C'era un tempo in cui Sony (nello specifico SCE Japan Studio) sviluppava titoli giapponesi, differenti dalla massa e spesso dei veri e propri cult. Project Siren è stato in tal senso un team all'avanguardia creativa che col suo brand di punta, Siren, (Forbidden Siren in occidente) riuscì a realizzare un'opera ancora oggi molto amata dal pubblico. Sviluppato su PlayStation 2, questo titolo era un action/survival horror piuttosto atipico, con la narrazione e il gameplay che seguivano le vicende dei vari personaggi catapultati in un incubo a occhi aperti.
Terrore puro
A renderlo differente rispetto ai capisaldi del genere come Resident Evil, c'erano infatti una struttura episodica non lineare, un gameplay a suo modo originale con una forte componente stealth, la sua complessità e un atmosfera spaventosa e disturbante sulla falsariga di Silent Hill, di cui sembrava l'erede spirituale. D'altronde l'ideatore del gioco era Keiichiro Toyama, il creatore proprio di Silent Hill, direttore, scrittore e background designer del capostipite della saga Konami. Entrando nel dettaglio, il gioco era ambientato ad Hanuda, un remoto villaggio rurale sulle montagne giapponesi, la cui popolazione era molto legata alle tradizioni. A seguito del fallimento di una misteriosa cerimonia rituale, gli abitanti venivano scaraventati letteralmente in un incubo senza fine: al suono di una sirena, la gente scompariva, a delimitare il luogo compariva un mare di color rosso sangue, e sul villaggio calava l'oscurità, con una fitta nebbia a rendere l'atmosfera ancora più cupa.
In questo contesto dieci personaggi diversi per sesso, età e caratteristiche fisiche, venivano controllati alternativamente dall'utente nel corso di tre giorni, senza seguire un normale ordine cronologico, nel disperato tentativo di farli sopravvivere all'orrore. A livello di giocabilità era proprio la mancanza di linearità nella progressione uno degli elementi caratterizzanti della produzione. Il videogiocatore si trovava ad affrontare una vasta serie di locazioni apparentemente slegate l'una dall'altra, coi diversi superstiti sparsi quasi a caso sul piano temporale, passando così dal giovane Kyoya Suda all'una del mattino, all'insegnate Tamon Takeuchi alle 21,00 o al prete Kei Makino alle 5,00 dello stesso giorno. La sensazione di angoscia che si provava nell'affrontare le aree cupe di Forbidden Siren veniva proprio amplificata dal dovere agire quasi senza capire cosa stesse accadendo, del perché ci si ritrovasse all'interno di quell'Inferno e senza un vero e proprio indicatore su schermo col quale orientarsi. Il giocatore veniva quindi lasciato totalmente solo, con una opprimente sensazione di abbandono alla quale contribuiva l'atmosfera, scura, grigia, col sottofondo dei lamenti degli Shibito, morti resuscitati dal misterioso liquido chiamato Acqua Rossa. Erano proprio queste creature i principali antagonisti dell'avventura (e della serie), che rispetto ai classici zombi non potevano essere eliminati, ma solo storditi, e mantenevano anche un barlume di intelligenza. Questo significa che erano in grado di comunicare tra di loro grazie a una sorta di coscienza collettiva che gli permetteva di operare assieme, di chiamare rinforzi e di utilizzare strumenti quali torce, coltelli, fucili e pistole. Questa peculiarità era parte integrante del gameplay anche per il videogamer visto che poteva essere sfruttata per far orientare i personaggi. Questi, infatti possedevano il Sightjack, un potere che gli consentiva di collegarsi a loro volta alla mente dei mostri che popolavano lo scenario, e di guardare attraverso i loro occhi.
Siren diventa una trilogia
In questo modo era possibile ricevere informazioni utili su un determinato percorso, sulla posizione degli Shibito e su dove erano eventualmente dislocati degli elementi utili per il personaggio. Pianificare ogni mossa era infatti fondamentale per la sopravvivenza: vista la peculiarità dei nemici e la carenza di risorse con le quali curarsi e difendersi, l'ideale era sgattaiolare nel buio evitando lo scontro. Ma la cosa era maledettamente difficile, al punto che talvolta il gioco diventata frustrante in alcuni passaggi, costringendo il giocatore a più e più tentativi per superare un determinato ambiente, nella più classica tradizione del trial and error.
Nonostante alcuni difetti strutturali e il livello di difficoltà da molti ritenuto eccessivo, il gioco ottenne un discreto successo di critica e di pubblico. Questo spinse gli sviluppatori a pianificare un sequel rilasciato nel 2006 ancora una volta su PlayStation 2, con una nuova ambientazione e nuovi nemici. Oltre ai classici Shibito (questa volta posseduti da uno spirito di nome Shiryo), il "bestiario" di creature vedeva fra le proprie schiere degli esseri più pericolosi chiamati Yamibito e Yamirei, sensibili alla luce ma estremamente letali.
Per quanto riguarda il gameplay, il gioco presentava invece una struttura simile al predecessore, con la storia raccontata attraverso il punto di vista di diversi personaggi, ognuno dei quali dotato delle proprie abilità e debolezze, anche se questa volta tutto era concentrato in un'unica notte. Anche i difetti erano bene o male gli stessi del precedente episodio, dal un sistema di controllo e della telecamera non ottimale, al livello di difficoltà ostico che non piaceva a tutti. Di nuovo c'erano invece alcune nuove abilità legate al potere Sightjack, un sistema di checkpoint e enigmi meno complessi rispetto al predecessore.
Un giorno, chissà…
Con l'arrivo di PlayStation 3 nel novembre del 2006, la serie si preparava al suo debutto sulla nuova console di Sony. L'idea alla base del progetto era quella di creare una sorta di reboot della saga, re-immaginando l'universo nel quale era stato ambientato il primo capitolo. Fu così che il team di sviluppo iniziò a lavorare su Siren: New Translation, titolo che divenne poi Siren: Blood Curse due anni dopo, nel luglio del 2008, quando venne rilasciato sul mercato inizialmente come una sorta di telefilm a episodi, distribuito in dodici puntate singole tramite PlayStation Network.
Ma questa non era l'unica novità proposta dal capitolo: per rendere più accessibile il prodotto anche ai videogiocatori meno hardcore gli sviluppatori apportarono pesanti modifiche al sistema di controllo, rendendolo più semplice. Allo stesso modo intervennero su diversi elementi del gameplay, come per esempio il Sightjack, riducendone il "peso" nel contesto ludico dell'avventura, o parecchi passaggi nella storia, semplificata e resa più lineare e meno "dispersiva". Infine furono implementate delle mappe dove era sempre molto chiaro per l'utente cosa doveva fare, con la destinazione da raggiungere già segnalata, al pari di dove trovare certe chiavi o altri oggetti utili. Queste modifiche eliminavano di fatto la componente esplorativa casuale e il senso di totale abbandono che avevano caratterizzato i due capitoli precedenti.
Siren: Blood Curse venne accolto favorevolmente dalla critica, con voti sostanzialmente alti che lo portarono a raggiungere il 76.90% su GameRankings e il punteggio complessivo di 78/100 su Metacritic. Ma nonostante ciò, la serie si interruppe bruscamente e su di essa cadde un silenzio rotto ogni tanto negli anni dai rumor di un quarto capitolo in lavorazione, ma mai in realtà annunciato ufficialmente. La speranza però è l'ultima a morire, e viste le potenzialità di questa serie, chissà mai che Toyama e la sua squadra, o chi per loro, non tornino presto a terrorizzarci coi loro Shibito e le loro spaventose leggende giapponesi. Noi li aspettiamo a braccia aperte e a... chiappe strette! Chi possiede una PlayStation 4, se vuole, può nel frattempo giocare il primo Siren sulla sua console acquistandolo a 3,99€ (fino al 20 febbraio 2020): il titolo è stato infatti convertito nel 2016 con una grafica HD e funzioni extra come il supporto ai trofei e lo Share Play, ma solo in lingua inglese.