolgimento femminile nel settore informatico: nel 1984 le donne iscritte alla facoltà di medicina presso la Duke erano il 28% contro il 48% attuale, mentre quelle iscritte ad informatica (indirizzo che lei stessa ha frequentato proprio presso la Duke) erano ben il 37% contro l'attuale 18%. Una bella differenza se si pensa che anche la medicina era uno di quegli ambiti, come oggi la tecnologia, dominati quasi esclusivamente da uomini e dove le donne di conseguenza potevano ambire al massimo al ruolo di infermiera. Una diminuzione confermata anche dai dati del 2014 dell' International Game Developers Association che affermano sì che la forza lavoro femminile nell'industria è raddoppiata in meno di dieci anni, raggiungendo però un esiguo 22% e dove a livello di mansioni specifiche le donne non primeggiano mai, ci sono quindi più scrittori (70 a 30), più artisti (89 a 11) e più programmatori (95 a 5) uomini.
Il problema della diversità nell'industria si riflette al di là del genere, si potrebbe fare un discorso parallelo anche per etnie, e qui si può guardare la questione in due modi diversi: è più importante aumentare queste percentuali, e quindi avere più donne nell'industria, o è prioritario far si che coloro già inserite siano trattate con pari diritti e dignità? Stando ad un sondaggio fatto lo scorso aprile da GamesIndustry.biz le differenze di salario tra uomini e donne esistono e le discrepanze, a parità di ruolo tra uomo e donna, ammonterebbero a circa 7000£ in meno annue nelle buste paga femminili; va detto che questa sostanziale differenza emerge sul fronte publisher mentre gli stipendi di sviluppatori uomini e donne sono discretamente allineati. Le discrepanze tra questi due volti dell'industria si notano anche per la lunghezza dei contratti dove molto raramente (nell'1.3% dei casi) uno sviluppatore ricopre lo stesso ruolo per più di 11 anni, mentre ruoli manageriali possono essere portati avanti dalla stessa persona per svariato tempo. Tornando sulla questione femminile, il problema a nostro modo di vedere non è infoltire il gruppo di donne attive nel settore, giusto per rispettare quelle percentuali politicamente corrette che le aziende amano tanto mostrare per far sapere al mondo che "io assumo donne", ma è garantire un trattamento paritario a chi già lavora nel settore. Qui l'ostacolo da valicare però è quasi insormontabile perché ricade direttamente nelle politiche del lavoro e che quindi trascendono la mera questione videoludica, problemi di non facile soluzione specialmente se in ballo ci sono interessi economici. Da quanti anni si parla della Tassa Rosa senza aver ancora trovato un punto di accordo? Badate bene, le discriminazione di genere sul posto di lavoro penalizzano le donne tanto quanto gli uomini, ad esempio: perché è socialmente accettabile che alla donna venga garantito un congedo per maternità e ad un uomo non sia garantito il corrispettivo per paternità? Tralasciando le ovvie ragioni, non ha senso che un uomo abbia possibilità limitate in merito ad un congedo parentale retribuito... i padri amano meno intensamente i propri figli? Rispettare nel 2017 l'etichetta de "l'uomo lavora e la donna accudisce i figli" è una discriminazione di genere bella e buona e vittimizza entrambi i genitori, non solo le donne.
Mancati punti d'incontro
Lasciando quindi agli organi preposti il compito di legiferare riguardo alle politiche del lavoro nella speranza di vedere più parità (reale) per tutti, il gap di genere nell'industria rimane oggi una problematica scomoda e che soprattutto negli ultimi anni ha perso in buona parte quei propositi giusti della causa diventando un perfetto strumento di manipolazione mediatica e trasformando così le vere ideologie femministe in un fenomeno di costume. Purtroppo diventa sempre più difficile scindere certi eventi e personalità dalla parola femminismo e questo l'E3 2017 ce l'ha ricordato nel peggiore dei modi. The Last Night è stato sicuramente il progetto indie più promettente visto in fiera, eppure c'è stato chi non aspettava altro che gettare fango sul leader del progetto Tim Soret. In quello che doveva essere il momento del gioco, un momento nel quale lo sviluppatore e il suo team potevano condividere con il mondo il loro impegno ed emozione, su Twitter venivano tirati fuori gli scheletri dello sviluppatore che nel 2014 avrebbe manifestato una mancanza di sostegno nei confronti delle vicende Gamer Gate.
Nell'economia del discorso non ci sembra proficuo prendere le difese né dell'una né dell'altra parte ma è interessante analizzare come le battaglie per i diritti delle donne troppo spesso si tramutino in qualcosa di diverso, abbracciando la cultura della gogna pubblica che tanto piace. Concedendo il beneficio del dubbio sia Soret, del quale non conosciamo i pensieri più intimi, che ai suoi detrattori che immaginiamo abbiano agito in "buona fede", la domanda da farsi è perché. Cos'ha portato la querelle nata su Twitter nei giorni scorsi se non un ondata di sdegno e umiliazione da ambo le parti? Mentre nella comunità dei giocatori il numero delle giocatrici cresce e progressivamente con esso anche la loro integrazione, nel mondo dell'industria questo fatica ad accadere perché manca un piano di conversazione neutro, un tavolo comune di dialogo di cui tutti hanno disperatamente bisogno. E il problema non si risolverà cambiando i modelli poligonali delle protagoniste femminili né forzando le quote rose per raggiungere quella soglia politicamente corretta perché anche in questo caso sarebbe parecchio discriminatorio, stavolta nei confronti dei maschietti. C'è solo bisogno di chiarezza e dialogo, una conversazione che però non può essere stabilita se ognuno rimane arroccato sulle sue posizioni, più o meno estreme che siano. Per richiamare alla memoria un'immagine felice che possa ben rendere l'idea... vi ricordate quando da bambini si faceva l'intervallo a scuola? Un momento in cui ci scambiavamo giocattoli e bocconi di merenda con amici e amiche e condividevamo con loro quei momenti di libertà giocando tutti insieme; e i videogiochi hanno la forza di legare le persona in un grande momento di condivisione libero da pregiudizi. Certo, bisogna volerlo.