Quando scrivo sul sito, spesso prediligo la prima persona plurale, quel "noi" che uso in quanto parte della redazione. Ma in questo speciale si parla di qualcosa di troppo personale per poter generalizzare, quindi concedetemi la prima singolare.
Questo perché, forse più d'ogni altro genere, l'esperienza con un soulslike è qualcosa di molto intima: ognuno di noi reagisce alla scoperta, al fallimento e al successo in modo diverso. Inoltre, un grande impatto lo ha anche il primo gioco di questo genere che si prova. C'è chi è partito dal principio con Demon's Souls, chi ha partecipato alla prima ondata di Dark Souls o chi ha deciso di iniziare cominciando dalle faide famigliari dell'Interregno di Elden Ring. E poi c'è chi, come me, si è fatto travolgere dalla decadenza e dall'orrore delle strade di Yharnam, ricevendo il suo battesimo soulslike con Bloodborne. Nella produzione di FromSoftware, questo è il gioco con l'estetica più dark e l'approccio al combattimento più aggressivo, tratto quest'ultimo che mi sono portata dietro nelle mie build in tutti i giochi di FromSoftware che ho giocato successivamente.
L'esperienza trascorsa e il percorso fatto plasmano anche l'impressione che ci facciamo quando vediamo un nuovo gioco legato al genere. E non lo posso nascondere: quando ho visto per la prima volta Enotria: The Last Song sono rimasta un po' spiazzata. Ho continuato però ad osservarlo da lontano, a seguire la comunicazione di Jyamma Games e il progressivo ingrandimento del loro gioco e del loro team. Poi, finalmente, anch'io ho avuto la possibilità di provarlo sullo showfloor del Tokyo Game Show. Ecco quindi le impressioni di una giocatrice di Bloodborne su Enotria: The Last Song.
A Yharnam non si loda il sole
Ormai ne sono abbastanza convinta: credo di avere inconsciamente dei problemi con il sole. Li ho avuti quando CD Projekt Red ha mostrato per la prima volta il trailer di Cyberpunk 2077, e di come il mio cervello rifiutasse l'idea che in una città cyberpunk, anzi, la città di Cyberpunk, ci fosse sole. Non importa se Night City si trova a metà strada tra Los Angeles e San Francisco, appollaiata su una delle coste più soleggiate del mondo. Quella luce, così accecante e calda, era insostenibile (e a onor del vero, anche William Gibson ai tempi non gradì il trailer, almeno non ero sola). Poi ovviamente Cyberpunk mi è piaciuto da impazzire, anche con il sole.
Ma ecco ripetersi, all'annuncio di Enotria, quel déjà vu del sole. Per di più in un soulslike. Abituata alla pallida e lattiginosa luce nel cielo Yharnam, vedere il primo trailer di Enotria è stato davvero strano, quasi violento in un certo senso. Il team di sviluppo poi su questo aspetto ha costruito buona parte della sua comunicazione. Con il senno di poi, provo un moto di vago senso di colpa se penso alla prima volta che ho sentito il termine "summer souls", il termine coniato proprio dai ragazzi di Jyamma Games per descrivere la loro creatura e trasmettere il concetto che si, Enotria è un soulslike e sì, c'è il sole. "Che delizioso stunt marketing" ho pensato. Poi mi sono ritrovata nella caverna all'inizio della demo provata al Tokyo Game Show, e mi sono sentita molto sciocca. Sarà che per me i fiori hanno un significato particolare, ma appena si esce dalla grotta in cui è piazzato il primo checkpoint, davanti al giocatore si staglia un enorme campo di girasoli, cullati da un gentile soffio di vento nella più vibrante golden hour vista in un videogioco. Questa cosa del summer-souls, va detto, funziona. E lo si capisce ancora meglio quando si oltrepassa la collina del campo di girasoli, arrivando sulla scogliera dove in lontananza è possibile scorgere un borgo in pietra arroccato sulla costa.
La suggestione che questa vista suscita, però, non può essere minimizzata, relegandola solo all'aspetto artistico, all'impressione generale. Una buona gestione dell'illuminazione a livello tecnico non è né scontata né tantomeno semplice da programmare. È probabile che i ragazzi di Jyamma abbiano sudato non poco sopra questo aspetto, ma il risultato ottenuto secondo me è davvero valso la pena.
La presenza della luce però non smorza il senso di costante pericolo che si avverte esplorando l'area di gioco inclusa nella demo. Tutti gli abitanti del villaggio e le casette limitrofe non sembrano stare molto bene: non attaccano a vista ma scattano all'improvviso se li provochi o semplicemente raccogli un oggetto vicino a loro. Sembrano meno minacciosi delle folle con torce e forconi di yharnamiti, ma al contempo più inquietanti.
Pulcinella come Patches
Altro elemento su cui mi sono ampiamente ricreduta e che in prima battuta non mi aveva molto convinto è la scelta di reinterpretare in chiave souls le maschere tradizionali italiane. Non ci credo che nessuno tra chi sta leggendo non abbia almeno sorriso all'idea di un Pulcinella come personaggio di un souls, magari in stile Patches (Hyena, Trusty, Untethered, Spider... la versione che vi aggrada di più), anche se dalla demo è difficile capirne il ruolo nella lore di Enotria.
Però anche quello funziona. È sicuramente più straniante della sensazione che può suscitare un Lies of P, ma credo dipenda anche dal materiale di provenienza. Per quanto la storia di Pinocchio sia tutta italiana, siamo abituati da sempre a vedere interpretazioni internazionali della storia di Collodi. Del resto molti di noi sono cresciuti con il cartone Disney, e la casa di produzione americana è famosa per aver cambiato molte fiabe con i suoi classici animati. Le maschere tradizionali invece sono qualcosa legato alla festività del Carnevale, e probabilmente in un italiano tutto questo risuona in modo diverso, almeno, dentro di me risuona in modo diverso.
L'elemento che riesce a fondere in unico l'elemento souls like e il folklore italiano è probabilmente il design dei costumi, e un po' di Bloodborne qui ce lo vedo. Per quanto lo stile di quest'ultimo sia ovviamente a cavallo tra il dark fantasy e il vittoriano con un tocco steampunk dato dalle armi, Enotria prende in prestito qualche elemento dal guardaroba dei Cacciatori: cappelli, piume, nastri e pezzi di armatura con forme slanciate e spigolose sono elementi decorativi che tornano in entrambi i giochi.
Non mi stupisce che la parte più bella del costume design siano le maschere, vista l'importanza cruciale che hanno nel gameplay (e se volete saperne di più vi rimandiamo al nostro provato della Gamescom), ma anche in questo caso non era una cosa così scontata. Nelle mie fantasie nerd, dove l'elemento meme è sempre dietro l'angolo, sogno una parata di cosplayer di Enotria al Carnevale di Venezia, magari per annunciare la data d'uscita... io, amici di Jyamma, vi metto qui quest'idea, poi fate voi.
Il ritmo della danza
Ovviamente tutto quello scritto finora è legato alle suggestioni visive di Enotria: the Last Song, a quello che il gioco trasmette guardandolo. Inutile dire che le cose si fanno davvero interessanti quando Enotria lo si gioca.
Piccolo passo indietro per rendere chiara ai più la mia esperienza. Non sono mai stata una giocatrice particolarmente brillante dei souls: porto con me alcuni successi, boss battuti al primo colpo e qualche numero notevole, ma non sono un prodigio del genere. Inoltre sono sicura di ver perso nel tempo un po' di smalto: ricordo di aver giocato a Bloodborne in modo abbastanza agile e di aver invece passato l'inferno quando arrivò tra i giochi del Plus gratuitamente svariati anni dopo, ripreso visto l'aumento di giocatori online. Rispetto a questo poi non mi sono mai fatta problemi a chiamare altri giocatori in partita nei miei momenti di difficoltà; ricordo ancora la mia boss fight contro l'Orfano di Kos come un'ammucchiata di Cacciatori, e che la Lacrima di Elden Ring è stata la mia amica più fedele nel mio viaggio nell'Interregno (che ha battuto da sola Malenia, grazie Lacrima).
La mia prova con Enotria, devo dire, è stata davvero complessa: non sono riuscita a fare mezza parata e ho sbagliato continuamente il timing di attacchi e schivate. Sicuramente devo accettare il fatto che sono invecchiata, ma non credo anche di essere diventata un totale relitto. Non sto cercando di accampare scuse, sia chiaro (che poi, perché dovrei giustificarmi per una cosa del genere?), ma l'impressione che ho avuto è che il sistema di combattimento di Enotria sia molto più profondo di quanto si possa pensare.
Tutti i soulslike hanno bisogno di un certo tempo per essere dominati dal giocatore, alcuni più di altri. Se con quelli sviluppati direttamente da FromSoftware la sensazione è quella della bicicletta, dove puoi essere arrugginito finché vuoi ma prima o poi il tuo corpo recupera la memoria muscolare del passato, acclimatarmi in un soulslike sviluppato da terzi è un processo più lento. Con Lies of P ci è voluta circa un'oretta e poi il gioco è filato via discretamente bene, ma con Enotria, in trenta minuti, mi è sembrato di non riuscire a fare nulla di costruttivo, nonostante in quella mezz'ora abbia esplorato molto bene la mappa.
E la cosa mi ha dato parecchio fastidio perché il gioco sembra invitare al giocatore a un approccio poco conservativo, dove l'aggressività paga molto di più, esattamente come in Bloodborne. Quello è il mio stile, il modo in cui mi piace giocare ai souls, serrando il combattimento e pressando continuamente il nemico, eludendo gli attacchi con parate e schivate piuttosto che prendere il tempo per scagliare attacchi potenti ma lenti. Sono certa che con più tempo e in un ambiente più tranquillo rispetto alla prova in fiera, riuscirò a dominare Enotria.
La porta si apre dall'altro lato
Dopo aver preso sufficienti schiaffi quindi, ho deciso di esplorare un po' i dintorni, facendo una corsetta di tanto in tanto per seminare i nemici, e in quel momento ho scoperto che Enotria sembra eccellere nella parte che preferisco di più dei soul like: il map design. Non esiste nella storia dei souls una boss fight che mi abbia regalato la stessa gioia e appagamento che mi restituisce aprire una porta "chiusa dall'altro lato". Questo in realtà è qualcosa che su di me ha un potente effetto anche nella vita quotidiana; fare un giro diverso in un quartiere nuovo arrivando dalla parte opposta rispetto ad un percorso già conosciuto mi emoziona sempre. "Ah, ma tu pensa dove sono finita", ecco, quando posso esclamarlo posso dirmi veramente soddisfatta. La città di Quinta in Enotria ha numerosi cancelli chiusi, mentre i tetti luccicano di oggetti, senza però realmente capire come arrivare a raccoglierli. Ho passato numerosi minuti di gioco a cercare ogni singolo passaggio e, alla fine, devo ammettere che la fase esplorativa è stata particolarmente appagante.
Arrivati a questo punto, avrò speso quasi diecimila battute per veicolare un concetto molto semplice: mi sono ricreduta su Enotria. Questo non vuol dire che sono convinta su tutta la linea, perché c'è ancora molto da scoprire e approfondire sul gioco, ma tra i momenti più significativi di questo Tokyo Game Show sicuramente metto l'epifania avuta con questo soulslike. Esattamente come mi accadde con Bloodborne: ero così scettica prima di giocarlo che, quando mio marito lo acquistò, replicai arrabbiata "Che spreco di soldi, con 35€ andavamo a farci una pizza e ne avanzavano". E poi guarda com'è andata a finire.