Definire un professionista multiforme come Christian Cantamessa è davvero complesso: forse le parole migliori per descriverlo sono "esploratore crossmediale". Nella sua lunga carriera si è mosso tra vari mondi, dai videogiochi, passando per il cinema, fino ad arrivare alla scrittura, sempre con risultati eccellenti - e ci ha raccontato di aver intenzione di continuare così, in un affascinante percorso di convergenza tra più media.
Cantamessa vive da molti anni negli Stati Uniti, ma è tornato in Italia (è nato a Savona) per un evento davvero particolare. Inserito tra i Play Masters della mostra "Play - Videogame arte e oltre", all'interno della sezione dedicata a cinque figure iconiche che hanno contribuito in maniera significativa all'affermazione e all'evoluzione dell'industria dei videogiochi, Christian Cantamessa è stato chiamato a dialogare con il critico cinematografico Steve Della Casa proprio nella splendida cornice dell'esposizione, la Reggia di Venaria Reale. L'incontro, intitolato "L'arte della sceneggiatura tra cinema e videogioco", ben inquadra le ibridazioni portate in ambo i settori da Cantamessa, grazie ai suoi ampi interessi e alle sue competenze trasversali.
Abbiamo avuto l'occasione di parlare con Christian Cantamessa e di toccare gli argomenti più vari, parlando di ciò che rende unici i videogiochi, del ruolo della critica, dell'impatto della pandemia sul mondo dei videogiochi e del cinema, di Lara Croft e di esplorazione di mondi possibili, a cavallo tra varie forme d'arte.
Essere in mostra
Trovarsi al centro di un'esposizione museale deve essere un'esperienza davvero unica. "È una sensazione particolare", dice Cantamessa, "prima di tutto è un grande onore, e sinceramente non mi aspettavo di essere posto di fianco a mostri sacri come quelli presenti nella mostra. Personalmente ho la tendenza a non accettare molto bene i miei successi: per me l'asticella si alza sempre di più ogni volta che raggiungo un traguardo. Lo apprezzo molto, ma per me c'è ancora tanto da fare".
In effetti, ripercorrendo la carriera di Christian Cantamessa si avverte un'urgenza di percorrere strade sempre nuove, perfezionando nel frattempo ciò che si è già costruito. Dopo gli inizi in Ubisoft e Trecision, è stato protagonista di titoli come Grand Theft Auto: San Andreas (come Level designer), Manhunt (in qualità di Lead level designer e sceneggiatore) e Manhunt 2 (come Lead designer e sceneggiatore). È il ruolo di Lead writer e designer a metterlo in luce nella scrittura di Red Dead Redemption, in cui ha raccontato la fine del West come una vera e propria distopia per i protagonisti ("Se sei un cowboy si tratta della fine del mondo per te", ha commentato). Cantamessa è collocato nella mostra proprio per i suoi contributi alla definizione del videogioco come medium capace di raccontare storie profonde e coinvolgenti, all'insegna di un'ibridazione con altre forme d'arte. "Pablo Picasso diceva che i cattivi artisti copiano, i geni rubano", dice, "trovo unico l'approccio della mostra all'aspetto culturale e l'accostamento dei videogiochi a forme d'arte più classiche, come la pittura e il cinema. I videogiochi sono cannibali di tutte le forme espressive e d'intrattenimento che esistono".
Non solo: ormai anche i videogiochi stessi sono fonti d'ispirazione per altri media, come il cinema e la televisione. "Ora cominciamo a vedere nella TV e nel cinema un approccio al linguaggio dei videogiochi che va oltre il semplice adattamento del concept. Show come Russian Doll e Westworld ammettono chiaramente di aver guardato al mondo dei videogiochi: la protagonista di Russian Doll è una sviluppatrice di videogiochi e i creatori di Westworld hanno affermato di essersi ispirati a Red Dead Redemption. È interessante vedere come il videogioco è stato ricevuto dalla comunità non soltanto dei videogiocatori, ma anche dalla comunità degli scrittori in generale".
Studio e creatività
Di Christian Cantamessa colpiscono la vastità d'interessi, l'occhio attento e curioso, e al contempo il rigore nello studio necessario per affrontare progetti e avventure sempre nuove. Quali letture lo hanno ispirato di più, facendogli immaginare una vita come creativo? "Quando frequentavo le scuole medie ho letto Il Signore degli Anelli", racconta, "ci sono tantissimi libri che mi hanno colpito quando ero un ragazzino, ma l'opera di Tolkien e 1984 di George Orwell hanno lasciato su di me una forte impressione".
Il cinema lo ha spinto a mettere le mani in pasta, a cimentarsi concretamente nella comprensione dei linguaggi e dei meccanismi che stanno dietro al grande schermo. "Verso i 13 anni ho cominciato a ricreare con i miei amici il film Ghostbusters, fotogramma per fotogramma: è stata la prima volta in cui ho iniziato a lavorare sul linguaggio del cinema e sul suo funzionamento". Armato di pazienza e di una videocamera regalatagli per il diploma di terza media, ha trascritto le battute del film guardando la videocassetta - non aveva accesso al copione - e ha trascritto anche il set up dei vari fotogrammi, cercando soluzioni creative (e a bassissimo budget) per far rivivere la pellicola in un contesto del tutto diverso. "Ricordo che per la scena della bibliotecaria abbiamo chiamato una nostra amichetta, l'abbiamo riempita di borotalco nei capelli e abbiamo predisposto un sistema fatto con le tende di casa per far volare i libri!", racconta divertito.
Anche il mondo dei videogiochi ha esercitato su di lui una forte influenza. "Innanzitutto, The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Un mondo aperto che ha cambiato il mio modo di pensare ai videogiochi". E poi The Secret of Monkey Island, con la sua brillante vivacità narrativa: "È stata la prima avventura grafica che ho giocato. Ero adolescente, ed è stato il primo titolo a farmi capire che i videogiochi possono raccontare una storia. Ancora oggi The Secret of Monkey Island funziona alla perfezione e ha dei personaggi tridimensionali, che ti spingono a seguirli per tutto il loro percorso".
Questo bagaglio culturale e la voglia di attingere da più fonti d'ispirazione sono stati essenziali soprattutto quando Warner Bros. ha chiesto a Cantamessa di collaborare alla creazione delle storie di La Terra di Mezzo: L'Ombra di Mordor prima e La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra poi, entrambe ambientate nell'universo creato dalla penna di J. R. R. Tolkien, ma dotate di forti elementi di originalità. "Inizialmente la mia reazione è stata di felicità ed entusiasmo in quanto fan", racconta Cantamessa, "potermi riavvicinare alle opere di Tolkien è stata per me una ragione di grande gioia.
Dopo aver accettato, però, è nata un'ansia, una trepidazione dovuta non tanto a quanto avrebbero potuto dire gli appassionati - tra questi mi metto in prima fila - ma perché Il Signore degli Anelli è un'opera letteraria talmente importante, che ha cambiato la vita a talmente tante persone, che diventa inevitabile provare un senso di forte responsabilità". Cantamessa ha evocato un'immagine molto efficace per descrivere il suo lavoro narrativo all'interno del canone tolkieniano: "È come entrare in casa di qualcuno e sistemare un nuovo quadro. Deve essere compatibile con il resto del design, altrimenti è fuori posto e hai fatto un lavoraccio... E devi fare attenzione a non spaccare nulla mentre posizioni quel nuovo pezzo di mobilio. Il mio approccio è stato quello di tentare di contribuire in maniera significativa nel mio piccolo, ma soprattutto avendo rispetto per il materiale originario".
Per poter dare un contributo efficace, è necessario dedicarsi a uno studio costante, nella consapevolezza che non si finisce mai di imparare. "È una bellissima parte del mio lavoro", dice Cantamessa con entusiasmo, "sono appassionato di quello che faccio. Si dice che se trovi un lavoro che ti appassiona non lavorerai mai un giorno, quindi da questo punto di vista sono fortunato. Imparare è fondamentale: ogni volta che intraprendi un nuovo progetto c'è qualcosa di nuovo, che sia l'argomento da trattare o gli strumenti da usare, che sono in continua evoluzione".
Scelte interattive, scelte significative
Da anni Christian Cantamessa si dedica soprattutto alla scrittura di sceneggiature, sia nel mondo dei videogiochi che in quello dei fumetti e del cinema. Ormai da decenni critici e accademici si concentrano sullo studio di un particolare aspetto che risulta centrale nei videogiochi: l'interattività. Cosa vuol dire scrivere una storia in cui il ruolo del giocatore e la sua agency saranno centrali? "È una domanda molto interessante. Un libro è interattivo, lo è anche una lampadina. A mio parere, la forza del videogioco è che offre due cose uniche: la prima è un valore nelle scelte aperte al giocatore, che si trova immerso in un contesto narrativo e in una serie di scelte che contribuiscono a raccontare una storia. La seconda", prosegue Cantamessa, "è l'esplorazione dello spazio. Cinema e televisione offrono forme di esplorazione di una storia nel tempo: se fermi il tempo hai un fotogramma, se il tempo scorre hai un film. I videogiochi esistono nello spazio fisico che si esplora, che siano i livelli di Super Mario o la città di Grand Theft Auto: San Andreas. Questo spazio fisico diventa spazio narrativo quando racconta una storia tramite il contesto e i suoi eventi. Questi, per me, sono i due pilastri dell'interattività nei videogiochi".
Ciò non vuol dire che Cantamessa sostenga un assurdo primato del medium videoludico su altre forme di espressione artistica: "Il cinema ha altre forme di grandezza. Questi discorsi sono sempre a livello di addizione e di condivisione, mai sostitutivi", dice, "per esempio, quando mi chiedono se la realtà virtuale rimpiazzerà i videogiochi o se la televisione rimpiazzerà la radio...", ride, "i podcast hanno dimostrato che nella contemporaneità la radio gode di ottima salute. Queste forme d'arte non sono mai esclusive, sono sempre additive".
Parlando di come il suo lavoro in ambito videoludico abbia influenzato il suo approccio al campo cinematografico - e viceversa - Cantamessa traccia parallelismi e differenze tra questi due mondi. "Una cosa che chi lavora con i videogiochi sviluppa, un 'muscolo' che bisogna allenare molto è quello del world building", spiega, "quanto si costruisce un videogioco, bisogna esplorare moltissimo quello che è il mondo che si va a creare. Alla fine, il film è una finestra su un mondo, mentre il videogioco apre una porta e ti dice 'ecco, vacci dentro'". Insomma, chi crea un videogioco deve rispondere a tante potenziali "domande" da parte dei giocatori: "Bisogna essere in grado di dire cosa c'è alla fine di una determinata strada. Il mondo non è limitato a ciò che vedi attraverso la finestra aperta dal cinema". La capacità di creare contesti vivi e vibranti è vitale per generare storie con una ricchezza che vada oltre ciò che è mostrato su schermo, spiega Cantamessa. "E poi c'è un'altra cosa che i videogiochi ti insegnano", dice, "e che è utile soprattutto nel mondo della televisione: è la capacità di creare personaggi in grado di sostenere storie che potrebbero essere serializzate, sviluppate in dei seguiti. La creazione di personaggi come quelli di Red Dead Redemption, in grado di sostenere un centinaio d'ore di contenuti e dotati di una loro evoluzione, calza benissimo con le skill necessarie per scrivere una serie televisiva. E dopo un po' di prove e fallimenti capisci che il fulcro di una storia è uno solo: i personaggi. Tutto parte da loro, perfino il mondo stesso".
Forse i videogiochi più discussi nella carriera di Christian Cantamessa sono i due Manhunt, spesso additati come cattivo esempio di violenza per i giovani: abbiamo voluto parlare di questo tema controverso con lui. "Indubbiamente, se decidi di creare un qualcosa con spirito provocatorio, come avevamo fatto noi con Manhunt, è sempre meglio avere qualcosa da dire, anche se spetta ai fruitori dire se il messaggio è passato oppure no", afferma, "la violenza fine a sé stessa non mi interessa da un punto di vista creativo, mentre la violenza usata da Stanley Kubrick in Arancia Meccanica diventa uno spunto di conversazione su un altro livello". L'idea alla base di Manhunt, spiega Cantamessa, era proprio questa: creare una riflessione riguardo alla violenza nei videogiochi, cercando di approfondire le possibili interazioni tra creatori di videogiochi e giocatori, alla ricerca del massimo impatto emotivo possibile. "La reazione del mondo a questi temi dipende da quanto nuovo è il mezzo che si utilizza per affrontare un argomento sensibile", dice, "e l'argomento della violenza è sempre delicato. Con chi è totalmente estraneo a questo medium o magari lo sminuisce, giudicando i videogiochi come prodotti esclusivamente per bambini, la conversazione non esiste, e diventa tutto un 'Stanno cercando di corrompere i nostri giovani'. È successo alla musica, ai fumetti, al cinema, alla televisione, e purtroppo succede anche ai videogiochi. Succederà anche a ciò che verrà dopo". Cantamessa, però, è ottimista per il futuro: "Iniziative come la mostra alla Reggia di Venaria Reale e la crescita delle persone che hanno fruito fin dalla giovane età dei videogiochi, con il loro ingresso in posizioni di responsabilità, permetteranno di cambiare le cose".
Il Covid-19: imprevisto e possibilità
Impossibile non toccare il tema della pandemia, che ha avuto un impatto significativo sulle vite di tutti i noi: anche i professionisti del calibro di Christian Cantamessa non fanno eccezione. "La pandemia mi ha influenzato in modi diversi, a seconda del settore lavorativo di riferimento", spiega, "quanto alle mie attività nel cinema indipendente, la pandemia ha distrutto tutti i progetti che avevo in cantiere, costringendomi a metterli nel cassetto". Nel periodo del primo lockdown era infatti impossibile filmare, poi i costi legati ai protocolli di sicurezza hanno fatto lievitare i budget a dismisura e hanno spinto il cinema indipendente in una posizione difficile. "Ora ne stiamo uscendo", dice con ottimismo, "e per fortuna anche i miei progetti stanno spuntando fuori dal cassetto. In ogni caso la pandemia ha cambiato sia la produzione che la distribuzione cinematografica in maniera abbastanza radicale".
Per descrivere cosa è stato il Covid-19 nei suoi ambiti di lavoro - e nelle nostre esistenze più in generale - Cantamessa usa due parole ben precise: "imprevisto" e "possibilità" ("mi sembra di parlare del Monopoly, ma effettivamente è stato così", commenta). Rispetto al mondo del cinema, ha visto delle conseguenze positive nell'universo videoludico. "Tutti erano a casa a giocare ai videogiochi. Il mercato è cresciuto tanto durante la pandemia: abbiamo convertito molti scettici e riportato all'ovile chi aveva abbandonato il medium. Questo fenomeno è stato legato alle restrizioni imposte con i lockdown e al desiderio di scappare verso mondi che ci permettevano di sentirci attivi. Videogiochi come Animal Crossing: New Horizons sono diventati dei veri e propri fenomeni: ci portavano su un'isola felice, dandoci la possibilità di interagire".
Quanto agli aspetti lavorativi, ci sono stati i grandi cambiamenti introdotti con il work from home. "Per uno scrittore come me, lavorare da casa è una cosa normale", ci ha spiegato Cantamessa, "vado in ufficio ogni tanto, giusto per espormi alle dinamiche dello sviluppo videoludico. Quando lavoro come regista, mi reco sul set. Oggi nell'industria è diventato normale fare moltissime attività da remoto. I videogiochi escono, i lavoratori sono produttivi e abbiamo finalmente sfatato il mito per cui se non lavori in ufficio per sedici ore al giorno allora il videogioco non esce".
I leak, la critica, l’empatia
Come ricordavamo, Christian Cantamessa ha lavorato per molti anni con Rockstar Games, contribuendo a creare alcuni dei videogiochi più memorabili del colosso statunitense. Visti i recentissimi leak che hanno coinvolto GTA VI, gli abbiamo chiesto se gli sia mai capitato di trovarsi in una situazione del genere. "Per fortuna non mi è mai capitato di vivere un episodio di simile entità in prima persona", ci ha risposto, "quello che è successo è terribile: esprimo tutta la mia solidarietà ai miei amici ed ex colleghi di Rockstar".
Cosa vuol dire, per un creativo, vedere il proprio lavoro violato in questo modo? "È terribile, perché quando tu lavori a un progetto come un videogioco ci metti dentro passione, anima, e una cosa davvero importante è che il pubblico veda il prodotto nel suo stato migliore". Cantamessa usa un'immagine tenera e bellissima per descrivere la sensazione che si prova il giorno dell'uscita del videogioco a cui tanto si è lavorato: "È come un bambino che è cresciuto e ora va al primo giorno di scuola. Lo accompagni e poi lo vedi andar via per la sua strada, capisci?". Secondo Cantamessa, uno dei problemi messi in luce da questo episodio disastroso è la scarsa capacità dell'industria di raccontare i propri processi creativi. "Come industria, potremmo fare di meglio per comunicare quello che è l'iter dietro alla creazione di un videogioco. I leak sono ingiustificabili, ma il mondo dei videogiochi non si è ancora raccontato come ha invece fatto l'industria cinematografica con i suoi numerosissimi Making Of: dobbiamo mostrare la magia del mondo dei videogiochi, che è il lavoro dei creativi coinvolti".
Raccontare e raccontarsi, dunque. Per questo abbiamo parlato anche del ruolo della critica in questo processo: possono i critici contribuire alla creazione di un legame empatico tra pubblico e sviluppatori? "La critica è fondamentale", risponde Cantamessa senza esitazioni, "è ciò che ha permesso a grandi capolavori del passato, in ogni ambito dell'arte, di elevarsi e creare spunti di conversazione. Ad esempio, quando è uscito Blade Runner [di cui quest'anno ricorre il quarantennale dall'uscita, n.d.A.], la critica è stata molto negativa, ma ha creato uno stimolo che ha portato il pubblico ad avere reazioni molto diverse, e in seguito i critici stessi a ricredersi". Si crea, quindi, un triangolo che coinvolge autori, pubblico e critica, con effetti potenzialmente benefici per tutte le parti coinvolte: "Il critico applica le proprie conoscenze per studiare il medium analizzato, creando spunti per noi autori: è un modo per imparare e confrontarsi, alla ricerca delle cose che non hanno funzionato e di quelle che hanno funzionato. Alle volte, poi, le cose funzionano, ma non vengono capite". Quanto al pubblico, "ascoltare la critica è un modo per approfondire, per scoprire interessi nuovi, e in ambito videoludico può farci capire che un videogioco non deve essere per forza divertente. C'è molto di più".
Uno sguardo al futuro
Nel corso della sua lunga carriera, Cantamessa ha lavorato anche come story consultant in progetti di assoluto spicco, aiutando i team di sviluppo a focalizzarsi su particolari aspetti e ad approfondire determinate tematiche. Nel caso di Rise of the Tomb Raider, si è trovato a confrontarsi con un personaggio femminile totemico nel mondo dei videogiochi: Lara Croft, simbolo di un cambio di rotta per quanto riguarda le donne e l'universo videoludico. "A dirlo adesso sembra impossibile, ma negli anni '90 tanti addetti ai lavori pensavano che nessuno avrebbe voluto giocare nei panni di un personaggio femminile", spiega, "anche se ai tempi del primo Tomb Raider l'aspetto estetico di Lara era in linea con i gusti del periodo, si era già di fronte a un enorme passo in avanti".
Cantamessa definisce Lara Croft "un personaggio seminale nella storia dei videogiochi", "un'icona" uscita dal videogioco per conquistare il mondo, presente sulle copertine delle riviste, nei film e nelle pubblicità. "È stato un onore per me collaborare a un franchise di così grande importanza storica", ha commentato, "il successo di Lara ha dimostrato che i detrattori avevo torto, e ha aperto le porte a tante nuove storie e progetti, fino ad arrivare a The Last of Us Parte II, che ha un indubbio debito di gratitudine verso il coraggio di Toby Gard e degli altri sviluppatori che hanno lanciato il primo Tomb Raider, assumendosi un enorme rischio".
Essendo Christian Cantamessa un ottimo conoscitore del passato del medium, gli abbiamo chiesto quali sono i suoi auspici e le sue previsioni per il futuro dei videogiochi: "Penso che il futuro del videogioco sia una strada di successo sempre più di massa, alla ricerca di nuove formule per eliminare le barriere di difficoltà di accesso, in particolare per chi è diversamente abile", ha detto, "insomma, un futuro sempre più inclusivo, con mondi virtuali che continuino a coinvolgerci creativamente e intellettualmente, non rivolti soltanto alla ristretta nicchia degli iniziati". Quanto alla sua carriera, la sua speranza è di continuare a lavorare in questo campo, proseguendo il suo viaggio di esplorazione di più forme espressive, tra cui cinema, fumetto e televisione, applicando le sue conoscenze a tutto tondo: "Sai, si parla tanto di metaverso", dice, "e una delle chiavi del metaverso è la convergenza dei contenuti. Mi piacerebbe continuare a portare questa convergenza nel mio lavoro".
Auguriamo ogni fortuna a Christian Cantamessa, coraggioso esploratore crossmediale e orgoglio italiano nell'arte del tessere storie, e lo ringraziamo per questa intervista.