Lo confessiamo subito: il titolo di questa Bustina è provocatorio. Tuttavia continuate a leggere, perché a fine articolo potreste scoprire che una simile ipotesi, e cioè quella di Grand Theft Auto esclusiva Nintendo, non era così assurda come potrebbe sembrare ai giorni nostri. A livello di immagine sembrano - e probabilmente sono - due marchi agli antipodi. Le console Nintendo hanno ospitato pochi capitoli della serie, e sempre su portatile, il più riuscito dei quali è una versione baloccante - perlomeno come aspetto - dell'edizione principale. Parliamo di Grand Theft Auto: Chinatown Wars per Nintendo DS, che ha venduto poco più di un milione di copie; risultato che sarebbe un successo per un gioco normale, ma che non è granché per una delle saghe più vendute di sempre, sulla seconda console più venduta di sempre. La verità è che l'attuale Rockstar North, software house scozzese con sede a Edinburgo, fondata nel 1984, non si è sempre chiamata così. C'è stato un periodo in cui idolatrava e/o invidiava i successi della cugina britannica Rareware, inglese di Twycross, della contea del Leicestershire. A quell'epoca Rockstar North era semplicemente DMA Design (Direct Memory Access), aveva poco più di cento dipendenti, ed era famosa soprattutto per quel gran gioco di Lemmings. Siamo nel 1995.
Dream Team
A posteriori quel periodo storico può essere definito come uno dei più brillanti dell'intera storia Nintendo, ma anche uno dei più controversi dal lato gestionale. La società kyotese aveva appena vinto la sua seconda console war consecutiva, non dominata come la precedente, soprattutto grazie alla spinta "finale" generata da Donkey Kong Country; nonostante il Super Nintendo avesse venduto più del Genesis, SEGA era riuscita a corrompere, almeno parzialmente, l'immagine della rivale: quella Nintendo non era più la piattaforma "cool". Non era solamente un danno immediato, ma avrebbe potuto ledere il brand a lungo termine; perciò, nella definizione del Project Reality, Nintendo puntò molto su un'immagine più aggressiva, affidandosi agli sviluppatori occidentali come mai prima d'allora (del resto c'è un motivo per cui Nintendo64 andò benissimo negli Stati Uniti, e meno nel resto del mondo).
Una scelta indotta anche dal "tradimento" delle terze parti giapponesi, stufe dall'arroganza di Hiroshi Yamauchi e sedotte dalle lusinghe della nuova arrivata, Sony. Di necessità virtù, Nintendo creò un "Dream Team" (così ufficialmente ribattezzato), presentando le poche software house al lavoro sul Project Reality come le migliori sul globo terracqueo. Tra queste, come avrete intuito, c'era DMA Design: una società che veniva dal successo di Uniracers su Super Nintendo, uno strambo - ma carinissimo - racing game su monocicli. Aveva convinto Miyamoto e compagni ad entrare nel Dream Team, oltre che grazie al curriculum, presentando un'illustrazione di una macchina rovesciata da un gigantesco insetto alieno. Nintendo apprezzò il progetto - o meglio, l'immagine, dettaglio non indifferente - e decise di produrre il tutto, ovviamente garantendosi l'esclusività del futuro gioco. Pur non confermata ufficialmente da nessuna delle due parti, sulle riviste specializzate dell'epoca si ventilò la possibilità che, fosse la collaborazione stata un successo, i giapponesi avrebbero ampliato il proprio feudo britannico, legando a sé DMA Design come accaduto con Rareware.
Body Harvest
Dopo questo excursus storico torniamo dove ci eravamo fermati, ovvero al 1995, esattamente in primavera, quando DMA Design si sta occupando di due progetti: uno capitanato da John Whyte (tuttora impiegato a Rockstar North), l'altro da David Jones. Il primo lavora a Body Harvest, il secondo a Race'n'Chase, un gioco con visuale dall'alto, ambientato in una metropoli contemporanea, previsto per PC, PlayStation, Saturn e Nintendo 64. Sarebbe diventato il primo Grand Theft Auto, e sarebbe uscito solo sulle prime due piattaforme. Tra i due team pare ci sia rivalità: uno ha più ampie possibilità in termini di spazio, senza le restrizioni della cartucce per Nintendo64, l'altro ha maggiori finanziamenti e, in generale, un progetto tecnologicamente più ambizioso. Un ex dipendente ha descritto bene la situazione di Body Harvest: "Nintendo a volte sa perfettamente cosa vuole, e capisce subito se non gliela stai fornendo. A volte però non sa cosa vuole, ed è altrettanto brava a capire se non la desidera".
Questo clima perdura per tutto lo sviluppo di Body Harvest: del resto era prevedibile, avendo approvato un progetto dopo aver visto un semplice, singolo artwork. Così, al primo incontro di lavoro con Miyamoto, DMA Design presenta il suo violento action-shooter, con gli alieni che invadono la terra per catturare - e mangiare - gli esseri umani: la bozza non piace, né come aspetto né come impostazione, e Nintendo consiglia alla software house di aggiungere elementi da gioco di ruolo. Il perché è piuttosto semplice: il genere va forte, PlayStation ne ha molti (grazie alla vecchia alleata Squaresoft), Nintendo64 quasi nessuno. Così Body Harvest cambia genere, vira leggermente aspetto, ma un anno dopo siamo ancora a quel punto: in Giappone non sono soddisfatti né dal gioco né dal versante tecnologico, tanto che i ragazzi scozzesi si sentono avviliti quando messi di fronte ai risultati ottenuti da Rareware con Blast Corps. In DMA Design c'è malcontento per le ingerenze nipponiche e per alcune indicazioni poco chiare, mentre a Kyoto non gradiscono i loro sforzi, né tantomeno sprecare denaro. Così, circa due anni dopo, Miyamoto porta a cena una piccola delegazione scozzese: a quanto pare pronuncia poche parole - l'incomprensibilità è una costante del progetto - e gli annuncia che Nintendo non è più intenzionata a produrre il gioco. Un sollievo per entrambi. Poco dopo subentra Midway, che finanzia la parte finale dello sviluppo, e Body Harvest vede la luce nel settembre 1998, appena in tempo per essere annichilito da Ocarina of Time. Esattamente un anno prima era stato pubblicato Grand Theft Auto. Nessuno dei due titoli vende tantissimo: Body Harvest 300.000 copie, GTA un milione. Per notare le similitudini tra l'opera di Whyte e quello che sarebbe divenuto GTA III basta avviare il gioco: esplorazione libera (pur suddivisa a livelli, in epoche storiche diverse), sparatorie a raffica (su alieni e, volendo, essere umani), utilizzo di veicoli e mezzi che possono essere rubati, dai quali (vi ricorda qualcosa?) è concesso mitragliare qua e là.
In Grand Theft Auto: San Andres c'è addirittura una missione chiamata "Body Harvest", in cui - tra l'altro - si utilizza un mietitore... come accadeva in una sezione delle sfortunato gioco per Nintendo64. Impossibile dire cosa sarebbe successo se la collaborazione tra scozzesi e giapponesi fosse andata a buon fine. Magari Nintendo avrebbe acquistato DMA Design, e GTA sarebbe stato una loro esclusiva. Oppure sarebbe rimasto con visuale dall'alto, o addirittura cancellato, in virtù del "grosso progetto" Body Harvest 2 per GameCube. Ma la cosa più probabile è che, anche ripetendo l'esperimento ad libitum, le differenze identitarie tra le due aziende avrebbero comunque portato alla rottura. L'unica certezza è che, all'insaputa di molti, dentro al DNA di Grand Theft Auto c'è anche una piccola parte finanziata da Nintendo.