Ci hanno insegnato che la calma è la virtù dei forti, ed è una cosa sicuramente vera, ma la saggezza popolare è costretta spesso a inchinarsi di fronte ai videogiochi. L'intrattenimento elettronico è infatti in grado di avere un impatto emotivo abbastanza rilevante sulle nostre menti, facendoci passare in pochissimi attimi da sentimenti di tipo positivo ad altri di tipo negativo: come Guerre Stellari insegna, quando c'è di mezzo la passione il Lato Oscuro è dietro l'angolo. Capita dunque di perdere le staffe, con varie sfumature d'arrabbiatura che partono da un sentimento di frustrazione piuttosto semplice da individuare, vale a dire quello che si prova con giochi come Dark Souls che fanno della loro difficoltà una caratteristica. A parte qualche imprecazione, il genere di rabbia che si prova è più o meno passeggero e riesce ad andare via una volta spenta la console. Percorrendo la scala del rancore si arriva fino alla collera più grande, quella che deriva tipicamente dai giochi competitivi che coinvolgono altre persone: sportivi come FIFA, picchiaduro come Street Fighter, giochi di carte come Hearthstone. All'interno di titoli come questi, il sentimento negativo trova terreno fertile e monta a poco a poco nel nostro povero fegato, spesso senza essere individuato fino al momento in cui il travaso di bile diventa inarrestabile. Con questo articolo, vogliamo dunque provare a capire il modo in cui i videogiochi riescono a rendere anche la persona più pacata al mondo un Orlando Furioso, per poi prendere tutti consapevolezza di ciò che ci succede quando perdiamo, tentando così di migliorarci.
La rosicata all'epoca dei giochi multiplayer competitivi: un viaggio nella collera del videogiocatore
Le origini del dramma
Mentre i diversi tipi d'arrabbiatura da videogioco nascono tutti quanti dall'esperienza della sconfitta, il genere di collera di cui parliamo oggi è dovuto al contesto competitivo con un altro essere umano. Perdere una partita allo stesso modo contro la CPU o contro un'altra persona è un elemento chiave per definire le differenze dei nostri comportamenti: a nessuno piace prendere una ripassata, neanche contro un'intelligenza artificiale, ma in questa fase si riesce ad affrontare con sufficiente lucidità la situazione. Abbracciare le meccaniche "trial and error" per analizzare quali sono stati i propri sbagli e porre rimedio, per andare avanti nel gioco: la sfida può anche essere impegnativa, ma l'assenza dell'altro essere umano non permette al seme della follia di germogliare pienamente nella nostra testa.
La percezione della sconfitta inizia infatti a cambiare nel caso in cui dietro l'altra squadra, o personaggio, ci sia una persona come noi: in questo caso, ci vuole davvero poco per far sì che la sconfitta diventi un'opzione che non può essere accettata dalla nostra testa; nei casi più patologici neanche quando essa è netta e inappellabile. Il livello massimo lo tocchiamo però quando crediamo che il giocatore contro cui stiamo perdendo sia più scarso di noi: "Stai vincendo tutti i rimpalli", "Attacco solo io e tu fai gol", "L'arbitro non mi fischia i falli", sono solo alcune delle lamentele tipiche che ognuno di noi è abituato a esprimere giocando a FIFA. Ogni occasione diventa buona per piangerci addosso, continuando a far montare la collera nel tentativo di spiegarci perché il nostro bel gioco non dia frutti, mentre quello inguardabile dell'avversario riesca a farci perdere senza all'apparenza poter fare nulla. Un fenomeno piuttosto diffuso, al punto da spingere al di là dell'Atlantico all'uso di un termine ad hoc: "salty". Ci sentiamo come se le leggi che governano l'universo si fossero schierate contro di noi, senza renderci conto che si tratta pur sempre di una cosa effimera come una partita a un videogioco, e ci teniamo più di ogni altra cosa a far sapere all'altro quanto questo sia ingiusto e sbagliato. Il modo in cui vogliamo farlo è vincendo subito, ma non ci rendiamo conto che tutto questo sta avendo un effetto devastante su come giochiamo: in maniera diametralmente opposta, la consapevolezza della propria arrabbiatura è il primo passo per recuperare terreno.
In preda alla follia
Quando siamo arrabbiati, perdiamo spesso di vista il punto chiave della questione: mantenendo l'esempio di FIFA, collera e fretta di recuperare ci fanno giocare male, scoprendo il fianco ad attacchi dell'avversario che normalmente non scalfirebbero la nostra linea difensiva.
La migliore strategia contro un giocatore poco abile o inesperto è spesso quella di lasciargli l'iniziativa, stanandolo dalla propria area per riuscire a trovare qualche spazio: un tipo di gioco che richiede tanta pazienza, quella che dopo lo 0-1 (o dopo il primo ko, visto che tra poco parleremo di Street Fighter) abbiamo già perso. La mente, ormai annebbiata, ci porta invece ad attaccare come dei cinghiali in carica, risultando prevedibili nelle nostre trame di gioco fino ad aprire delle praterie verso una disfatta non annunciata, ma reale quasi quanto la necessità di trovare un farmaco per il proprio fegato. Di testimonianze che possano dare valore reale a quanto stiamo dicendo ne avrete di sicuro tante anche voi, ma quella del video che trovate qui sotto è abbastanza eloquente. Nel filmato, ci viene mostrato un match risalente al 2013, in occasione di un torneo di Street Fighter IV: a combattersi FSP (Rufus), favorito, e tale Ghandi (Ryu). Un nome, un programma: con un approccio molto più rilassato rispetto al suo avversario, Ghandi dà vita a una serie di mosse imbarazzanti dal punto di vista tecnico, arrivando anche a essere preso in giro dai commentatori. Allo stesso tempo, dopo i primi colpi subiti FSP inizia ad arrabbiarsi, fino ad andare letteralmente fuori di testa per perdere contro un avversario che avrebbe potuto senz'altro liquidare alla svelta. Solo in condizioni normali però, riuscendo a giocare in modo paziente senza pretendere di dare subito a Ghandi una dimostrazione di forza. Anche perché la nostra impressione, nel caso specifico, è che a Ghandi non fregherebbe quasi nulla di sapere quanto è forte FSP: il problema è tutto nella testa di quest'ultimo.
Uscire dal blackout
Una volta raggiunto il massimo dell'arrabbiatura, tutti quanti noi come FSP spegniamo completamente il cervello. È paradossale notare che quanto più abili si possa essere a livello tecnico nei confronti dell'avversario di turno, più sia facile inizia a giocare male in preda all'ira. La classica divisione tra giocatori casual e hardcore ci viene in aiuto per capire cosa va a succedere nella nostra testa: anche nel mondo dei giochi competitivi, c'è chi come Ghandi partecipa per divertirsi, adottando un approccio più sano e meno stressante allo scontro. Viceversa, in situazioni difficili il giocatore hardcore sente di dovere vincere, soprattutto se come già detto si trova ad affrontare qualcuno che dimostra di avere un basso livello d'abilità. E non è questione dell'entità della posta in palio, né vogliamo mettere in dubbio se chi si sente forte a un gioco lo sia davvero: mantenere la mente libera è un presupposto chiave per la vittoria tanto quanto il sapere come difendere un cross, parare una mossa o neutralizzare una carta. Invece di arrabbiarci, dovremmo fare in modo di riuscire ad accettare la realtà dei fatti: fermarci a riflettere chiedendoci "perché ho perso?", rendendoci conto di non essere stati bravi abbastanza per fronteggiare una situazione del genere. Cedere alla nostra collera per prendercela con l'universo è la soluzione più facile, ma anche la più sbagliata. La consapevolezza di tutto ciò è il primo passo verso il miglioramento, su tutti i fronti: quello del gioco, dove con la giusta calma e concentrazione si può riuscire ad annientare il Ghandi di turno, e quello psicofisico, senza che il Lato Oscuro riesca a impossessarsi del nostro fegato.