Il cosiddetto crunch time è quello che da noi in Italia viene volgarmente chiamato 'straordinario'. Come la parola fa intuire, si tratta di ore di lavoro extra rispetto a quelle stabilite dal contratto lavorativo che teoricamente dovrebbero essere pagate meglio delle ore regolari. Nel 2018 se n'è discusso molto in ambito videoludico per l'emersione di alcuni casi decisamente controversi. Il più eclatante è stato quello riguardante Rockstar Games.
Parlando della lavorazione di Red Dead Redemption 2 in un'intervista, Dan Houser, uno dei boss di Rockstar, ha dichiarato candidamente: "Abbiamo lavorato per 100 ore a settimana molte volte nel 2018. Per ogni trailer di RDR 2 abbiamo probabilmente realizzato 70 versioni, ma gli editor potrebbero realizzarne diverse centinaia. Io e Sam (Houser ndr) daremo molti suggerimenti, così come altri membri del team." Per Houser sembrava quasi un vanto aver costretto molti dentro Rockstar North a lavorare a ritmi folli per chiudere Red Dead Redemption 2. Da queste dichiarazioni, incoscienti quanto sprezzanti, ne è nata un'inchiesta di Jason Schreier di Kotaku, basata su testimonianze dirette, che ha raccontato di un ambiente in cui gli straordinari venivano dati per scontati, pur non essendo teoricamente obbligatori, e in cui i lavoratori erano vessati in caso di assenze per malattia. In realtà ne parliamo al passato ma non sappiamo se la situazione sia migliorata. Sicuramente la mossa ridicola compiuta dalla dirigenza di Rockstar di 'concedere' ai dipendenti di parlare pubblicamente sui social, con nome e cognome, delle condizioni lavorative nello studio non è andata nella giusta direzione. Grazie alla vicenda di Rockstar Games comunque, sono emerse altre testimonianze, provenienti da altre software house, che hanno mostrato come l'abuso di straordinari sia diffusissimo nell'industria dei videogiochi.
Telltale e Riot
Quello di Rockstar non è stato l'unico caso del 2018 ad aver fatto emergere i problemi lavorativi all'interno di molti studi. Altro caso eclatante è stato il fallimento di Telltale Games, lo studio della serie The Walking Dead, che senza alcun preavviso nella seconda metà di settembre ha lasciato a casa più di duecentocinquanta dipendenti senza alcuna forma di indennità, pur avendo continuato ad assumere fino a pochi giorni prima della chiusura. Anche da quel caso sono emersi racconti dell'orrore di straordinari eccessivi e non pagati e di un'organizzazione interna fallace e poco attenta alle esigenze della forza lavoro. La tragedia è proseguita nei giorni seguenti, con i dirigenti di Telltale che avevano promesso ai pochi dipendenti rimasti che avrebbero continuato a lavorare ancora per qualche mese, ma che infine sono stati licenziati poche settimane dopo, lasciati anche loro con un pugno di mosche in mano.
Terzo caso del 2018, anch'esso eclatante, è stato quello di Riot Games, pur per motivi diversi dagli altri due. La giornalista Cecilia D'Anastasio di Kotaku ha scritto un resoconto dettagliatissimo e pieno di testimonianze dirette che hanno evidenziato la cultura maschilista presente nello studio di League of Legends, con esempi diretti espliciti e incontrovertibili, come quello di un'idea bocciata a una donna e poi accolta con entusiasmo quando rifatta da un uomo pochi giorni dopo. In questo caso si parla di cultura aziendale vera e propria, ma nondimeno sono emersi dei veri e propri soprusi verso alcune categorie di lavoratori, che hanno infine costretto i dirigenti di Riot a scusarsi e a prendere provvedimenti per cambiare la situazione e rendere l'ambiente di lavoro meno tossico.
Quanto è cambiata l’industria dei videogiochi?
Quando a sviluppare videogiochi erano dei ragazzetti nelle loro case o in uffici minuscoli, il problema degli straordinari o quello dell'inclusività praticamente non esistevano: i team erano molto piccoli, lavoravano per se stessi e dividevano spesso in parti uguali i ricavi, quindi non avevano orari lavorativi veri e propri, se non indicativi, perché tutto quello che facevano era in un certo senso frutto di un moto spontaneo: erano dei pionieri di un mondo che non c'era ed erano felicissimi di esserlo, spesso inconsapevolmente, anche perché non avrebbero voluto fare altro nella vita. Erano sviluppatori e contemporaneamente giocatori appassionati.
Per fare un paio di esempi, id Software sviluppò parte di DOOM in una casa per le vacanze, con il team di sviluppo che, smesso di lavorare, mangiava cibo spazzatura, beveva birra e giocava di ruolo, come raccontato nel libro Masters of Doom di David Kushner. Altro esempio, tratto dal libro Sensible Software 1986-1999 di Gary Penn, John Hare e Chris Yates di Sensible Software hanno lavorato per anni a casa di Yates prima di prendere un ufficio, condividendo di fatto tutti i ricavi dei loro giochi. Anche dopo aver aperto un ufficio vero e proprio non hanno mai preso dipendenti se non in prossimità degli anni del fallimento, ma sempre collaboratori pagati con un fisso mensile e con parte dei ricavi ottenuti dalle vendite (le royalty), come se fossero a tutti gli effetti soci di Sensible. Di altri esempi fattibili ce ne sarebbero molti, ma dovreste aver capito il punto. Oggi sviluppare un videogioco è un affare molto diverso. La passione c'è ancora, ma il singolo sviluppatore è solo uno dei tanti ingranaggi di un complesso meccanismo industriale, oltretutto sostituibile in qualsiasi momento. I ragazzetti dediti anima e corpo a inventare il mondo dei videogiochi non ci sono più, ma ci sono moltissimi professionisti di età differente, spesso con famiglie, che svolgono il loro lavoro come normali dipendenti per aziende che gli pagano un regolare stipendio. Figure di comando a parte, molti sviluppatori non hanno alcun potere decisionale e devono limitarsi a fare ciò che gli viene ordinato da dirigenti che spesso capiscono poco o nulla di videogiochi, come emerso nel recente caso Blizzard.
Il margine creativo è minimo, così come l'apporto personale. Spesso i compiti da svolgere sono ripetitivi e per nulla appassionanti, come ad esempio raccontato dallo scrittore Walt Williams nel libro Significant Zero: Heroes, Villains, and the Fight for Art and Soul in Video Games, dove viene descritta la noia di dover scrivere le migliaia di linee di dialogo dei PNG che popolano gli open world (quelli che vagano per le strade e dicono singole frasi). Immaginate anche un grafico che debba passare le sue giornate lavorative ad elaborare costumi da vendere ai videogiocatori nei negozi interni ai singoli videogiochi, vi sembra un lavoro che si svolge per vocazione? Oppure prendete i tester del reparto QA (controllo qualità), che devono provare centinaia di volte le stesse frazioni di un singolo gioco il più velocemente possibile alla ricerca di bug e problemi. Lavorare soprattutto o addirittura solo per passione, come molti videogiocatori vanno ancora pretendendo, appartiene a una dimensione differente di un mondo che quasi non esiste più, se non in minima parte sulla scena indipendente, comunque sia anch'essa molto meno vergine di quanto si pensi in termini organizzativi. Attenzione: non che molti sviluppatori non siano appassionati di videogiochi e non si dedicherebbero anima e corpo al loro lavoro (molti, del resto, lo fanno), solo che i presupposti sono molto diversi rispetto a quelli del passato e ciò che prima veniva dato per scontato non lo è più. Così, quando sono costretti a orari lavorativi opprimenti per periodi di tempo prolungati, in tanti non li vivono come un'opportunità, ma come un sopruso... guarda caso come dei normali lavoratori.
Del resto l'industria dei videogiochi è notoriamente tra le più spietate, visto che brucia un'impressionante quantità di forza lavoro ogni anno. Ovviamente prendete il discorso appena fatto come un quadro generale di una realtà molto più sfaccettata. È chiaro che un'industria che conta migliaia di società e centinaia di migliaia di lavoratori offra molti esempi virtuosi di aziende che si sono riorganizzate per venire incontro alle richieste dei lavoratori. Ad esempio è noto che Electronic Arts sia diventata molto sensibile all'argomento dopo il caso EA Spouse, nato da una lettera pubblica di Erin Hoffman, moglie di uno sviluppatore, che nel 2013 raccontò delle condizioni lavorative imposte al marito, oppure è verificato che Insomniac Games, lo studio del recente Spider-Man per PS4, sia un posto sano e ben organizzato per lavorare. Insomma, non ci sono solo Rockstar, Riot Games e Telltale Games, fortunatamente. Ciò non toglie che continuare a vedere questo mondo come fatto solo di divertimento e passione è da ingenui, nonché profondamente ingiusto proprio per le persone che ci lavorano.