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Epic Games: fine dei giochi?

Addio al single player tradizionale per la casa di Gears of War

SPECIALE di Giorgio Melani   —   22/05/2016

Ha destato un certo scalpore la recente notizia sulla volontà di Epic Games di abbandonare il modello di sviluppo videoludico tradizionale per spostarsi esclusivamente sulla produzione di videogiochi multiplayer online, prevalentemente free-to-play. A dire il vero, la questione ha fatto particolarmente rumore forse per la dichiarazione d'intenti netta e precisa venuta fuori nell'occasione, perché per il resto sembra essere una scelta tacitamente effettuata anche da varie altre software house, suscitando meno clamore ma con effetti non meno impattanti sull'industria videoludica.

Epic Games: fine dei giochi?

Tim Sweeney non è effettivamente un personaggio che le manda a dire, e la recente dura polemica portata avanti contro l'ambiente di sviluppo dell'Universal Windows Platform con la presunta chiusura eccessiva dell'ecosistema Microsoft ne è un esempio lampante, tuttavia non capita spesso che il CEO di una compagnia dichiari in maniera netta e precisa la volontà di abbandonare completamente lo sviluppo di videogiochi a impostazione classica, con single player preponderante e canoniche pratiche produttive, per passare ai videogiochi "live" perché questi rappresentano l'unico futuro sostenibile da parte della propria software house. O almeno, non è una cosa che generalmente si dice a una testata videoludica e dunque indirettamente al pubblico degli utenti, lasciando solitamente queste disquisizioni su mercato e realpolitik tra le mura più sicure di una sala conferenze in presenza di azionisti e partner aziendali. Non che Epic Games di per sé ci abbia mai abituato a produzioni tradizionali in stile single player frequenti: dai tempi di Jazz Jackrabbit 2 si trovano giusto i Gears of War (comunque contenenti elementi multiplayer di grande rilievo), Bulletstorm e il publishing di Shadow Complex, ma è la dichiarazione d'intenti a sancire l'ineluttabilità di una transizione verso i videogiochi intesi come "servizi" con cui i giocatori dovranno giocoforza fare i conti sempre più spesso nel prossimo futuro.

Le dichiarazioni di Epic Games e la tendenza all'abbandono del single player tradizionale

Insostenibili kolossal

Il problema è il solito, ormai ben noto: la creazione di titoli story-driven con una forte componente single player richiede delle spese difficilmente sostenibili da sviluppatori non appartenenti alla tipologia comunemente associata con le "major", o comunque da software house che hanno solidi accordi di publishing con qualcuna di queste, dunque si tratta di una tipologia di prodotto sempre meno praticabile da sviluppatori indie anche di medie e grandi dimensioni.

Epic Games: fine dei giochi?
Epic Games: fine dei giochi?

La situazione è ormai sedimentata, quello che preoccupa è piuttosto vedere etichette di un certo calibro, come appunto Epic Games, abbandonare il settore a causa di spese insostenibili, cosa che rende efficacemente un'idea degli investimenti richiesti per portare a termine progetti del genere. Tanto più se si pensa che tali scelte sono condivise da compagnie che sicuramente non hanno particolari problemi a procurarsi i fondi per sviluppare giochi con componente single player, come la gigantesca Valve o realtà diverse come Konami, Sega e appunto Epic, che anche solo dalla vendita del suo celebre Unreal Engine può contare su un flusso monetario di tutto rispetto. Se nonostante queste situazioni economiche favorevoli le compagnie decidono di non investire nel classico titolo con "Campagna" in singolo significa evidentemente che i capitali richiesti per mettere insieme un tripla A di questa tipologia in grado di competere con le mega-produzioni presenti nell'attuale mercato sono veramente eccessivi, tanto da far pensare alla necessità di una revisione generale delle dinamiche di sviluppo e anche una sorta di reset del gusto da parte degli utenti, pena il rischio di ritrovarsi sul mercato esclusivamente quei tre o quattro brand dal sicuro ritorno monetario, serializzati e ripetuti all'infinito. Una soluzione a questa tendenza è offerta ovviamente dal settore indie, l'unico che sembra in grado di arginare questa pericolosa deriva, tanto da spingere anche publisher di grosse dimensioni ad adottare organizzazioni semi-indipendenti per poter proporre sul mercato qualcosa di nuovo e slegato dalle farraginose meccaniche del single player tripla A. I titoli simil indie di Ubisoft (Child of Light, Valiant Hearts) e il recente Unravel di EA dimostrano una netta presa di coscienza delle major su questo fronte, mentre gli indipendenti veri e propri ovviamente continuano sulla loro strada offrendo le loro valide alternative.

The New Deal

Un'altra soluzione sembra poi provenire dalle nuove soluzioni di business, dai giochi online e possibilmente free-to-play, formule magiche in grado di accontentare utenti e produttori, almeno in base alla legge dei grandi numeri, sebbene i casi analizzati nello specifico dimostrino risultati alquanto altalenanti, in verità. "Ci siamo resi conto che alcuni dei migliori giochi dell'industria vengono costruiti e gestiti come titoli live nel tempo", ha affermato di recente il CEO di Epic Games, Tim Sweeney, a Polygon, e "abbiamo deciso che il ruolo ideale di Epic è di guidare questa tendenza e dunque abbiamo iniziato una transizione dalla posizione di sviluppatori vicini alle console e specializzati su Xbox a sviluppatori multipiattaforma e publisher indipendenti, una sorta di indie su larga scala".

Epic Games: fine dei giochi?

L'economia dei giochi come Gears of War forza gli sviluppatori a lavorare con i publisher di dimensioni enormi, e questo sembra un processo irreversibile, ha ammesso Sweeney, e non è un caso che la cessazione dei lavori su titoli del genere per Epic sia arrivata proprio alla conclusione del rapporto di collaborazione con Microsoft per la celebre serie Xbox. Da lì in poi Paragon, Fortnite e Unreal Tournament dovrebbero dunque rappresentare i paradigmi del nuovo corso della compagnia, giochi che si basano appunto su un approccio "live", organizzati come piattaforme online e servizi più che come prodotti già completi al momento del lancio e basati su esperienze story-driven. La transizione è stata peraltro evidenziata anche da altri elementi del settore che pure conoscono molto bene l'ambito single player: Ken Levine, esperto di giochi dalla forte impronta narrativa, ha denunciato già mesi fa la probabile scomparsa progressiva dei titoli di questo tipo, a causa degli sforzi economici richiesti per la loro produzione e delle crescenti richieste del pubblico al riguardo. Non per nulla, anche i nuovi progetti del creatore di BioShock si sono spostati su cose decisamente differenti, tra sceneggiature cinematografiche e giochi open world non-lineari.

L'El Dorado degli sviluppatori?

Non bisogna confondere l'idea del gioco "live", come viene definito da Sweeney, con un semplice free-to-play, perché il concetto si apre piuttosto a numerose interpretazioni. Si tratta di giochi che non terminano il loro percorso di costruzione con il lancio sul mercato, ma che vengono curati e supportati con costanza dagli sviluppatori lungo un percorso dinamico e prolungato di completamento e affinamento dei contenuti, di concerto con l'azione e i feedback dei giocatori. Per quanto riguarda gli sviluppatori, il vantaggio è dato dal dover concentrare gli sforzi unicamente sulla costruzione del sistema di gioco base, sul gameplay in sostanza, senza seguire fronzoli e orpelli narrativi che tra lavori di sceneggiatura, composizione, regia a resa grafica andrebbero ad assorbire una grande quantità di tempo e risorse. I giocatori, da parte loro, apprezzano sempre un buon titolo multiplayer, ben ragionato e supportato in maniera intelligente nel tempo, dunque la situazione idealmente è una classica "win/win". I problemi cominciano a emergere quando si raggiunge una certa saturazione del mercato, quando un'offerta eccessiva e troppo standardizzata non fa che sedimentare la fiducia dei giocatori in pochi e popolari titoli soffocando le possibilità dei giochi emergenti, e quando si tratta di multiplayer online la popolosità dei server è un elemento determinante per la sopravvivenza.

Epic Games: fine dei giochi?

Insomma non tutti possono arrivare a guadagnare milioni dalle micro-transazioni su semplici elementi cosmetici come League of Legends, così come non è sempre detto, poi, che la produzione di un titolo destinato a essere un free-to-play online abbia costi contenuti, e le recenti voci di corridoio sui colossali costi che hanno portato alla chiusura prematura di Fable Legends ne sono un esempio recente e doloroso. Si assiste allora sempre di più a soluzioni intermedie: da una parte titoli tradizionali che implementano micro-transazioni marginali ormai come standard e dall'altra giochi dall'impostazione esclusivamente online che vengono distribuiti come Premium, ovvero hanno un prezzo classico da titolo retail, come il nuovo Overwatch di Blizzard. Il tutto porta a superare l'idea della suddivisione netta tra un sistema di produzione e l'altro, o il fatto di potersi dedicare esclusivamente a una o l'altra tipologia di prodotto. Insomma l'errore, sia dalla parte degli sviluppatori che da quella degli utenti, potrebbe essere semplicemente nel voler ragionare in maniera troppo schematica e chiusa, appiattendo il panorama in un dualismo forzato e semplicistico tra avventura single player milionaria e multiplayer free-to-play. La creatività applicata a un sistema di generi dinamico e complesso può tranquillamente superare questa divisione netta, anche per questo suona un po' troppo rigida, e forse anche un po' di comodo considerando la copertura offerta loro dalla vendita dell'Unreal Engine, l'affermazione di Epic Games sull'impossibilità di tornare a sviluppare giochi single player.