Diario del Capitano
Non mi capita spesso di prendere spunto dal titolo principale per scrivere il Diario, ma questo intervento è sregolato per sua stessa natura, per la gioia di chi lo scrive e, mi auguro, per l'interesse di chi lo legge.
Pubblicando la recensione di Hidden & Dangerous II, ho ripercorso mentalmente la strada a ritroso fino al 1999, anno di uscita del primo H&D. Allora molte cose erano diverse: la New economy arricchiva ancora le persone, le dotcom non erano ancora cadute, qualcuno credeva ancora che Internet avrebbe rivoluzionato i nostri costumi, credevamo ancora di poter giocare un giorno o l'altro a Duke Nukem Forever, Romero era ancora un genio visionario in attesa di pubblicare il suo capolavoro. Giusto per citare qualcuno dei pensieri ricorrenti. Ma non è di questo che volevo parlare, ma di H&D, che allora fu una piccola fonte di sorprese, per l'ambientazione tutto sommato ancora originale e per il gameplay che presentava diversi aspetti innovativi.
Ora H&D torna, e trova il campo d'azione che si è legittimato quattro anni or sono e un tempo quasi terra vergine, pieno di concorrenti. Alcuni migliori alcuni peggiori, a conferma di quella buona vecchia regola secondo la quale chi segue la strada tracciata da altri ha la possibilità ma non sempre le qualità per fare un lavoro migliore.
Guardando il pianeta videogame oggi (in particolare il continente PC), si nota come i tactical FPS vadano per la maggiore, in particolare quelli sulla seconda guerra mondiale. Ma il mio intento non è nemmeno quello di riportare un'ovvietà, piuttosto di riflettere su come cambiano i nostri gusti: un tempo un qualunque giocatore avrebbe dato segni di cedimento al terzo titolo con ambientazione e struttura di gioco analoga, oggi sembra che i giochi dei filoni di tendenza ottengano il successo automatico tipico dei fenomeni di costume. E la cosa funziona tanto in ambito PC con i "tacticalfpssecondaguerramondiale" che su console, per esempio con i "platformdoveilprotagonistavaingiroconlamichetto". Un panorama che intristisce ancora di più lo scenario di seguiti e remake degli ultimi periodi.
Pensando a questo e chiedendomi le cause, ne ho viste due principali:
La prima, ovvia e scontata, è la riduzione del margine di rischio, un'abitudine analoga a quella a cui ci hanno abituato film, musica e libri. Se un genere funziona, lo si spreme fino all'ultima risorsa, e poi lo si lascia arido e svuotato per gli anni successivi. Sull'intelligenza e lungimiranza di questo atteggiamento ci sarebbe molto da dire. Mi limito a dire che perfino i contadini medievali scoprirono che era più saggio, sul lungo termine, ruotare le coltivazioni per non inaridire il terreno. Ma quelli ne sapevano di tuberi e legumi, non di macroeconomia. Forse per quello con tre fazzoletti di terra hanno dato da mangiare alla famiglia e agli animali per ottocento anni e una buona fetta delle aziende della New Economy ha fatto il botto in meno di cinque...
La seconda ragione è altrettanto lampante: si è fatto molto in questi anni per "far uscire il videogame dal ghetto", renderlo fruibile per le masse, dimenticando uno dei significati intrinseci della parola "massificazione", ovvero "imbecerimento". La massa porta con sè inerzia, come da legge fisica, e l'inerzia porta ovviamente alla difficoltà di movimento. In questo caso movimento dai canoni, dai binari. Non è vero che manca la carica innovativa, secondo me. Sono le energie profuse nel conferirla che non sono sufficienti. Perchè, da un punto di vista strettamente economico, è molto meno rischiso puntare su qualcosa che altri hanno sperimentato, piuttosto che su qualcosa di nuovo. Tanto la Massa, lenta e pesante nel muoversi, preferirà sempre e comunque rimanere salda fra i suoi paletti...
Massimiliano Monti, responsabile editoriale area PC.
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