L'emozione con cui va a letto un bambino la vigilia di Natale non è la stessa con cui si sveglia la mattina di Santo Stefano; quel senso di vuoto allo stomaco durante un viaggio in treno verso la donna che amiamo e l'attesa di stringerla tra le braccia hanno già il sapore di qualcosa che succederà dopo; il profumo di una bella grigliata prepara già la bocca e lo stomaco all'abbuffata che seguirà... e potremmo continuare per pagine e pagine con esempi che dimostrano ciò che diceva il filosofo Gotthold Ephraim Lessing o anche una più nota pubblicità: l'attesa del piacere è essa stessa il piacere. Ma questa massima vale anche per il mondo dei videogiochi? Non sempre. L'eccitazione che accompagna l'attesa è una sensazione adrenalinica, anche se la maggior parte dei giocatori, tra cui Cartman di South Park, preferirebbe forse l'ibernazione allo strazio di aspettare fino alla data d'uscita di un gioco o della prossima console. Per quanto riguarda, invece, chi i videogiochi li vende, il periodo che intercorre tra l'annuncio di un gioco e la sua comparsa sugli scaffali è fondamentale e pericoloso.
Tendenzialmente, quando un gioco si fa attendere troppo non è una buona cosa: voi che ne dite?
L'hype è una bestia feroce
L'hype è infatti un'arma a doppio taglio, è un mostro volante spaventoso e bellissimo: se tutto va bene può far decollare le quotazioni di un gioco e fargli toccare le stelle, screenshot dopo screenshot, teaser dopo teaser, giocando con i sentimenti e il desiderio del giocatore quasi fosse un innamorato che attende il fatidico "sali da me?"
Se invece qualcosa va storto può rivoltarsi contro il suo creatore e distruggerlo. È a quel punto che l'aspettativa finisce per superare gli effettivi meriti del gioco che magari nel frattempo, orrore, ha persino subito un downgrade grafico. Tutto questo senza considerare che più un titolo rimane nel limbo dello sviluppo più rischia di apparire obsoleto quando poi finalmente vede la luce. La storia ci insegna che il segreto di un buon gioco sta nel sapere danzare in equilibrio su quel sottile limite che separa il prendersi ancora un mese per limare i difetti e il ritardo di un anno per gravi problemi di ottimizzazione. Dunque, far aspettare troppo il pubblico non è mai una buona cosa, perché si rischia di scottarsi con il sacro fuoco dell'hype o, peggio, ci si ritrova tra le mani qualcosa che un paio di anni prima sarebbe stato rivoluzionario e che ora è solo una calamita di "mah". La breve ma movimentata storia dei videogiochi ci ha fornito un paio di casi particolarmente crudeli che confermano questa fondamentale regola di buon senso: Daikatana e Duke Nukem Forever.
Daikatana e il Duca
Il primo è fondamentalmente un monumento a tutto ciò che non si deve fare per indispettire pubblico e critica. Ripassiamo un attimo le mosse di John Romero: prima ha litigato con Carmack e lasciato id Software, abbandonando DooM, Quake e tutte le buon idee che avrebbe potuto inserire contando sulle capacità di coding del suo ex compare. Poi ha pensato che, visto che guadagnava tanto, poteva fare la rockstar, tirarsela di brutto, avere uffici pieni di marmi in stile Soprano e scrivere in una pubblicità che ci avrebbe reso tutti "his bitch".
Mentre viveva in questo mondo parallelo, non si è accorto che forse aveva sopravvalutato le doti di programmazione del suo team che prima aveva usato l'engine di Quake e poi ci ha messo un anno ad adattarsi a quello di Quake 2, partorendo così una demo che girava a 12 frame al secondo, roba che neanche Gioventù Ribelle. Poi, dopo aver giocato a nascondino per anni con chiunque gli chiedesse che fine avesse fatto il gioco, Daikatana arrivò sugli scaffali e si rivelò vecchio, macchinoso e assolutamente non in grado di sostenere le aspettative che tanto aveva fomentato nel corso degli anni. La sorte del Duca è stata molto simile. Dopo Duke Nukem 3D avremmo dato via la gamba destra e la virtù di nostra madre per un seguito ancora più bello, cattivo e irriverente, qualcosa che ci facesse prendere a calci la testa degli alieni... e gli sviluppatori si sono approfittati di tutto ciò. Convinti che la gente avrebbe atteso tutto il tempo necessario e che il gioco doveva assolutamente soddisfare le enormi aspettative del pubblico, Broussard e soci guardavano ogni giorno la loro creatura ma non erano mai soddisfatti del risultato, finché il tempo non li ha sorpassati facendogli i fari e allungando una mano dal finestrino. Alla resa dei conti Duke Nukem Forever si è rivelato come uno di quei vecchi compagni di liceo che erano tanto divertenti quando eravamo adolescenti, ma che a distanza di anni ancora sperano di strappare una risata con quelle stesse battute. Per non parlare poi del fatto che il gioco era tecnicamente molto povero, visto che era stato cancellato e riscritto più volte da zero, quindi alla fine nonostante gli anni di sviluppo era stato assemblato in fretta e furia.
Non puoi raggiungere il progresso
L'attesa può far male persino ai giochi che poi si rivelano un successo commerciale. Prendiamo ad esempio Diablo III. Le aspettative anche in questo caso erano alle stelle, doveva essere un gioco vasto, incredibile, profondo, però allo stesso tempo doveva rimanere fedele alle meccaniche di base.
Queste premesse già lasciavano intuire sin da subito che fondamentalmente non avrebbe mai potuto accontentare tutti, infatti così è stato nonostante le ottime vendite iniziali. Anche in questo caso, buona parte della colpa è senza dubbio della "macchina dell'hype" messa in campo da Blizzard, ma più di tutto il vero problema è stato un team di sviluppo mai contento del risultato, che aveva paura di deludere i fan e quindi continuava a cancellare, riscrivere, ricancellare e così via, nel perenne tentativo di stare al passo con le aspettative. Quello che forse ancora non si è capito è che le aspettative non le puoi quasi mai raggiungere, neppure se sei tu stesso a impostarne i limiti. La tecnologia è troppo veloce, la voglia del "gioco perfetto" è spesso troppo alta e internet ha reso ancora più potente il passaparola. Una volta se un gioco non ti piaceva potevi al massimo lamentarti con gli amici, oggi puoi postare un video su YouTube in cui lo infanghi, puoi inondare internet di commenti, puoi persino mandare un'e-mail agli sviluppatori e questo rende successi e fallimenti ancora più evidenti. D'altronde l'hype e le conseguenti delusioni, che possono andare da un downgrade grafico a un gioco che fa schifo, fanno parte di un circolo vizioso che difficilmente potrà essere rotto.
Impossibile farci tutti contenti
Di questa tendenza hanno parlato chiaramente anche gli sviluppatori di The Witcher 3: Wild Hunt, titolo che si è fatto senza dubbio attendere, ma che poi ha ampiamente soddisfatto le aspettative. Per fare un bel gioco ci vogliono soldi, ci vuole copertura stampa e bisogna ingolosire gli investitori. Per ottenere tutto questo devi fare ciò che la pubblicità fa da sempre: vendere qualcosa facendo credere che è meglio di ciò che è veramente.
E per riuscire in questa impresa, come in amore, tutto è lecito: fare la demo su computer super pompati da 4000 dollari, far credere che un filmato sia in realtà una scena del gioco, annunciare funzionalità che poi non verranno implementate (o lo saranno in maniera ridotta) e così via. Per questo in parte abbiamo già paura per il prossimo DooM (riuscirà veramente a piacere al pubblico di oggi, dopo tutti questi anni?), per questo è lecito essere guardinghi su The Division (sono anni che ne parlano, sarà veramente figo come dicono?) e per questo è giusto dubitare di titoli che richiedono troppo tempo per essere sviluppati. Se tutto va bene, lo sviluppatore riesce effettivamente a fare ciò che promette, altrimenti beh, non sarà certo l'unico ad aver esagerato e potrà poi metterci una pezza con patch, DLC, Ultimate Edition e secondi capitoli. Tanto una cosa è certa: non saremo quasi mai tutti contenti. A meno che non esca Half-Life 3, ovvio.