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The Nintendo Incident

Nintendo ha scelto di monetizzare sui contenuti video dell'utenza YouTube, ponendosi al centro di un vortice di critiche. Tutte giuste?

SPECIALE di Marco Perri   —   19/05/2013

È la dura legge del copyright. In tanti tribunali del globo sono i casi legati ai diritti d'autore a riempire l'agenda quotidiana. Quella collegata a legali e avvocati è una branca aziendale a sé stante, ormai resa necessaria dall'insieme di cavilli e similitudini estetiche e tecnologiche ai quali potenzialmente appellarsi. Apple e Samsung la sanno lunga a riguardo, impegnati da anni a sfidarsi letteralmente su tutto. Le cause di codice informatico sono dominio di Oracle e Google, che impegnano le corti con righe di Java e segmenti di programmazione al centro del dibattito. La fotografia non è da meno. Basti citare il famoso poster artistico creato da Shephard Farey in occasione della corsa presidenziale di Obama nel 2008, basato su foto di Manny Garcia. Il saggio freelance sbucò dal nulla un anno dopo, a poster approvato dai Democratici e divenuto un simbolo, per reclamare la sua parte di introiti. Il verdetto? A metà strada, con i proventi divisi tra i due. Casi per centinaia, migliaia, milioni. A volte anche miliardi, in contanti. La protagonista di questa storia, in verità, è parecchio distante dai consueti canoni di avvoltoio finanziario.

L'edificio Nintendo a Kyoto

Nintendo è molto raramente passata alla storia per casi di infrazione di copyright/brevetto. Perdendo, come nel recente caso di risarcimento milionario dovuto a Seijiro Tomita, dipendente Sony Corp, per l'utilizzo di diagrammi proprietari legati all'asimmetria del 3D senza occhiali. Vincendo, come nella causa contro l'azienda americana Motiva legata all'architettura del Wiimote, vinta da Kyoto nel 2011 e vinta nuovamente in appello pochi giorni fa. Si vince, si perde, la cassa si svuota e si riempie. Tutto scorre su un differente piano d'esistenza, che viaggiando in parallelo non intacca il profilo qualitativo dei prodotti delle compagnie ma alimenta il gossip e le chiacchiere da bar del nuovo millennio, creando improvvisati tifosi e faziosi supporters. Nella vicenda che andremo a narrare, però, ciò che accende il dibattito è il constatare che il colosso di Kyoto se l'è presa, per pochi spiccioli, con qualcuno di infinitamente più piccolo e indifeso. Ma chi è Davide e chi Golia?

Scott Zack vs the World

In realtà, il protagonista della vicenda si chiama Zack Scott, ma è stato difficile resistere al parallelismo con la geniale opera visual-pop di O'Malley (Scott Pilgrim vs the World, per l'appunto). Stavolta non ci sono donne da conquistare, ma solo un principio sul quale discutere. Zack Scott nasce in Oklahoma, nel 1981. In tenera età si appassiona ai videogiochi e la sua intraprendenza lo porta, grazie al variegato supporto tecnologico, a diventare uno youtuber famoso in madrepatria. Tra le rubriche a consacrarlo interessa quella connessa al sempre più diffuso fenomeno chiamato "Let's Play", nel quale il talentuoso americano, come tanti suoi colleghi longplayer (LP è l'acronimo), propone su YouTube dettagliati walktrough (soluzioni) di giochi, talvolta legati a titoli Nintendo.

The Nintendo Incident

Il canale di Scott è ad oggi molto seguito ed alcuni suoi video superano abbondantemente il milione di visualizzazioni uniche. Seguaci interessati, utenti occasionali o casual completi, poco importa ai fini del conteggio. In questo modo Zack Scott, siglando nel Maggio del 2008 un accordo di partnership, ha beneficiato del costante incremento delle visite grazie alla pubblicità che YouTube inserisce nei video dei partners. È un meccanismo oliato e funzionale, che elargisce secondo algoritmi di impressioni e click una somma derivativa al depositario del video. Cifre piccole, ma importanti per la sussistenza del canale. Tecnicamente, è il sistema ideale per chi producendo materiale sulle proprie passioni si ripaga delle spese grazie al traffico generato. In tutto questo sistema teoricamente perfetto c'è però un inghippo, si chiama Content ID Match, e Nintendo, da poco partner di YouTube, ha improvvisamente deciso di sfruttarlo, apparentemente per proprio tornaconto.

Super Match Bros.

È necessaria un po' di chiarezza sul Content ID Match e sul perché Nintendo si sia gettata solamente ora sui longplayer. Iniziamo dalla definizione della clausola, oscura ai più ma fondamentale per far luce sull'episodio. YouTube, come molti avranno già avuto modo di notare cercando particolari video musicali e trovandoli bloccati o rimossi per infrazione di copyright, dispone nell'ombra di un proprio motore di identificazione di contenuti. Tale automatismo esamina e confronta i video pubblicati dagli utenti con un database interno, formato da file ricevuti dai legittimi proprietari dei soggetti originali, depositati ufficialmente su YouTube e quindi coperti da copyright. Questo fattore non è però determinante, in quanto è possibile utilizzare materiale coperto da copyright se si accettano regole di buonsenso legate in particolare alla non profittabilità e ad un utilizzo parziale del bene potenzialmente contestabile.

The Nintendo Incident

Bisogna chiarire anche che l'infrazione di copyright non implica forzatamente l'eliminazione, ma è libera scelta del detentore approvarne la continuazione o prendere provvedimenti più o meno seri. La tollerenza zero implica il Copyright Strike, ben più pesante, ma ci teniamo l'approfondimento per la prossima polemica. Tornando alla clausola protagonista, nel momento in cui il match trova effettivamente anomalie di corrispondenza, il proprietario del contenuto ha tre norme di azione tra le quali scegliere: monetizzare, ovvero rigirare il flusso di cassa della pubblicità presente su video interamente nelle proprie casse, a scapito dello youtuber, esattamente il caso di Scott; bloccare, che come la parola suggerisce termina la visualizzazione del video o disattiva l'audio; tracciare, la più debole delle norme, che lascia inalterato il video ma fornisce i dati di accesso al detentore del copyright contestato dal match. La bufera mediatica è nata dalla recentissima scelta di Nintendo di monetizzare sui video di Scott, bloccando al ragazzo l'incasso dai banner pubblicitari e intascando di diritto la somma che sarebbe andata al longplayer. La scelta di Kyoto ha apparentemente del paradossale, in quanto agisce su quelli che per una multinazionale possono essere considerati pochi spiccioli, utili per finanziare gli uploads di un appassionato ma insignificanti per Nintendo. Le motivazioni sono senza dubbio più profonde, ma Scott come l'ha presa?

Replica alla replica

Il povero Zack, a fronte della fredda notifica ricevuta da YouTube, non ha atteso molto per contestare la decisione via social, rimbalzata nella rete grazie ad un accanito proselitismo di fans, sviluppatori indipendenti, bloggers ed ovviamente la comunità dei longplayer già affermati. Un tam-tam che in poche ore ha colpito in pieno la grande N, costretta a placare i bollenti spiriti con un comunicato stampa. Un po' deboluccio, purtroppo, con un lievissimo effetto mitigatore, spentosi di lì a breve. Il paradosso morale è relativo al fatto che Nintendo, legalmente parlando, è completamente dalla parte della ragione.

The Nintendo Incident

Zack Scott, nel suo trasmettere per una lunghezza decisamente sostenuta il videogioco, ha apertamente violato il copyright legato a Nintendo, che dal momento in cui a Febbraio 2013 ha depositato i propri diritti d'autore a YouTube è diventata perfettamente legalizzata nell'utilizzare il Content ID Match. Ciò che pochi sanno è che la casa di Kyoto, secondo un piano internamente definito, non si è fermata a Scott ma ha esteso la propria mano a molti altri canali video, anche importanti, come Machinima o TheGameStation. Parlando di una multinazionale con esperti in ogni angolo, è ovvio che ci sia una strategia precisa a guidare l'esplosione di Content ID Match da parte di Nintendo. Viene però da chiedersi se chiunque abbia partorito questo piano machiavellico abbia pensato alle conseguenze immediate di una comunicazione così mal gestita. Sono comuni i casi di utenti divenuti acquirenti dei titoli della grande N proprio grazie al modello Let's Play, che ha garantito divulgazione gratuita del catalogo tramite canali di YouTube, mezzo fino ad oggi poco sfruttato da Iwata&Company. Se Nintendo dovesse proseguire questa sua nuova lotta non saranno rari i casi di longplayer che si rifiuteranno di applicarsi ai titoli della casa giapponese, proprio in virtù di un guadagno che non finirebbe mai nelle loro tasche. In una fase di percezione dell'azienda così delicata, perché Nintendo, per quanto giustificata, ha scelto proprio ora di applicare questo comportamento? Ed è veramente il primo caso del genere?

Uno sguardo indietro…

In realtà no, Nintendo è stata preceduta da ben più illustri casi. Prendendo quello più recente, è stata Microsoft a Ottobre 2012 a rimuovere la monetizzazione sui video degli utenti legati ai propri franchise first party. Tutti, nessuno escluso. Ma pochi ne parlarono, sia per l'ammorbidimento natalizio dei media sia perché erano tempi meno sospetti. Amanti di Killzone 3 si videro nel 2011 recapitare notifiche di Contenti ID Match legate al franchise Sony. THQ oscurò parti di Darksiders e del seguito; accontentò anche gli amanti della non-violenza, applicando strettissimi match a tutti i video legati a WWE. Konami? Ancora peggio.

The Nintendo Incident

La casa di Tokyo ha inserito nell'insieme tutti i suoi brand maggiori, rendendo il No-Place-to-Hide un No-Match-to-Hide. Square-Enix ha scelto di monetizzare su Final Fantasy XIII, impedendo agli youtubers del tempo di arricchirsi sul proprio capolavoro di punta. Bethesda ha così tanta stima del consorzio che si occupa di gestire le colonne sonore dei suoi titoli, la IMG, che le ha ingabbiate tutte. Idem Rockstar, con GTA. Non si può non citare Electronic Arts, che ha ben deciso di applicare la norma a Battlefield 3, o Capcom con Resident Evil 6. Alcuni canali sono stati chiusi da SEGA solo perché avevano spezzoni del buon vecchio Shining Force. L'elenco è veramente lungo, e viene da chiedersi dove fossero i critici scandalizzati dalla vicenda Scott-Nintendo mentre le altre software house compivano fatti analoghi se non peggiori. Ma i tempi, come già indicato, erano meno sospetti. Lo fanno tutti da anni, ma solo ora l'episodio fa da cassa di risonanza. Astraendo dal caso contingente, a livello puramente concettuale è lecito chiedersi se non sia pieno diritto di compagnie che investono budget in sviluppo e creazione difendere, anche maldestramente, i proventi generati dall'utilizzo generico delle proprie proprietà intellettuali. Mettiamo in chiaro una cosa: l'empatia per tutti i ragazzi e ragazze che appassionatamente creano video su videogiochi è naturale e genuina. A fronte di tutto il loro lavoro vi è entusiasmo, voglia di comunicare, di espandere il proprio gusto a nuovi, potenziali recettori umani, ed è una cosa oggettivamente splendida. Ma se il materiale inserito nei video è coperto da altrui copyright, è giusto che a guadagnarvi sia l'artista che unisce i pezzi e non il creatore del puzzle, che ha reso possibile l'esistenza dei pezzi stessi? La rete è divisa. Per chi ritiene che ciò che conta è l'utilizzo artistico che viene fatto della proprietà coperta e non la mera immissione a video, la risposta è ovviamente si. L'altra faccia della medaglia è composta da tutti coloro che non tollerano la poesia del fine giustificato dai mezzi; il lavoro di fantasia nell'utilizzare opere altrui non ne motiva in alcun modo l'umiltà della destinazione di cassa. Bel dilemma.

…e poi sempre avanti

Oltre al problema filosofico di fondo, ad oggi pochi hanno speso un minuto per fermarsi, pensare a mente fredda e tentare di dare un senso aziendale alla scelta di Nintendo. È giusto ricordare che poco meno di un mese fa Satoru Iwata, attuale Presidente e CEO (Chief Executive Officer) di Nintendo Corporation, ha rimpiazzato il CEO uscente di Nintendo of America Tatsumi Kimishima, tornato in Giappone per divenire General Manager di una sezione di società. Iwata, nel chiarire la scelta, ha affermato la sua volontà di aumentare l'agilità di azione nel sempre più dinamico mercato globale e la sua visione di operatività sinergica tra i continenti. In poche parole, l'esportazione veloce ed immediata in territorio americano delle scelte effettuate in Giappone, senza dover passare per troppe burocrazie o menti da convincere. Non sarebbe sbagliato immaginare il desiderio di Iwata di applicare a livello globale ed indiscriminato un controllo dei contenuti dei propri brand su YouTube, con conseguente applicazione della norma di monetizzazione per quei video che, ad elezione di popolo (e di visualizzazioni) siano per forza di numeri accettati come qualitativamente validi.

The Nintendo Incident

Nintendo, lo si evince dai Nintendo Direct, ha attuato un metodo comunicativo stretto, controllato, indirizzato secondo i loro dettami. Una sorta di intimità dialettica, in cui la società parla e mostra i propri prodotti all'utente finale tramite un modello predefinito. La presentazione ai pochi invitati eletti all'evento dell'E3 2013 dei futuri giochi della fiera ne sono la riprova. Nintendo è fatta così. Tutti sanno quanto sia importante l'indicizzazione nei motori di ricerca, e non dovrebbe esser bello per una società vedersi video di completi estranei superare i propri nella lista risultati di Google. Ma nonostante questo la mamma di Mario ha chiarito che non utilizzerà mai la norma di blocco per i video matchati. Niente censura quindi. La natura di YouTube è troppo variegata per controllarne intelligentemente la fuoriuscita di contenuti casuali, e per questa ragione non stupirebbe troppo assistere ad un deciso investimento a riguardo atto a raggiungere nuovi potenziali acquirenti. Wii U dispone di una propria applicazione di YouTube, attiva e funzionale, e tra le carte di Iwata potrebbe esserci proprio quella di spingere un programma di creazione e registrazione di contenuti di gioco direttamente all'interno della console per uploadarli successivamente. Una cosa simile a quanto Sony ha promesso con PlayStation 4 e la funzione di Share, in cui però ad oggi non vi sono ancora dettagli sulla monetizzazione o meno dei futuri video che verranno immessi dagli utenti.

The Nintendo Incident

Che alla base della strategia di Sony di rendere tale feature un cardine di PS4 ci sia proprio la volontà aziendale di monetizzare a scapito degli utenti e girare a se il flusso di cassa? Ai posteri la sentenza, certo è che se così fosse il casus belli di Nintendo sarebbe ancora meno isolato. Altro elemento da non sottovalutare è la forza comunicativa del Miiverse, strumento in cui quotidianamente artisti si sfidano a colpi di pennino e schermo resistivo. Nintendo potrebbe puntare ad un'integrazione completa tra Miiverse e YouTube, sfruttando le comunità attuali e future per far circolare determinati video dell'utenza, magari animando la piazza con contest specifici. Considerando l'imminente arrivo del Miiverse anche su 3DS (la versione smartphone è da pochi giorni in beta) la considerazione appare meno spavalda del previsto. È indubbio come Nintendo abbia da pochi mesi iniziato a sfruttare attivamente la rete e il mezzo video per esprimersi e mostrare i propri franchise. Anche se questa non è una giustificazione oggettiva alla vicenda legata a Zack Scott ed i longplayer (e più in generale alla scelta di monetizzare su contenuti protetti portati in auge da lavoro altrui) ne fornisce certamente un'altra chiave di lettura. O più di una.