Che fine hanno fatto... è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.
Nella sconfinata galassia dei giochi di ruolo di stampo nipponico, la serie di Shadow Hearts è considerata senza ombra di dubbio una delle più interessanti in assoluto dagli appassionati del genere, anche per via di alcuni particolari che di fatto l'hanno resa unica agli occhi dei più esigenti videogamer, come avremo modo di approfondire nel corso del nostro articolo.
Iniziata ormai nel lontano 2001 da Aruze Team, questa saga stupì fin dagli esordi per le ambientazioni e le tematiche adottate: contrariamente a quasi tutto il resto delle produzioni di genere, infatti, l'utente si trovava di fronte a una serie di scenari storici nell'Europa di inizio secolo prima dello scoppio della Grande Guerra (Shadow Hearts) e durante (Covenant). Al fianco degli eventi di quella tragedia mondiale gli sceneggiatori avevano poi posizionato i loro personaggi, tra l'altro atipici per un gioco di ruolo di stampo nipponico, coinvolgendo perfino persone realmente esistite, come la principessa russa Anastasia, figlia dello Zar Nicola II, e sviluppandovi attorno una trama che intersecava abilmente elementi reali con altri più prettamente fantastici, con una spruzzata di situazioni gotico-dark davvero azzeccata. A completare il tutto c'era infine un interessante sistema di gioco che fondava il battle-system sul cosiddetto "Anello del Giudizio" (Judgment Ring) e sui Sanity Point. Il primo era il fulcro attorno al quale l'utente poteva far eseguire ai personaggi controllati ogni tipo di azione, mentre i secondi costituivano di fatto una sfida nella sfida in quanto influivano sulla sanità psichica dei membri del party causando loro una serie di problemi. Ma di tutto ciò parleremo più dettagliatamente tra poco. Per adesso diciamo solo che tutti questi elementi chiave, messi assieme, regalarono al pubblico una saga di GDR di culto, particolare e a suo modo affascinante. Eppure, nonostante ciò, da anni ormai non si parla di un possibile quarto capitolo. Ma procediamo con ordine.
Judgment Ring e Sanity Points
Se dal punto di vista strutturale quest'ultimo era simile a tanti altri prodotti del genere, con quindi la possibilità di esplorare aree, interagire con NPC, fare side quest, level-up, utilizzare oggetti e affrontare combattimenti a turni casuali, diverso era l'approccio che Shadow Hearts offriva ai giocatori durante i combattimenti. Come anticipato in apertura articolo, era presente un indicatore circolare chiamato Judgment Ring, l'elemento chiave attraverso il quale costruire le azioni dei membri del party in battaglia e non solo (serviva pure per esempio nei negozi per ottenere sconti sulla merce).
Questo sistema si basava sul presupposto che il videogamer doveva interagire maggiormente con quanto avveniva sullo schermo anche dopo aver impartito gli ordini ai personaggi. Per cui, una volta selezionata da menu l'azione da far compiere a un eroe, il Judgment Ring appariva nella parte alta a destra dello schermo. Al suo interno una linea si muoveva seguendo un percorso circolare, fra sezioni contenenti degli "spicchi" di vario colore, come la lancetta di un orologio. La cosa funzionava un po' come il sistema di caricamento di alcuni giochi di golf: bisognava far fermare l'indicatore nel punto dell'anello voluto per determinare l'inizio dell'azione stessa e quante "mosse" il personaggio avrebbe poi potuto eseguire. Come dire, ad esempio, che se c'erano tre segmenti colorati allo stesso modo nel disco e si prendevano tutti con la "lancetta", il personaggio controllato al momento dell'attacco avrebbe inferto tre colpi specifici in sequenza al nemico, e cosi via. Saltare un'area implicava la riduzione del numero di attacchi contro l'avversario o la perdita del turno stesso. Fondamentale in tal senso, quindi, una buona scelta di tempo nel pigiare l'apposito tasto.
Ogni personaggio aveva la sua dotazione di punti ferita, punti magici e punti che ne definivano l'equilibrio mentale: poiché all'interno del gioco si aveva a che fare con forze arcane e demoniache, ogni personaggio doveva fare i conti anche con la sua capacità di sopportare quegli strani fenomeni. Il tutto veniva gestito attraverso i Sanity Points, che determinavano quanto tempo un combattente poteva rimanere sul campo senza mostrare segni di squilibrio e decrescevano man mano che si combatteva. Quando arrivavano a zero, i personaggi subivano degli status alterati diventando spesso incontrollabili e dannosi per il team.
Shadow Hearts
Il primo capitolo della saga uscì sul mercato nel 2001 e a dispetto di una realizzazione tecnica non eccelsa, probabilmente dovuta al fatto che il gioco era stato progettato originariamente per la prima Playstation e solo in un secondo momento poi dirottato su PlayStation 2, venne particolarmente apprezzato anche se solo da una ristretta cerchia di appassionati. Shadow Hearts fu infatti snobbato dal grande pubblico europeo forse anche perché quest'ultimo, tra le altre cose, venne abbagliato dalla bellezza di un titolo analogo uscito proprio in quel periodo, e cioè Final Fantasy X.
Di fatto il gioco verrà riscoperto dalla massa solo dopo l'uscita del suo secondo episodio qualche anno dopo. Tornando comunque a noi, Shadow Hearts da un certo punto di vista si poteva considerare una sorta di sequel spirituale di un altro prodotto di genere realizzato su PlayStation da Sacnoth, cioè il sottovalutato Koudelka. Da esso il primo mutuava ambientazioni, varie locazioni e personaggi, come per esempio l'alchimista Roger Bacon. Per quanto concerne la trama il videogioco era ambientato nel 1913 e vedeva protagonista un giovane di nome Yuri, il quale iniziando a sentire dentro di sé una voce che lo invitava a cercare e salvare una ragazza di nome Alice Elliot, partiva per una lunga avventura che lo avrebbe poi portato a vedersela inizialmente con il diabolico Dehuai, un potente stregone deciso a distruggere il Giappone e a conquistare la Cina con un oscuro incantesimo, e successivamente con Albert Simon. Yuri possedeva il potere della Fusione che gli consentiva di fondersi con alcuni demoni per poi assumerne la forma e le relative abilità magiche. Tale dono però costituiva anche un grosso problema per il ragazzo: il contatto con queste creature malefiche gli provocava dei grossi disturbi psichici che lo costringevano di volta in volta a compiere un periodico viaggio mentale all'interno di un cimitero ultraterreno dove "depurarsi" dal male per preservare la propria integrità e dove affrontare delle creature, sconfitte le quali potevano poi essere implementate nel suo bestiario di trasformazioni.
Shadow Hearts: Covenant
Nel febbraio del 2004, data giapponese, arrivò il sequel. Sviluppato sempre dai ragazzi di Sacnoth, divenuti nel frattempo Nautilus, Shadow Hearts: Covenant presentava finalmente una realizzazione tecnica degna delle potenzialità di PlayStation 2, con una grafica all'altezza della concorrenza e un'ottima colonna sonora realizzata dal duo Yoshitaka Hirota/Yasunori Mitsuda, già autori delle musiche del primo Shadow Hearts. Tra l'altro, contrariamente a quanto accade per altre saghe più famose, questo titolo era davvero il continuo del primo episodio.
Il gioco era infatti ambientato alcuni anni dopo i fatti narrati nel primo capitolo della saga: in una Europa sconvolta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, le truppe di invasione tedesche penetravano in Francia, ma nel loro incedere all'interno del territorio transalpino trovavano un ostacolo inaspettato nella tranquilla cittadina di Domremy, paese natale di Alice, dove venivano annientati da un demone antropomorfo all'interno della chiesa locale. Questa creatura altri non era che Yuri in una delle sue fusioni. Da lì in poi iniziava per il giocatore una lunga avventura in giro per il Vecchio Continente. Dal punto di vista del gameplay, pur mantenendosi nell'ambito di una certa tradizione errepigistica, il gioco presentava lo stesso battle-system del predecessore, arricchito però da parecchie migliorie. Incentrato sempre sul sistema a turni, esso offriva infatti un maggior numero di anelli, più opzioni di customizzazione degli stessi attraverso il ritrovamento e l'uso di particolari oggetti, e una più ampia scelta di proprietà da integrarvi. Inoltre il Judgment Ring era soggetto agli effetti di alcuni Status alterati, come i personaggi, i quali potevano utilizzare delle magie semplicemente equipaggiando le cosiddette Crest, oggetti identificabili come libri che contenevano dei particolari incantesimi in grado di donare al personaggio al quale venivano assegnati nuove abilità. Infine le combo, legate in questo Covenant anche alla disposizione dei personaggi del gruppo sul terreno di scontro. Nonostante fosse possibile schierare solo quattro elementi del party durante i combattimenti, fra quelli disponibili, una volta terminato lo scontro i punti EXP venivano equamente divisi anche con coloro che non avevano partecipato attivamente alla battaglia, attribuendo più punti a chi aveva lottato sul campo e meno a chi era rimasto nelle retrovie. In questo modo non si creavano eccessivi stacchi fra i livelli di alcuni PG e quelli meno utilizzati dal videogiocatore.
Shadow Hearts: From the New World
Con il successo di Covenant era quasi inevitabile attendersi un terzo capitolo. Così, ad appena un anno di distanza, almeno sul mercato asiatico, ecco arrivare nei negozi Shadow Hearts: From the New World. Il gioco non era stavolta però un sequel vero e proprio e non presentava alcun legame narrativo con i predecessori. Anzi, tutto, dal cast dei personaggi alle ambientazioni era completamente diverso. Abbandonati gli scenari gotici dell'Europa di inizio 900, il gioco era infatti "passato" ad ambienti molto colorati e brillanti situati negli Stati Uniti degli anni '30, da Chicago al Grand Canyon fino a Roswell passando per il carcere di Alcatraz, con una perizia di particolari ed una cura scenografica di ottima fattura.
Il risultato era un gioco concettualmente simile al predecessore, ma "diverso" anche visivamente, che perdeva quel fascino goticheggiante che aveva caratterizzato fino ad allora la serie grazie anche agli scenari di una decadente Europa bellica, e al carisma del protagonista, Yuri. Stavolta "l'eroe" era un normale ragazzotto di nome Johnny Garland che negli Stati Uniti della grande depressione, del proibizionismo, dei gangster come Al Capone e del Charleston, a New York gestiva un'agenzia investigativa insieme all'amico Lenny, un gigantesco colored molto protettivo e di poche parole. Un giorno nel loro ufficio si presentava il professor Gilbert dell'Università di Arkham per offrirgli un particolare incarico dal quale poi sarebbe partita una lunga avventura ricca di colpi di scena, creature demoniache e humor. Dal punto di vista del gameplay il fulcro dell'azione ruotava pure qui ancora una volta sul Judgment Ring. Non accadeva nulla senza di esso: attacchi, uso degli oggetti, magie, difese, quiz, mini giochi. Il battle-system veniva riproposto in una versione praticamente identica al passato insomma, ma con l'aggiunta di una inedita opzione per effettuare attacchi doppi, e la semplificazione della gestione delle Combo. Pur non riscontrando gli stessi favori del pubblico come avvenuto per Covenant, questo From the New World venne comunque apprezzato da una buona fetta di appassionati di GDR giapponesi, al punto che già nelle settimane successive al rilascio sul mercato nipponico si vociferava di un possibile quarto episodio. Ma poi tutto tacque e di un eventuale Shadow Hearts 4 si persero le tracce. La speranza è che prima o poi qualcuno si ricordi di questa interessantissima saga e decida di ripresentarla, magari senza stravolgerla troppo come va di moda ultimamente, per le nuove console sul mercato. Specie in un periodo in cui di giochi di ruolo vecchio stampo non se ne vedono più da tempo e i fan sembrano sentirne il bisogno.