Pubblicato nel 1992, Alone in the Dark è stato il primo survival horror in tre dimensioni con scenari bidimensionali, inquadrature claustrofobiche e personaggi poligonali, che si muovevano all'interno dell'ambientazione nel tentativo di risolvere enigmi e sopravvivere all'attacco di creature raccapriccianti, in primo luogo zombie. Tutto ciò quattro anni prima di Resident Evil.
Il classico di Infogrames creato e diretto da Frederick Raynal, che si ispirava all'orrore cosmico dei romanzi di Lovecraft pur citando anche le produzioni cinematografiche di George Romero, ha insomma contribuito in maniera fondamentale a dar vita a un genere che ancora oggi gode di ottima salute, come dimostrano tanto la già citata serie Capcom quanto il recente e straordinario Alan Wake 2.
Ebbene, abbiamo provato Alone in the Dark per alcune ore e parlato con i producer Michael Paeck e Andreas Schmiedecker di THQ Nordic per comprendere la natura e i segreti di questo ambizioso remake.
Storia: Derceto! Derceto! Animo inquieto!
1930: nel cuore della Louisiana, due persone raggiungono in auto la remota villa di Derceto, che nel remake è diventata una casa di cura per persone mentalmente instabili. Si tratta di Emily Hartwood, nipote di un ospite della struttura, Jeremy, scomparso dopo averle scritto una lettera inquietante; ed Edward Carnby, un investigatore privato che la donna ha assunto perché la aiuti appunto a ritrovare suo zio.
Giunti sul posto, i protagonisti del gioco (possiamo scegliere se controllare l'uno o l'altro, con alcune differenze in particolare per quanto concerne i personaggi che incontreremo) si ritrovano di fronte un'enorme residenza apparentemente disabitata e riescono a entrare, solo per scoprire che l'edificio è tutt'altro che abbandonato e al suo interno ci sono ancora diverse persone fra cui la piccola Grace Saunders, un'arcigna governante e il dottor Gray, che ha in cura i pazienti.
Superate le iniziali resistenze della servitù, a Emily ed Edward viene concesso di visitare la stanza di Jeremy Hartwood ed è a partire da lì, da un misterioso autoritratto dipinto dall'uomo, che gli eventi assumono una piega imprevista. Ci sono infatti oggetti all'interno della magione che aprono le porte di un mondo diverso, distante, oscuro, e non ci riferiamo alle chiavi.
Catapultati senza preavviso in questi luoghi, i due personaggi si trovano a dover affrontare situazioni al limite, sotto la costante minaccia di orde di raccapriccianti creature che sembrano composte di fango, sangue e terra, disegnate dall'artista Guy Davis, noto per le sue collaborazioni con Guillermo del Toro. Dopodiché si ritrovano nuovamente a Derceto, senza capire se l'incubo appena vissuto è stata una semplice visione.
La trama del remake di Alone in the Dark, scritta e diretta dal brillante Mikael Hedberg, autore di titoli come SOMA e Amnesia: The Dark Descent durante il suo periodo in Frictional Games, promette già dai primi capitoli una rivisitazione globale del survival horror targato Infogrames, che non si limita agli eventi del primo capitolo bensì attinge anche al sequel (vedi la piccola Grace) e persino alle note per dar vita a nuovi personaggi e situazioni inedite.
Complice la colonna sonora dark jazz (anzi, doom jazz) firmata da Jason Kohnen, le atmosfere del gioco risultano fin da subito molto particolari e si raccordano in maniera efficace con le interpretazioni degli attori, con David Harbour e Jodie Comer che ovviamente spiccano rispetto al resto del cast: i producer Michael Paeck e Andreas Schmiedecker ci hanno confessato che le loro performance hanno spinto il team di sviluppo a modificare determinate sequenze per valorizzarle ulteriormente.
Struttura e gameplay: Derceto! Derceto! Oscuro è il tuo segreto!
Avendo di fatto inventato il genere così come lo conosciamo oggi, Alone in the Dark adotta con questo remake una struttura tradizionale ma peculiare, divisa in compartimenti stagni ma sempre pronta a sorprenderci nell'improvviso e inaspettato passaggio dal mondo reale al, uh, luogo oscuro verso cui Jeremy Hartwood ha di fatto aperto un varco.
La mappa dell'enorme villa indica le stanze che abbiamo visitato, quelle che abbiamo "completato", le porte chiuse e quelle aperte, gli eventuali enigmi da risolvere grazie all'impiego di specifici oggetti o magari ricorrendo a note, diari e indizi che ci forniscano la possibile soluzione: non c'è nulla di particolarmente originale in questo approccio, ma la sua implementazione funziona molto bene ed è ciò che conta davvero.
Paeck e Schmiedecker ci hanno spiegato che ambientare l'intera campagna fra le mura di Derceto, come avveniva nel gioco originale, sarebbe stato parecchio limitante. Ed è così che è nata l'idea di queste porte che danno su luoghi diversi, distanti, oscuri e infestati, dove non ci sono schemi che tengano bensì solo un'angoscia che gli sviluppatori hanno cercato di rappresentare nella maniera migliore possibile.
Il sistema di combattimento consente di affrontare i nemici utilizzando armi da fuoco ma anche spranghe e lame, nonché di sfruttare diversi oggetti presenti all'interno dello scenario, ad esempio dei mattoni, per lanciarli addosso ai mostri nel disperato tentativo di mantenere le distanze e impedire che con un repentino scatto ci siano subito addosso, visto che i danni che infliggono sono significativi.
Abbiamo apprezzato queste soluzioni e la sfida in generale, che prova a dare un'idea di come una persona normale (e non un supereroe alla Resident Evil, hanno sottolineato i producer) si comporterebbe in tali frangenti. La schivata è efficace ma la sua è una portata limitata, com'è giusto che sia, mentre ricaricare la pistola richiede secondi che spesso non ci vengono concessi, spingendoci a ripiegare dunque su meccaniche di fuga e sul già citato lancio degli oggetti alla disperata.
Bisogna però ammettere che allo stato attuale gli scontri mancano di pulizia e solidità, c'è una chiara sensazione di approssimazione che emerge in particolare quando le distanze si accorciano e si ricorre al melee, dunque è di vitale importanza che i mesi che ci separano dall'uscita di Alone in the Dark (il gioco è stato nuovamente rinviato nei giorni scorsi) vengano impiegati per affrontare la questione nel migliore dei modi e apportare le necessarie rifiniture.
Realizzazione tecnica: Derceto! Derceto! Non tornerai più indietro!
Sul piano puramente tecnico, Alone in the Dark si muove fra alti e bassi, alternando sequenze suggestive e soluzioni ben poco convincenti. Il problema non è l'Unreal Engine 4, che pure ha dato ampia dimostrazione delle sue capacità nel corso degli anni, quanto piuttosto un mix di geometrie, animazioni e soprattutto effettistica che spesso restituiscono la sensazione di un titolo datato.
Ci mettono una bella pezza le prestazioni attoriali dei protagonisti, Harbour in particolare, nonché una direzione artistica che si dimostra sempre capace di inquadrare bene le situazioni, creare la giusta atmosfera anche grazie al sound design e magari sorprenderci con l'improvvisa comparsa di un mostro. Quella che si consuma nel gioco è insomma una sfida disperata fra abilità e tecnologia, con la prima che cerca di arginare le mancanze della seconda.
Un contrasto che dubitiamo premierà il gioco in fase di recensione, specie agli occhi di chi pretende una grafica necessariamente di nuova generazione anche dai doppia A, ma che ha comunque dei risvolti positivi. Siamo infatti riusciti a ottenere 60 fps quasi incrollabili a 2160p e con tutte le regolazioni al massimo ricorrendo a un intervento tutto sommato blando dell'upscaling (sono supportati sia DLSS che FSR) con una RTX 4070.
Non c'è alcun dubbio che Pieces Interactive abbia affrontato con passione, coraggio ed entusiasmo la sfida di realizzare un remake di Alone in The Dark, e i nomi coinvolti nel progetto lo testimoniano in maniera eloquente: dal cast di attori allo sceneggiatore e game director, dal creature designer al compositore, c'è davvero parecchio talento al servizio di questa produzione. Sono due per il momento le perplessità, legate ai combattimenti e al comparto tecnico: riuscirà il team a rifinire questi aspetti da qui al 20 marzo?
CERTEZZE
- Storia e direzione molto promettenti
- Impianto solido per esplorazione e puzzle
- Ottima atmosfera, Harbour ci mette il suo
DUBBI
- I combattimenti non convincono
- Grafica un po' datata
- Tanti aspetti ancora da verificare