Spesso capita di chiedersi come mai i giochi moderni appaiano enormemente più buggati e instabili rispetto a quelli del passato, soprattutto su console. Impossibile pensare a casi come quelli di Assassin's Creed Unity o DRIVECLUB, tanto per fare due esempi, durante la generazione di PlayStation 2 o Xbox, ma già nella generazione appena superata, quella di Xbox 360 e PlayStation 3, si trattava di situazioni molto più rare, anche in proporzione al numero di giochi lanciati sul mercato. Il mondo PC ha fatto sempre storia a parte da questo punto di vista e anche in passato non sono mancati titoli pieni di bug da sistemare tramite patch. In effetti uno dei motivi per cui alcuni sceglievano di giocare su console invece che su PC era proprio l'assenza di problematiche simili. Ricordate il famoso mito di "s'infila la cartuccia / CD-Rom / DVD nella console e si gioca senza doversi preoccupare di patch e configurazioni"? Oggi, semplicemente, non è più così. Di fronte a un quadro così degradato o, meglio, mutato, viene da chiedersi cosa sia successo nel frattempo e come mai sia diventato quasi impossibile acquistare un videogioco che non richieda l'installazione di corpose patch sin dal giorno di lancio, spesso così grosse da occupare lo spazio di interi videogiochi (vedere la prima patch di Dead Rising 3), e come mai ci sia bisogno di aggiornamenti continui per tutto il ciclo di vita di un prodotto. Il discorso che faremo riguarderà soprattutto il mondo console, perché il mondo PC offre problematiche completamente differenti che meriterebbero uno speciale a parte. Oltretutto, a parte alcuni esempi indicativi, il quadro fornito sarà il più ampio possibile, nel tentativo di scovare problematiche condivise dall'industria in generale, invece che quelle relative al singolo processo di sviluppo.
Come mai i giochi del passato erano molto meno buggati di quelli moderni? Scopritelo nel nostro speciale
I videogiochi sono molto più complessi da sviluppare
Di fronte al gran numero di bug e problemi che emergono in ogni videogioco moderno, molti si sono chiesti se non sia colpa del peggioramento del lavoro degli sviluppatori, ossia se i giochi sono diventati più instabili a causa della cattiva programmazione. La risposta è un no abbastanza deciso, ma occorre sviluppare la questione per capirla meglio.
Dal punto di vista della produzione i videogiochi sono enormemente cambiati con gli anni. Prendiamo un titolo tripla A per PlayStation 2, ad esempio God of War, e confrontiamolo con uno uscito su PlayStation 4, ad esempio Assassin's Creed Unity. Dal punto di vista ludico i due videogiochi in oggetto non sono minimamente sovrapponibili: uno è un picchiaduro action con livelli lineari, mentre l'altro è un open world, come va molto di moda in questi ultimi anni. Già questo ci suggerisce qualcosa. Ma andiamo con ordine. Se lo esaminiamo dal punto di vista dello sviluppo, un titolo come God of War è molto più semplice da gestire. Ossia è un prodotto che deve uscire per una singola macchina, che non ha multiplayer e che ha dei livelli chiusi. Mettiamoci anche che ha una parte tecnica infinitamente meno complessa di Unity, anche solo per la gestione dei dati dello scenario, che negli open world è sempre particolarmente ostica, nonostante per l'epoca fosse considerato un titolo all'avanguardia. Titoli come Unity, dal canto loro, offrono agli sviluppatori tutta una serie di problemi che prima, semplicemente, non esistevano. Struttura a mondo aperto a parte, i videogiochi moderni devono integrarsi necessariamente con infrastrutture online spesso non facilissime da gestire e devono contenere alcune nuove tecnologie che sono vere e proprie fabbriche di bug, come ad esempio quelle di illuminazione o alcune tecniche di animazione dei personaggi, che purtroppo vengono date per scontate dai giocatori. Per capire la questione va tenuto in forte considerazione che ogni singolo elemento che compone un videogioco deve integrarsi con tutti gli altri e, soprattutto, va sempre a concorrere con gli altri per il consumo di risorse, sia esso anche un banale pulsante per la condivisione di un'immagine sui social network.
Ma quanto mi costi?
Ma rimaniamo sul nostro esempio e concentriamoci su un altro aspetto del problema: i costi. Molti spesso faticano a comprendere quanto i soldi spesi per il testing incidano sul costo complessivo dello sviluppo. I publisher maggiori hanno tutti, chi più, chi meno, delle divisioni dedite alla quality assurance (QA per gli amici), ossia a provare i giochi per rilevarne i bug. Molti non sanno che quando si parla di videogiochi moderni il numero di bug rilevati in fase di test non è nell'ordine delle decine, delle centinaia o delle migliaia, ma delle decine di migliaia o delle centinaia di migliaia. Sembrerà una follia, ma è inevitabile che sia così per il discorso fatto nel paragrafo precedente, che ribadiamo anche qui: ogni sistema integrato in un videogioco va a interagire con tutti gli altri, producendo i suoi bug. Anche il solo piazzare una nuova fonte d'illuminazione non è un'operazione banale. Per rimanere sul nostro esempio, un titolo come God of War è molto più semplice da testare rispetto a uno come Assassin's Creed Unity perché chiuso, perché le interazioni del protagonista con lo scenario sono infinitamente inferiori, perché ci sono meno personaggi, perché alcune tecnologie grafiche di allora erano molto meno problematiche rispetto a quelle di oggi e così via. Ovviamente non stiamo dicendo che non sia possibile scovare i bug di un gioco moderno rispetto a quelli di un titolo del passato, ma soltanto che il loro aumento esponenziale, dovuto a cause del tutto naturali e indipendenti dalla volontà degli studi di sviluppo, ha reso le fasi di test molto più lunghe e, di conseguenza, costose. Difficile fare stime precise per singolo gioco, perché non abbiamo per le mani la ripartizione dei costi sostenuti dai publisher (qualcosa si trova per i titoli indipendenti, ma quello è un mondo a parte, molto poco indicativo rispetto al mercato dei tripla A), ma possiamo ipotizzare che per un titolo come Unity i costi di QA siano stati nell'ordine dei milioni di dollari. Può far sorridere, visti i risultati, ma probabilmente è così.
E un bel po' di ipocrisia in meno?
Uno dei modi che i publisher avrebbero per recuperare parte del rapporto di fiducia con il pubblico sarebbe l'ammissione delle problematiche di sviluppo e l'affermazione dell'inevitabilità di certe situazioni. Insomma, bisognerebbe essere un bel po' meno ipocriti e in mezzo al mare di filmati dedicati a decantare la magnificenza di ogni caratteristica di un videogioco, se ne potrebbe sfruttare qualcuno per spiegare al pubblico alcuni problemi, dandogli una maggiore coscienza dei processi che portano alla realizzazione dei singoli titoli.
Tempi insostenibili
E qui è giusto introdurre la seconda faccia del problema, ossia il tempo di sviluppo in relazione alle aspettative economiche del publisher. Costando milioni di dollari, il lancio di un videogioco è frutto di attente pianificazioni, pianificazioni che devono essere presentate di anno in anno agli investitori, dandogli prospettive d'incasso. Ad esempio è risaputo che quando Rockstar annuncia un Grand Theft Auto le azioni di Take 2 schizzano alle stelle. Non è un caso e non è una mera curiosità. Anzi, il rapporto tra il publisher e la borsa è diventato sempre più determinante nello sviluppo dei videogiochi, talmente determinante da aver imposto pianificazioni sempre più strette e aver fatto contrarre i tempi di sviluppo, costringendo spesso gli studi a compiere veri e propri salti mortali per far uscire un titolo entro la data stabilita. Purtroppo se i vertici di un publisher possono permettersi di gestire qualche caso di pubblicità negativa dovuta a un titolo lanciato incompleto, non possono permettersi di indispettire troppo gli azionisti, persone che spesso non sanno assolutamente nulla di videogiochi e che, di fronte a risultati sotto le aspettative, impiegano pochissimo a tagliare le teste di quelli che vengono ritenuti responsabili. Noi purtroppo veniamo a conoscere le dinamiche dei grandi studi di sviluppo solo tangenzialmente, ma possiamo dare per scontato che nessuno farebbe uscire un qualsiasi titolo in uno stato disastroso. Il problema è che se il lancio è stato fissato per novembre e ci si rende conto che non si farà mai in tempo a chiudere il gioco, si può solo chiedere un rinvio dell'uscita e, nel caso venga negato (come spessissimo accade), fare in modo di contenere i danni. Per questo, ad esempio, consideriamo più che positivo il rinvio della pubblicazione di The Witcher 3, nonostante il gioco sia ormai pronto, come quello della versione PC di Grand Theft Auto V. Purtroppo molti giocatori non capiscono che un rinvio è spesso l'unico modo per assicurare che un titolo sia rifinito a dovere. Ora, anche in passato c'erano pianificazioni e azionisti da accontentare, quindi perché i casi di lanci disastrosi erano molti di meno? Per avere una risposta vi basterà unire i puntini di questo con i paragrafi precedenti. L'aumento della complessità dello sviluppo ha reso molto più probabile il manifestarsi di incidenti di percorso inattesi. Quando si pianifica lo sviluppo di un videogioco viene fatto un calcolo dei tempi in base alle risorse a disposizione. Si valuta ad esempio che per la fase di pre-produzione ci vorranno sei mesi, per quella di sviluppo vero e proprio sedici e così via. Insomma, vengono resi noti con precisione i tempi necessari per implementare ogni singolo aspetto. Purtroppo di lineare in questo settore non c'è nulla. Facciamo il caso tipico: stiamo realizzando il nostro gioco e siamo perfettamente nei tempi stabiliti, ma per rimanere alle calcagna della concorrenza a un certo punto ci viene chiesto di buttarci dentro una stupenda tecnologia di illuminazione dinamica appena sfornata dalla TanzenFX. Va bene, nessun problema. Diamo un tempo all'aggiunta e procediamo. Magari assumiamo un nuovo grafico solo allo scopo. Però con sommo orrore scopriamo che la suddetta tecnologia è sì stupenda, ma ancora non è perfezionata e quindi richiede il doppio del lavoro pianificato per essere implementata senza che vada a peggiorare l'impatto visivo del gioco, invece di migliorarlo. Se posta la questione al publisher ci viene detto che i tempi a disposizione rimangono sempre gli stessi. Quindi, che si può fare? Ecco, situazioni del genere sono sempre accadute da quando esiste il concetto di videogioco tripla A (e non solo), ma a questo punto dovrebbe esservi chiaro come nei videogiochi moderni i problemi siano spesso molto più complicati da risolvere che nei videogiochi del passato, per la questione dell'integrazione con tutti i sistemi che li compongono di cui abbiamo parlato più sopra. Questo si traduce in una continua e inesorabile produzione di nuovi bug, che vanno ad aggiungersi a quelli che già di base si hanno in ogni videogioco e che richiederebbero tempi ancora più lunghi per essere sistemati. Tempi che il mercato non può permettersi.
Provateli voi
Come avrete capito i bug nascono sì dal lato sviluppo, ma sono spesso propiziati dal lato publishing di un videogioco. Qualcuno ci vede dietro una grossa avidità, il che non è del tutto falso e, soprattutto, non è del tutto sbagliato. Un publisher ha la necessità di equilibrare i costi in base ai potenziali ricavi. Se un titolo come Grand Theft Auto V ha prospettive di vendita di decine di milioni di copie, è ovvio che uscirà testato fino al midollo (e comunque Rockstar non è riuscita a evitare un lancio con moltissimi bug magari non bloccanti, ma ce n'erano parecchi anche su Xbox 360 e PlayStation 3; per non parlare poi di Grand Theft Auto Online), così sarebbe stato anche per Assassin's Creed Unity, se non avesse rischiato di scavallare l'anno fiscale e di far saltare l'intera pianificazione della serie e così è stato per Watch Dogs, che è stato rimandato di molti mesi, ma alla fine è dovuto uscire, pur in condizioni problematiche, per non far raggiungere alla produzione dei costi insostenibili.
Sinceramente fare confronti con i titoli del passato non è giusto e, di fatto, è anche un errore. Si può rimpiangere quel tempo in cui certi problemi non esistevano, almeno su console, ma per tornarci bisognerebbe essere pronti a rinunciare a molte delle novità tecnologiche introdotte negli ultimi anni. Ad esempio si dovrebbe rinunciare alla maggior parte delle funzioni online, all'integrazione con i vari PlayStation Network e Xbox Live, alle animazioni per ogni azione, alle luci dinamiche e così via. Siamo sicuri che il mercato sia pronto a farlo? Quelli che reagiscono come orsi feriti ogni volta che incrociano un bug in un videogioco, come si porrebbero di fronte a un ritorno al passato tecnologico? Noi sospettiamo che le reazioni non sarebbero proprio entusiastiche. Quindi facciamo un bel bagno di realismo e accettiamo il fatto che se vogliamo continuare a vedere uscire titoli che raggiungano certi standard, bisogna accettare alcuni compromessi, come le patch di aggiornamento che ci obbligano a diventare in parte anche tester. Questo non giustifica lanci disastrosi come quelli di Watch Dogs, Assassin's Creed Unity, DRIVECLUB o Halo: The Master Chief Collection, che sono oltre il lecito, ma è chiaro che sperare in un futuro in cui casi del genere non accadano più sarebbe davvero ingenuo da parte nostra.
Post scriptum su Nintendo
Se notate Nintendo è stata tenuta fuori da tutto questo discorso, perché generalmente le si riconosce una maggiore cura dei prodotti, con lanci senza problemi... o quasi. In realtà con Wii U, console comunque molto meno online della concorrenza, qualche problema di lancio lo ha avuto anche la grande N. Titoli come Super Smash Bros. o Mario Kart 8, pur usciti molto più puliti della media dei titoli sulle altre macchine da gioco, hanno comunque avuto bisogno di aggiornamenti. Inevitabilmente, quando anche la casa di Super Mario scoprirà le gioie di internet e di alcune moderne tecnologie, i bug non tarderanno a manifestarsi e le patch di aggiornamento diverranno una regola, più che un'eccezione.