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I videogiochi sono tornati ad essere per tutti, ed è una gran bella notizia

Videogiochi e videogiocatori ghettizzati? Se è successo, forse hanno fatto tutto da soli: i videogiochi, infatti, sono tornati a essere per tutti.

SPECIALE di Francesco Serino   —   08/07/2022

Eppure io me le ricordo le sale giochi di un tempo e non erano affatto a esclusivo appannaggio dei maschi e dei cosiddetti nerd. Me le ricordo le ragazze, ancora irraggiungibili nella mia giovanissima età, alle prese con Tetris, Bubble Bobble, New Zeland Story e Pang. Come ricorderò sempre, davanti alla sala giochi più esterna del Luna Park cittadino, 'sti giovani malandrini con l'occhiale a goccia e giacca in pelle alla Top Gun, mai troppo lontani dalle loro Honda NSR, a pasturare l'aria di ferormoni e colonie preindustrializzazione feroce.

Videogame da cocktail

Videogiochi per tutti: mondani e alla moda, i videogiochi degli anni '80 erano rivolti ad ogni tipo di pubblico. Foto da flyers.arcade-museum.com
Videogiochi per tutti: mondani e alla moda, i videogiochi degli anni '80 erano rivolti ad ogni tipo di pubblico. Foto da flyers.arcade-museum.com

Se la scintilla al medium l'hanno data i cervelloni, per uscire dai lab del MIT i videogiochi hanno impiegato pochissimi anni. Negli ottanta erano già tra le mani di tutti: donne e uomini, vincenti e sfigati, provenienti da ogni classe sociale. Le sale giochi italiane, per via del loro nome sinonimo di bische fumose e malfamate, soffrirono in principio una nomea negativa; ottennero presto una loro dignità, alcune anche un'aura glamour con ingressi più luminosi di un cinema.

Ben presto i videogiochi arrivarono anche nei bar: al contrario dei callosi videopoker soffocapoveri in cui ci si può imbattere oggi, un cabinato magari affiancato da un flipper portava vita e gioventù là dove ci sarebbero stati solo carte napoletane e mosche. Inoltre erano il posto dove ti venivano a cercare, e dove probabilmente ti avrebbero anche trovato, se saltavi scuola: un punto a favore non indifferente. Erano gli anni nei quali i videogiochi finirono addirittura incastonati in eleganti tavolini da cocktail, pubblicizzati come divertimento trasversale e potenzialmente chic.

Lui e Lei

Videogiochi per tutti: le sale giochi giapponesi hanno vissuto una storia totalmente differente da quelle nostrane
Videogiochi per tutti: le sale giochi giapponesi hanno vissuto una storia totalmente differente da quelle nostrane

In una sala giochi di un hotel di Taormina, nel 1988 o giù di lì, mi presi anche la prima cotta. Che darei per ricordarmi il nome del gioco in cui mi ero letteralmente infilato: era uno di quei cabinati extralusso di compensato total black nel quale dovevi sconfiggere gli alieni a bordo di un caccia spaziale. Quando arrivo a quel che ricordo fosse una sorta di boss, noto lei: straniera, appoggiata con una mano a uno dei tubi superiori del coin-op, testa per metà dentro il cockpit, che nella sua lingua aliena sembrava in parte fare il tifo e in parte offendermi a maleparole. È inutile descrivervela: negli anni l'ho idealizzata in un Frankenstein costruito con i pezzi di tutte quelle attrici che mi hanno fatto perdere la testa da imberbe. Ricordo con certezza gli orecchini tondi e larghi e fini, i capelli neri e corti, la libertà che illuminava i suoi occhi. Forse, ma dico forse, non aveva un buon profumo. Dettagli...

In tutte le case

videogiochi per tutti: l'Atari 2600 prima e gli home computer Commodore poi, sono finiti nelle case di tanti insospettabili e futuri geek
videogiochi per tutti: l'Atari 2600 prima e gli home computer Commodore poi, sono finiti nelle case di tanti insospettabili e futuri geek

Superati gli anni preistorici, il videogioco era tutto tranne che ghettizzato. Fatico a ricordare case senza un Commodore 64 o un Atari 2600, Master System a seguire, pronto all'uso sotto la TV o nel mobiletto apposito. Parlo di Roma, naturalmente, non ho dubbi che le cose siano andate diversamente in luoghi più isolati, ma di sale giochi deliziose ne ho trovate nei posti più impensabili, nelle piazze dei paesini più piccoli. Non so voi, ma quando per qualche motivo si andava da qualche altra parte, guardando fuori dai finestrini con gli occhi non cercavo altro che possibili sale giochi dove infilarmi il prima possibile, e se ne trovavano!

Di sale giochi ce ne erano nella piccola Vivaro, tre persino a Viggiù che oggi conta poco più di cinquemila abitanti. Se poi si andava nei posti di mare, dove tutt'ora resistono gli ultimi storici cabinati, scoloriti e sparpagliati sui lunghi viali che costeggiano gli arenili, c'era da perdere la testa. In fondo non eravamo così diversi dai tossici con "la scimmia sulla schiena" raccontati da Williams Borroughs, in grado di riconoscere le zone di spaccio (di gettoni) grazie a una sorta di sesto senso e mezzo.

Videogame come capro espiatorio?

Videogiochi per tutti: Hillary Clinton gioca con il suo GameBoy durante un viaggio di lavoro, ma la console Nintendo finì nelle mani di chiunque, altro che hardcore gamer...
Videogiochi per tutti: Hillary Clinton gioca con il suo GameBoy durante un viaggio di lavoro, ma la console Nintendo finì nelle mani di chiunque, altro che hardcore gamer...

Nonostante il suo nome, a scuola il GameBoy lo si trovava spesso tra le mani delle alunne. La Miriam per cui persi la testa al campo scuola di Pallanza era un maledetto asso a Super Mario Land, ma decisamente troppo grande per me che ancora mi facevo le ossa in seconda media.

Comunque ero già passato al Game Gear e in quei giorni passati a pensare a Miriam, mi fecero compagnia le cartucce di G.G. Shinobi e Castle of Illusion. Ma altro che ghettizzati, i videogiochi erano dappertutto, erano colorati, allegri, felici e spensierati, di ogni genere e tonalità: per tutti. Poi c'erano quelli che si sentivano troppo fighi per giocarci (in alcuni casi solo in pubblico), che mai avrebbero frequentato gruppi di videogiocatori scacciafiga, ma parliamoci chiaro: noi avremmo frequentato loro? No, eravamo diversi, come lo erano i metallari dai fanatici dell'hip hop. Questa presunta ghettizzazione del videogiocatore potrebbe però non essere una leggenda, piuttosto un fenomeno legato alla singola persona invece che alla sua e di tanti altri passione. Probabilmente gli stessi che oggi sentono i videogiochi una cosa loro, un tempio da rispettare il cui accesso andrebbe riservato soltanto a chi ha sofferto allo stesso modo. Follia revisionista?

Videogiochi per (quasi) tutti

Videogiochi per tutti: Grazie per tutto, Samanthona Fox
Videogiochi per tutti: Grazie per tutto, Samanthona Fox

Se c'è stata vera ghettizzazione, l'industria dei videogiochi se l'è autoimposta. A metà dei novanta le cose iniziarono a cambiare davvero e i videogiochi decisero di puntare esclusivamente verso un pubblico in prevalenza maschile, arrivando nei duemila a vendere sé stessi attraverso pubblicità al limite del buongusto, costruite su chiari se non sfacciati riferimenti sessuali e sessisti.

All'epoca era uno stile forte, era sfrontato, era il punto di rottura di quella coltre di perbenismo che aleggiava attorno a questo nuovo medium; soprattutto erano messaggi costruiti ad-hoc per la mia generazione che, dopo gli anni spensierati con Ikari Warriors e Double Dragon, Quackshot e Pilotwings, Ultima VII e Theme Park, si preparava a scoprire il pruriginoso, ma sfuggevole mondo del sesso. Eravamo cresciuti, e i videogiochi ci scelsero come unici interlocutori. Paradosso! Nonostante Samatha Fox Strip Poker e Gals Panic esistessero già da un pezzo, i giochi erotici furono presto derubricati come vecchi progetti di frontiera: più il sesso veniva utilizzato per vendere un prodotto, meno trovava spazio nel prodotto stesso.

Giochi giusti al momento giusto

Videogiochi per tutti: che festa Samba de Amigo!
Videogiochi per tutti: che festa Samba de Amigo!

Cambi d'immagine che contribuirono a spezzare l'interesse di una consistente fetta di pubblico, di cui però i videogiochi impararono a fare a meno continuando a crescere, sempre più velocemente. Niente però può togliermi dalla testa che questa espansione ci sarebbe stata comunque, ed è soltanto un caso che abbia coinciso con la virata del settore verso un pubblico più eterogeneo e facile da soddisfare. I reparti marketing puntarono tutto sui giovani virgulti per una chiara maggioranza statistica, o si limitarono a parlare a sé stessi credendo di essere al centro dell'industria dei videogiochi?

Oggi penso che la seconda ipotesi sia la più credibile perché di giochi per le mie amiche ce ne sono sempre stati, semplicemente non venivano indirizzati a loro. Fabiana amava Tekken, anche per via del fascino di Howorang; Francesca si divertiva con Supaplex, Riven e Super Puzzle Fighter II Turbo; con Erika si giocava a Bust a Grove, Shenmue e Mass Effect. Con Samba de Amigo poi sono riuscito a conquistare diverse e diversi insospettabili, che con un qualsiasi altro videogioco mi avrebbero guardato con assoluta diffidenza.

Le donne dei videogiochi

Videogiochi per tutti: Roberta Williams insieme a suo marito era una delle stelle più luminose dell'industria videoludica
Videogiochi per tutti: Roberta Williams insieme a suo marito era una delle stelle più luminose dell'industria videoludica

Le ragazze, non tutte certo, come alcuni ragazzi, non giocavano regolarmente come noi scemi, almeno quelle nei miei paraggi, ma davanti al titolo giusto non hanno mai saputo dire di no. Ricordo anche chi se ne lamentava, mi riferisco al presunto disinteresse delle amiche per i videogiochi, ma erano in prevalenza persone che invitavano a casa facendosi trovare tra birre, spinelli, amici e Winning Eleven, e decisamente poco disposti ai convenevoli e alla chiacchiera, figuriamoci a cambiare gioco per far divertire tutti.

A patto che ce lo avessero un gioco per far divertire tutti. Non era quindi il nostro amato medium ad allontanare gli ospiti, ma sempre e solo il padrone di casa e la sua selezione limitata di gusti. A quel punto, i tempi del gaming per tutti erano oramai lontani e questo influì anche sul numero di addette ai lavori. Le nuove generazioni crebbero giocando, ma senza conoscere le avventure grafiche di Roberta Williams, senza sapere che il popolarissimo River Raid del 1982 era stato creato da una certa Carol Saw, che i GDR moderni vennero anche inventati da Rebecca Heinaman lavorando a Bard's Tale, come da Sheri Graner Ray che in Origin lavorò a diversi Ultima e lasciò la sua firma nello stratosferico Star Wars Galaxies.

Nintendo e Smartphone

Videogiochi per tutti: il debutto di iPhone cambiò  il settore della telefonia e di riflesso anche quello dell'intrattenimento videoludico. Non a caso il telefono Apple oggi è una delle piattaforme da gioco più remunerative e popolari
Videogiochi per tutti: il debutto di iPhone cambiò il settore della telefonia e di riflesso anche quello dell'intrattenimento videoludico. Non a caso il telefono Apple oggi è una delle piattaforme da gioco più remunerative e popolari

L'incantesimo che per alcuni fu maledizione lo spezzò anche Nintendo, proprio tornando al punto di partenza, al concetto di "family computer" che lei stessa utilizzò per vendere oltre sessanta milioni di NES. Dal Nintendo DS in poi, Nintendo torna a parlare al pubblico tutto, sfaccettato, senza età, sesso o connotati riconoscibili, strategia portata all'apoteosi con Wii, mal interpretata con il WiiU e infine magistralmente perfezionata con il più recente Switch. Anche Nintendo sì, perché non fu la sola: a risvegliare milioni di videogiocatori ci pensarono prima di tutto i tanto bistrattati smartphone, dove chiunque poteva finalmente videogiocare, se necessario pure con una certa dose di riservatezza, a titoli fatti apposta per lui, per lei, di nuovo per TUTTI. E quel TUTTI completamente maiuscolo oggi comprende sempre più sfumature d'umanità, è quindi ancora più prezioso e fondamentale. Non a caso negli stessi anni prende sempre più piede lo sviluppo di videogiochi indipendenti, piccole software house che spesso raggiungono il successo proponendo giochi proprio per quel pubblico che l'industria ufficiale ha fatto finta di non vedere per più di un decennio.

Revisionismo tossico

Un bimbominkia
Un bimbominkia

C'è questa tossicità nell'aria legata alla presunzione che il videogioco debba rispondere obbligatoriamente a determinati stili e generi, e che debba parlare solo a una determinata utenza di iper passionati per rispettare chissà quale canone di purezza, che si sta facendo più aggressiva man mano che il videogioco riscopre di essere un prodotto di massa, un'espressione artistica aperta e inclusiva. Forse per ignoranza, forse per convenienza, ma qualcuno vuole spacciare l'illusione di una decade per un immutabile status quo. E niente, fa già ridere così...