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Che fine ha fatto… The Suffering

Che fine ha fatto The Suffering, una delle serie horror più controverse degli ultimi anni?

RUBRICA di Massimo Reina   —   17/05/2018

Che fine hanno fatto... è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.

Di survival horror puri, così come di ibridi, ne abbiamo visti davvero tanti negli ultimi vent'anni: alcuni belli, altri originali, altri ancora discreti o davvero orrendi. Commistione di generi, come nel caso di The Suffering. Il gioco, sviluppato da Surreal Software per PlayStation 2, Xbox e PC sotto etichetta Midway Games nel 2004, non era riconducibile ad un genere ben preciso: nei primi minuti il ritmo era abbastanza lento e invogliava all'esplorazione, cosa che grazie anche all'atmosfera piuttosto indovinata, all'ambientazione cupa e senza apparente speranza di un carcere sigillato e infestato, oltre alla possibilità di giocare in terza persona, faceva sembrare di aver fra le mani un vero e proprio survival-horror. Successivamente l'azione si faceva più dinamica e il gioco diventava una sorta di sparatutto action in prima e terza persona (si poteva infatti passare da una visuale all'altra durante la partita) a tratti frenetico. Insomma, era sostanzialmente un ibrido, non un survival.

Che fine  ha fatto… The Suffering

Incubo in prigione

Il titolo raccontava la storia di Torque, accusato di aver sterminato la sua famiglia e per questo condotto nel braccio della morte nel penitenziario di Abbot State, che si trovava su Carnate Island, nel Maryland. Ma una volta giunto in prigione, un terribile terremoto sconvolgeva l'area: il carcere si popolava infatti di creature ripugnanti, che portavano morte, violenza e sangue tra le mura dell'edificio. Tra cadaveri sbudellati e grida disperate, Torque cercava quindi una via di fuga da quell'Inferno, ma doveva vedersela con orde di mostri assetati di sangue, il cui design deforme e contorto, in alcuni elementi "silenthilliani", era stato curato addirittura da Stan Winston, mago degli effetti speciali che ha dato vita per esempio a personaggi del grande schermo come Predator.

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Con simili premesse, il gioco non poteva che attirare le attenzioni dei media più sensazionalistici: ancora prima di arrivare nei negozi, The Suffering si era già conquistato la fama di titolo più violento e sanguinario della sua generazione. Uno dei punti di forza del gioco era infatti l'ambientazione horror con tanto splatter, condito da una violenza a tratti esilarante nei suoi eccessi. The Suffering non era un capolavoro, ma di certo era un titolo capace di intrattenere bene e divertire l'utenza a suo modo. Anche perché durante l'avventura si potevano operare delle scelte morali le quali, seppur limitate alla possibilità di aiutare o uccidere alcuni personaggi non giocanti, portavano a uno dei tre diversi finali (malvagio, neutrale, buono) in base all'allineamento etico che si aveva alla conclusione del gioco, ma anche a un certo cambiamento della trama, che poteva vedere Torque innocente vittima delle circostanze o spietato assassino assetato di sangue.

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Imperfetto di successo

Ma ad eccezione di queste virtù, The Suffering risentiva di un level design un po' piatto e di una generale monotonia delle ambientazioni. Metteva tensione, ma non incuteva propriamente paura, eppure il gioco ricevette una buona accoglienza da parte della critica e del pubblico, che consentì a Midway di vendere ben 1.5 milioni di copie in tutto il mondo sulle tre piattaforme di rilascio, ovverosia PlayStation 2, Xbox e Microsoft Windows. Questo convinse tutti a realizzare subito un seguito, per approfittare del successo. Così, nemmeno un anno dopo, eccolo arrivare nei negozi per le medesime piattaforme. The Suffering: Ties That Bind si rivelò subito come un seguito del predecessore sotto tutti i punti di vista.

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A cominciare dalla giocabilità, dalla struttura di gioco e dalla grafica, praticamente identiche, e dalla storia che ripartiva esattamente dal finale del primo episodio. Il titolo vedeva infatti Torque scappare a Baltimora, nei luoghi dove aveva vissuto prima dell'incarcerazione e dove si ritrovava a fare i conti col suo passato ma anche con delle creature demoniache. C'era però un'interessante peculiarità per l'epoca, e cioè che conservando il salvataggio originale del primo The Suffering la sequenza iniziale di Ties that Bind cambiava. Idem alcune situazioni di gioco, ma a seconda delle scelte morali compiute dal giocatore e dal personaggio in relazione all'entità a cui dava ascolto, tra la buona defunta moglie Carmen e la presenza demoniaca.

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Un buco nell’acqua

Man mano che si progrediva nel gioco, il titolo diventava sempre di più uno sparatutto come il primo episodio, anche se le musiche angoscianti che accompagnavano Torque, nonché l'estrema violenza, il sangue e le creature dall'aspetto rivoltante che sbucavano dal nulla mantenevano il titolo sui binari del genere horror. Anche The Suffering: Ties That Bind ricevette un'accoglienza positiva dalle riviste del settore, anche se in tono minore rispetto al predecessore. Un po' meno dal pubblico, tant'è che le vendite non soddisfarono le aspettative del publisher, Midway, che a quel punto decise di congelare un attimo eventuali progetti futuri sul franchise, nonostante l'8 settembre di quell'anno 2005, la stessa azienda insieme a MTV Films avesse annunciato un progetto legato a un adattamento cinematografico di entrambi i The Suffering.

Che fine  ha fatto… The Suffering

In realtà sia sulla pellicola che sul videogioco cadde da allora una coltre di silenzio, rotta ogni tanto da qualche rumor su possibili nuovi capitoli in lavorazione. Nel 2015 si sparse per esempio la voce che un team di sviluppo avesse acquistato la licenza della serie da Warner Bros., che li detiene dopo averle comprate nel 2009 dopo il fallimento di Midway. Ma poi non si seppe più nulla, e c'è chi dice addirittura che si trattasse di una fake news. Peccato, perché pur con tutti i suoi limiti, The Suffering in mano a qualche sviluppatore in gamba, rielaborato in alcuni elementi e con l'hardware odierno a disposizione, potrebbe forse dire ancora la sua nel panorama dei titolo action a tema horror. E chissà che prima o poi, qualcuno non se ne ricordi e decida di scommetterci.

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