Settembre 2015: esce sul mercato Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. In brevissimo tempo, dopo l'esaltazione generata da una prima sezione straordinaria, il dolore fantasma comincia ad essere percepito dai giocatori stessi. Come l'esemplificazione di un fuoco fatuo, una piccola ma incessante decomposizione organica, generata nel cuore dei tanti che si accorgono che qualcosa non torna. Pian piano quella sensazione si tramuta in certezza e The Phantom Pain si rivela per ciò che è: un titolo profondamente imperfetto, fatto di momenti tra i più alti della storia videoludica, certamente il Metal Gear Solid "giocosamente" più completo, ma contemporaneamente un'opera lontana dalla completezza. Evirato della sua stessa parte finale, non chiude un cerchio durato quasi trent'anni e lascia tutti con l'amaro in bocca. Giungo 2016: le voci su una presenza di Hideo Kojima sul palco della conferenza Sony all'E3 si rincorrono ovunque. Viene avvistato a Los Angeles e l'incredulità si tramuta presto in speranza. Dopotutto, a seguito della controversia con Konami, sembrava impossibile ritrovarsi tra le mani un nuovo titolo del game director autorialmente più influente della storia dei videogiochi. Quella speranza si tramuta in certezza quando Hideo Kojima si manifesta sul palco, esclama "I'm back" e saluta tutti con il primissimo trailer del nuovo progetto. Nove mesi dopo l'uscita di The Phantom Pain, è già lì a produrre qualcos'altro.
Death Stranding fino ad oggi
Da quella iconica conferenza del 2016 sono passati tre anni. Sony ha deciso di investire il proprio denaro lì dove Konami aveva scelto di tagliare i ponti. Tre anni nei quali si sono susseguiti trailer dal sapore cinematografico, lontani da tutto quello a cui un medium così interattivo ci ha abituato. Non è un mistero la ricerca del cinema nel videogioco da parte dell'autore giapponese, così come è legittimo non accettare un certo tipo di comportamento nei confronti dell'utenza. Mesi di silenzio e poi un trailer, per continuare con altri mesi di bocche cucite e un nuovo trailer, attendendo due anni prima di mostrare le primissime sezioni di gameplay. All'E3 del 2018 eccole finalmente arrivare. Poche e misteriose informazioni. Paesaggi sconfinati, deserti, naturalistici, nei quali si muove un personaggio con le fattezze di Norman Reedus vestito di una tuta spessa e apparentemente pesante. A rallentare ancor di più i suoi spostamenti ci pensa un carico sulle spalle, che varia nelle situazioni e nei biomi interessati, ma che lascia incontrovertibilmente comprendere come il suo lavoro di "corriere" sia esattamente il nostro obiettivo in gioco.
Ne nasceranno un'infinità di meme online, tra chi salirà sul carrozzone del "Bartolini simulator", adattato poi nell'era di Amazon in base ai propri fattorini preferiti, e chi invece proverà a scorgere qualcosa in più nella cortina di fumo, sotto il velo di Maya di una comunicazione criptica, come sempre è stato per un titolo di Kojima. Difficilmente è possibile accettare questo tipo di presentazioni per chi, in maniera totalmente legittima, pretende concretezza. Ancor di più lo diventa quando si tratta di una nuova proprietà intellettuale. È anche vero che facendo mente locale, è facile comprendere con chi si ha a che fare: basti pensare a un Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, che prometteva un protagonista conosciuto e amato da molti, salvo poi relegarlo a semplice comparsa nel giro di un paio d'ore. Lo sgomento prese il sopravvento e ancora oggi risulta difficile accettarne la scelta per molti. Questo non esclude una motivazione sensata e ideologicamente importante, che fa da sfondo a quello che è probabilmente il titolo con il più alto tasso di simbolismo di sempre.
Tornando a Death Stranding, l'opera di evangelizzazione nei confronti di un modo produttivo nuovo anche per lo stesso Kojima passa per la presentazione lunga e scaglionata di un cast fuori scala, che va da attori come il citato Norman Reedus, ad attrici del calibro di Lea Seydoux, fino alla partecipazione straordinaria di Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn. Ciò che appare incredibile è che, nonostante l'avvicinamento degli ultimi tempi dell'industria videoludica nei confronti del cinema, Death Stranding tenti la via diretta, presentandosi proprio come un prodotto dalla forte componente registica e narrativa. Alcuni tasselli cominciano ad andare al loro posto e si comprende come la ricerca di una novità nel genere degli action adventure, passi per la costruzione di universo credibile e strutturato, nel quale nulla debba accadere per caso e che unisca nel modo più interessante possibile fantapolitica e temi sociali, paranormale e tecnologia esistente, senza dimenticare i rapporti umani. Con queste poche informazioni, ma con i tanti riferimenti a mitologie preesistenti (come quella Lovecraftiana) si conclude un percorso di presentazione al pubblico tra i più polarizzanti che l'industria ricordi.
2019: cos’è Death Stranding e quando lo vedremo
Risulta certamente curioso come il trailer presentato proprio ieri, quello della definitiva data di uscita fissata all'8 novembre prossimo, sia anche quello dove vengono rilasciati più dettagli sul gameplay, ma allo stesso tempo si evita di rivelare troppo relativamente a quelle meccaniche "innovative" di cui si è discusso per anni. I nove minuti scarsi di montato, realizzati dallo stesso Kojima, alternano narrazione a giocato, in un flusso continuo di elementi che nascondono una serie di dettagli che meriterebbero un approfondimento dedicato. Qui ci limiteremo a mettere insieme i pezzi e a sciorinare quanto di concreto sia stato dato in pasto agli spettatori. Sappiamo già da tempo che Death Stranding sarà un action adventure che, come ormai di consueto, alternerà fasi stealth ad altre puramente action. Le lunghe passeggiate dello scorso anno si tramutano in scalate articolate, gestite tramite un'interfaccia minimale e dedicata alla selezione dei pochi elementi interattivi. Dal menù a ruota che viene richiamato tramite la ovvia pressione di un tasto, è possibile scegliere tra una scala allungabile, utile ad aprirsi un veloce varco verso altezze e pendii altrimenti irraggiungibili; o altrimenti un paletto al quale poter ancorare una corda per superare altezze ancor più vertiginose. Il tutto parrebbe legato alla quantità di materiali a disposizione e ogni singolo elemento è visibile sulla schiena del protagonista, come a significare il peso di ciò che si porta dietro. Non è chiaro se l'aumentare del carico corrisponderà ad una differenza nell'andamento, ma è facile vedere come i movimenti di Sam (questo il nome del personaggio interpretato da Norman Reedus) siano goffi, lenti, e probabilmente frenati da un carico troppo pesante per un essere umano.
Le scalate alle montagne, tra picchi innevati e scogliere, si tramutano ben presto nella corsa in una prateria, dove un impulso generato da qualcuno in lontananza, cerca incontrovertibilmente di scovarci. Siamo soli in uno spazio sconfinato e, in poco tempo, un gruppo di altri elementi facenti capo ad una diversa società ci attacca e tenta disperatamente di rubare il nostro carico. È a questo punto che viene presentato per la prima volta il combat system a mani nude, fatto di colpi dall'alto tasso di spettacolarità, con la possibilità di utilizzare anche elementi dello scenario per atterrare gli avversari. Neanche il tempo di prendere dimestichezza con ciò che stiamo vedendo, che la situazione si trasforma. Siamo ora in una foresta, una luce fioca illumina la strada davanti a noi e questa volta l'impulso generato è il nostro, svelandoci che a lanciarlo è una di quelle "luci" che ci portiamo dietro come fosse un sensore di prossimità, un avvertimento nei confronti di qualcosa di più pericoloso degli altri esseri umani. Alcune figure fluttuano nell'aria, come fantasmi, e sembrano alla ricerca di qualcosa. La calma del passaggio, il tentativo di sfuggire ai predatori fallisce, e ci ritroviamo a correre, inseguiti da una melma nera che sappiamo già non ci lascerà scampo. Veniamo colpiti, avvinghiati e trascinati nel sottosuolo.
Game Over, o forse no
Nonostante il trailer non specifichi cosa effettivamente accada a posteriori, le scene di gameplay che seguono, sempre intervallate da nuovi momenti di pura narrazione, sembrano metterci di fronte ad un mondo devastato, perso in un flusso di tempo distorto, dove le guerre e i massacri si fondono l'un l'altro, dividendosi tra elementi di trincea e conflitti di sfondamento, passando per soldati non morti e riferimenti al Vietnam. Difficile comprendere davvero se queste sezioni rappresentino quel mondo che vive al di sotto del nostro, quello nel quale viene "giocato" il game over, ma è evidente una distorsione temporale difficile da giustificare nel mondo reale, fosse anche il mondo di Death Stranding. A prescindere da questo, i flash di giocato ci permettono di apprendere che vivremo in prima persona questi conflitti, sia da spettatori guardando soldati correre verso la propria morte, sia prendendo finalmente in braccio un fucile e sparando a figure non morte, vestite da ufficiali di un tempo passato. È in tali sezioni che Death Stranding rivela la sua volontà di criticare il nostro passato e ciò che siamo stati, demonizzando le azioni compiute e la ricerca del potere, in grado di generare solo morte e distruzione. Sono gli ultimi momenti giocati di un trailer straordinario, che si limita ad aggiungere pochi altri secondi nella sola versione giapponese, uscita parecchie ore dopo, e che mostra quella che sembrerebbe una boss fight con una delle creature fatte di melma, chiamate BT (Beached Things) in originale e CA (Creature Arenate) nella versione italiana. Un incrocio tra un enorme calamaro ed un grande essere che cerca di fagocitarci, riuscendoci, prima di essere in grado di tentare di combatterlo con le armi a nostra disposizione.
Non è quindi dato sapere se sarà possibile affrontarle o meno a viso aperto, ma l'interfaccia ci consente di affermare con certezza che esisterà anche un livello per le bocche di fuoco a nostra disposizione. Mentre le scene cinematiche si avvicinano alla conclusione, sale la certezza di aver visto qualcosa di profondamente diverso dal solito, in grado di colpire nel segno, seppure mostrando un gameplay standard, che corre via come il nostro protagonista sulla sua moto presa di peso dall'immaginario di Akira. Siamo certi di aver assaggiato l'antipasto, scorto qualcosa di interessante in un insieme poco coeso ma affascinante, che mette insieme paesaggi e orizzonti sconfinati (scommettiamo tutti raggiungibili) con rovine a macerie di nostri errori del passato. Il tutto in un open world di cui non è dato conoscere l'entità ne' la dimensione, così come non sappiamo se l'avventura resterà lineare (ma tendiamo a scommetterlo) o si rivelerà più aperta come lo era lo stesso The Phantom Pain. Un trailer furbo, che racconta ma nasconde, presenta personaggi già esistenti e ne aggiunge di nuovi, montato con capacità e giudizio e che dimostra grande passione.
Death Stranding è quasi realtà. Tra meno di sei mesi arriverà sugli scaffali, a soli tre anni dal suo annuncio, ricordando a tutti come Kojima sia in grado di mettere insieme tanto con poco, almeno nelle intenzioni. È difficile decretare la riuscita di un titolo così sperimentale, così personale e intimo, che nasce certamente da una storia pronta già da tempo, ben prima della sua effettiva realizzazione. Si tratterà del momento nel quale l'autore giapponese dovrà scrollarsi di dosso un'eredità pesante, dimostrando di avere ancor altro da dire, ma senza parlarsi addosso. Ed è questo il pericolo più grande di Death Stranding: tra anni di proclami, di viaggi, di annunci sulla connessione tra giocatori e sull'approfondimento dei rapporti, il rischio di perdersi è certamente alto e lo sarebbe per chiunque. L'immaginario creato da Kojima è visivamente straordinario e la promessa di meccaniche particolari legate al multiplayer asincrono e all'utilizzo della "corda piuttosto che del bastone", sta a giustificare la voglia di allontanarsi dal semplice tps, almeno per tutti coloro che vogliono evitarne le oscure conseguenze. Tenere vicine le cose che contano, al contrario di allontanare quelle che ci arrecano danno. Un concetto tanto bello quanto difficile da realizzare. Certamente a giudicare da quei pochi frame di sparatorie - l'elemento meno riuscito del trailer - la voglia di uccidere soldati non morti a colpi di mitra, è l'ultima delle volontà che ci ha messo addosso quest'ultima presentazione.
CERTEZZE
- Atmosfera totalmente fuori di testa
- Narrativamente e tecnicamente spaventoso
- La grande varietà di ambientazioni
DUBBI
- Il gameplay visto finora ha poco di rivoluzionario
- Il rischio di finire mangiati dalla propria opera è sempre alto
- Le fasi TPS sono sembrate poco ispirate