Il videogioco moderno deve molto al cinema tanto che atmosfere, sonoro e inquadrature di stampo cinematografico sono ormai parte integrante delle esperienze ludiche single player. E ovviamente il cinema ha a sua volta preso dal videogioco ciò di cui aveva bisogno anche se ha avuto qualche difficoltà a tradurre il linguaggio videoludico in linguaggio cinematografico. E anche oggi, nonostante il successo di Mortal Kombat e di Resident Evil, gran parte del cinema dedicato ai videogiochi resta composto quasi esclusivamente dal trash alla Uwe Boll, da esperimenti parzialmente riusciti come Silent Hill e Doom e da pellicole che cercano di sfruttare un brand senza averlo compreso come nel caso del recente Max Payne.
Ma, parallelamente al cinema che si ispira al videogioco, c'è un cinema di maggior successo che vi ruota attorno, ne parla, usa il suo linguaggio per raccontare le proprie trame in modo innovativo e moderno. Il precursore di questo genere è Tron, il più illustre antesignano di Matrix e il primo film in grado di introdurre i concetti di virtuale e simulazione in un film destinato al grande pubblico. Una pellicola che pur ponendosi nell'ambito più comprensibile della pura fantascienza non ha rinunciato a citare direttamente i videogiochi vettoriali dell'epoca, introducendo la computer animation al cinema e trattando in generale il contesto videoludico di quel periodo, le sale giochi, i punti chiave delle trame videoludiche, pong, la mancanza di inerzia nei videogiochi e i paradossi del pensiero digitale. Un esperimento per molti versi irripetibile, titanico, costoso e visionario che ha aperto la strada al cinema hi tech per ragazzi, unica fetta di pubblico in grado di comprendere i messaggi tecnologici, e che ci ha regalato perle come Wargames e Starfighter.
Videogiochi: una questione sempre più seria
Paradossalmente è stato un film molto meno visionario e maturo a trattare il mondo dei videogiochi in un contesto reale. Parliamo di The Wizard (a.k.a. Il piccolo grande mago dei videogames), più che un film un titanico spot Nintendo, che ha però avuto il pregio di mostrarci l'arrivo della rivoluzione videoludica. Un passaggio culturale che ha visto sbocciare videogiochi sempre più complessi, fiere dedicate all'intratenimento elettronico, eventi mediatici immensi e tornei agonistici.
Si tratta insomma di una porzione di questa realtà odierna, ancora incompresa da molti, che Gamer, in uscita in questi giorni nelle sale, esalta, sottolinea e reinterpreta in chiave fantascientifica, aggiungendo alla ricetta una sana dose di violenza e di passione per il videogioco moderno. E Neveldine e Taylor, registi anche della serie Crank, devono amare parecchio il mondo dei videogiochi visto che spesso trattano i protagonisti dei loro film proprio come avatar videoludici. Gli eroi creati dal nuovo duo d'azione cinematografico sono infatti macchine da guerra indistruttibili ed egocentriche. Esseri che hanno uno scopo ben preciso da raggiungere per far sì che l'avventura giunga a conclusione. Ma con Gamer i due autori hanno smesso di ispirarsi semplicemente al mondo dei videogiochi e sono arrivati a parlarne direttamente. E se alcuni elementi sono estremizzati per esigenze cinematografiche, come il first person shooter con veri esseri umani a fare da bersagli, altre questioni sono piuttosto attuali. Parliamo della corsa all'avatar per provare sensazioni che il nostro corpo non ci regala, del bisogno di distrazione assoluto, delle relazioni frammentarie e dell'informazione che rischia di diventare parziale se filtrata solo dai social network che non hanno bisogno di riscontri reali.
La pellicola si concede qualche ovvia licenza e non parla quasi mai di costi, prezzi e tecnologie. Le incongruenze sarebbero giocoforza troppe. Ma, a differenza di altri film hi-tech, introduce con una certa coerenza tutta una serie di concetti e di termini che fino ad oggi erano preclusi al cinema di massa.
Ed ecco comparire il ping, ovvero il ritardo tra client e server, accompagnato dalle mod, dai potenziamenti e dal termine cheater. Tutti elementi presenti negli sparatutto in prima persona e che, pur non essendo usati in modo approfondito, per una volta sono utilizzati nel giusto contesto.
Ma Gamer non si fa scappare nemmeno tendenze più recenti, mostrandoci gli hardcore gamer e introducendo banner pubblicitari all'interno delle arene videoludiche. Inoltre in qualche frangente la pellicola anticipa persino il mercato, anche se di poco, consentendo ai videogiocatori di manovrare i personaggi con una tecnologia molto simile a quella del Natal targato Microsoft.
Eros e Tanathos nell'epoca del digitale
Il punto di partenza è Society. Un mondo virtuale chiaramente ispirato a Second Life e fatto di emoticons, musica, sessualità, incontri occasionali e follie di ogni tipo. L'unico dettaglio è che in Society sono attori reali quelli che compiono le azioni decise dal giocatore e non ci sono quasi limiti alla libertà di azione di chi gioca. E mentre l'utente è al sicuro nella propria stanza, altrettanto al sicuro non sono i corpi degli avatar, qua simulacro di concetti etici che vengono tracimati da una distanza digitale che impedisce all'utente di prendere coscienza di cosa sta facendo. Il giocatore diviene cosi vittima delle possibilità del digitale, superiori a quelle del reale, ma castrate da uno schermo che ci si illude di attraversare con azioni sempre più esagerate, sempre più eclatanti e sempre più alienanti. Un'alienazione il cui naturale prodotto non può essere che Slayers. Un nuovo videogioco incentrato sull'utilizzo di avatar in carne ed ossa che utilizza la formula più immersiva di sempre. Lo sparatutto in prima persona. Nonostante i colori delle arene richiamino più Resistance o comunque aree lontane dalla realtà contemporanea, il film affronta il desiderio sempre più forte di giocare a videogiochi realistici, di provare l'autentica emozione della guerra. Una formula citata direttamente sul retro di parecchie custodie di sparatutto in prima persona e che richiama alla mente più Modern Warfare che Quake 3, nonostante sia quest'ultimo il creatore del concetto di Arena virtuale. Ovviamente Slayers trascende la serie targata Infinity Ward regalando ai giocatori la possibilità di impersonare avatar in carne ed ossa che vengono massacrati da vere e micidiali armi da guerra. E i videogiocatori, e qua invece è proprio Quake a sentirsi chiamato in causa, sono vere e proprie star che hanno la fortuna, o abbastanza denaro, di poter giocare a Slayers, mentre il pubblico acclama e giudica le loro performance senza quasi cogliere la differenza tra finzione e realtà.
Una immaginario reale
L'immaginario di Gamer è eccessivo, cinematografico e rumoroso. Ma la tecnologia mostrata dal film ha le proprie radici ben piantate nella nostra realtà. E altrettanto reali sono alcuni dei pericoli e delle possibilità che scorgiamo qua e la nella pellicola. D'altronde le tute che permettono di sentire il tocco di un altra persona a migliaia di chilometri di distanza sono già realtà. I videogiocatori che passano alle mani in un LAN bar sono cronaca. E le ore che spendiamo per conoscere persone su Second Life, Facebook o in un phone bar sul lungo mare sono parecchie. Il bisogno di sentire l'altro, ovvero ciò che noi non siamo in tutte le sue forme, è un qualcosa che ci pervade da sempre ed è proprio il videogioco che oggi ci da la possibilità di sfogare questo desiderio. Non è un caso che l'immaginario che fonde cinema e videogioco possa contare su esponenti di primissimo piano come Mamoru Oshii e David Cronemberg che hanno rispettivamente realizzato Avalon ed Existenz.
Ma anche il cinema italiano ha detto la propria in merito, e lo ha fatto con una certa autorità grazie a Nirvana di Salvatores che rimane una delle rare pellicole al passo con i tempi del nostro cinema contemporaneo. Ma è The Running Man il film che ha ispirato direttamente Gamer e che ha mostrato con maggior forza il legame tra pulsioni umane e sviluppo tecnologico. La storia, ispirata ad un racconto di Stephen King, narra le vicende di un manipolo di gladiatori moderni che hanno la possibilità, come accadeva a Roma un paio di millenni or sono, di riscattarsi vincendo combattimenti quasi impossibili di fronte ad un pubblico in cerca di emozioni forti. Un pubblico che oggi può guardare tutto da casa e che può comunque volgere il pollice verso il basso per decidere la sorte dei propri eroi. Ma si tratta di eroi che l'evoluzione tecnologica ha trasformato in esseri digitali e che speriamo restino tali.