"Se ci si pensa, questo è chiaramente un obiettivo che gli artisti si pongono spesso in una forma o nell'altra: fare la cosa non somigliante eppure miracolosamente somigliante. Ha assunto molteplici forme quest'idea di trasformare il soggetto in modo molto radicale allo scopo di renderlo più simile a se stesso. Pur con aspetti diversi, è un obiettivo molto comune nell'arte. [...] È un obiettivo comune perché equivale quasi a prefiggersi di operare una magia, se si potesse" Francis Bacon
Del trittico di videogiochi prodotti da Sam Barlow in maniera indipendente, Immortality è certamente il più complesso dal punto di vista narrativo. I tre film che lo compongono - Ambrosio, Minsky e Two of Everything - si articolano in un puzzle di frammenti e in un gioco di rincorse che presto si dischiude a un mistero più ampio, che richiede la piena attenzione dello spettatore/giocatore. Immortality è una delle esperienze videoludiche più intense di questo 2022 che si avvicina alla conclusione, e in considerazione di ciò vogliamo aprire questo approfondimento con un avvertimento: vi invitiamo a scoprire da soli Immortality prima di leggere questo articolo, che per ovvie ragioni discuterà nel dettaglio la trama dell'ultima produzione di Sam Barlow.
Visionando i filmati si scopre che le storie narrate sono innanzitutto storie di violenza, articolate su diversi piani. Sono avvenimenti che rischiano di andare perduti, di non risultare visibili all'osservatore, vero protagonista della vicenda: a Barlow non piace regalare risposte semplici, e spesso la sua narrazione si fa difficile, ellittica. Anche il pittore irlandese Francis Bacon (1909-1992) non amava dischiudere i significati dei suoi dipinti, lasciando spazio a chi era disposto non soltanto a guardarli, ma anche ad ascoltarli. Perché l'urlo senza voce dell'ammasso di carne a destra del celebre Tre Studi per Figure alla Base di una Crocifissione (1944) giunge dal pieno della Seconda Guerra Mondiale ed è ancora oggi udibile chiaramente a chi è disposto ad accettare che la storia umana è, lo si voglia o meno, una storia violenta, come è spesso violento anche il rapporto tra gli artisti e i loro soggetti, le loro "muse" - un tema centrale di Immortality.
Approfondiremo questi temi nel nostro speciale sui legami tra la pittura di Francis Bacon e le storie di Immortality.
L'estetica della crocifissione
Parlare di Francis Bacon non è semplice. L'artista ha avuto un arco produttivo amplissimo, tale da coprire larga parte del Novecento, dagli anni '30 fino all'inizio degli anni '90. Bacon è stato spettatore, da adulto, della Seconda Guerra Mondiale, della Guerra Fredda, della caduta del Muro di Berlino: solo l'ultimo di questi eventi ebbe un impatto limitato sulla sua produzione, dato che il pittore era ormai alla fine della sua vita. Francis Bacon scelse quasi sempre soggetti a lui vicini - amici, amiche, amanti presenti e passati - ma il sentimento brutale del XX secolo e il sangue degli innocenti colorarono sempre le sue tele, tra cui talune (tutte memorabili) vennero da lui dedicate a un tema derivante dalla religione, riletto però da un uomo convintamente ateo.
Il primo dipinto di Bacon a catturare l'attenzione del pubblico fu una Crocifissione del 1933. Dipinta a olio in una scala di grigi, era ispirata dalle radiografie. La figura crocifissa non sembra viva, e risulta simile a uno spettro biancastro, dai lineamenti indecifrabili. Altro soggetto spesso dipinto da Francis Bacon era il Papa, figura totemica di potere e simbolo di autorità, messo in discussione tramite le spietate distorsioni dei tratti somatici che sono tipiche dell'artista. L'attrazione per la crocifissione come rituale di sangue, come "magnifica armatura su cui innestare ogni tipo di sentimento e di sensazione" (parole del pittore, da una delle intense interviste con il critico d'arte David Sylvester) avrebbe accompagnato Francis Bacon per tutta la vita, segnando quello che fu forse il passo più importante della sua carriera: l'esposizione al pubblico del suo trittico Tre Studi per Figure alla Base di una Crocifissione, dipinto nel 1944. I tre personaggi sono sospesi in una dimensione tra l'umano e l'animale; quella a sinistra china remissivamente la testa, quella al centro sembra quasi braccata tra le due e digrigna i denti, mentre la figura a destra lancia un urlo atroce, la bocca rovesciata bene in evidenza sullo sfondo arancio acceso. John Russell disse che c'era un prima e dopo quest'opera nella storia dell'arte: Tre Studi catturava la disperazione dell'umanità all'apice della sua crudeltà e della sua violenza insensata, prima della conclusione della spietata mattanza che fu la Seconda Guerra Mondiale.
Questo evento è essenziale anche in Immortality, come raccontato da The One, uno dei due esseri misteriosi che "infestano" le clip video dei tre film che vedono protagonista l'attrice Marissa Marcel. Non conosciamo la natura di The One e The Other: sembra trattarsi di due esseri esistenti fin dall'inizio dei tempi, che hanno tentato di influenzare l'umanità (vedremo poi in che modo) e sono capaci di divorare gli esseri umani e assumerne le sembianze. Un video in particolare mostra il momento in cui The One, all'epoca nelle sembianze di un uomo di colore, trova nel campo la morente Marissa Marcel, una giovane di 17 anni che colpisce The One per il suo candore: non aveva nemmeno dato il primo bacio. The One decide quindi di divorare Marissa e di inserirsi nel mondo della moda prima e del cinema poi: assistiamo alla sua prima audizione, quella per Ambrosio, con il regista Arthur Fischer (una non troppo velata reinterpretazione della figura di Alfred Hitchcock).
Torniamo al tema della Seconda Guerra Mondiale. The One dice che in quel momento "the whole planet was screaming". È l'urlo della figura di destra del trittico del 1944 di Francis Bacon, che fu capace di dare corpo all'inumanità della strage e rappresentare i lati inconfessabili dell'uomo-animale, in una memorabile intersezione tra dolore, arte, morte e guerra. Particolarissimo il titolo dell'opera: si parla di tre figure ai piedi di una crocifissione. Della croce non vi è traccia, e solo il personaggio a sinistra sembra avere l'atteggiamento adeguato in una crocifissione cristiana, in cui coloro che era vicini a Cristo sono rappresentati nel momento di massimo dolore: ciò testimonia la complessità della lettura che Bacon diede a questo evento, rappresentando "un'area di forme organiche - in un certo senso rimasta inesplorata - che rinviano all'immagine umana pur essendone una totale distorsione" (le parole sono di Bacon). Il pittore tornerà sul dipinto che lo rese famoso quarantaquattro anni dopo la sua esecuzione, nel 1988: fu una rilettura composta, profondamente postmoderna, elegantissima, priva però dell'energia bestiale dell'originale.
In un video di Immortality, The One tiene le braccia allargate come Cristo sulla croce. Racconta che lei e The Other tentarono di elevare l'umanità raccontando loro "the greatest story": è sottinteso che la storia delle storie sia il sacrificio di Cristo, e quindi la crocifissione. Parlando dei metodi d'esecuzione e in particolare della crocifissione, The One dice che questa è "the painful one, but the aesthetics of it are remarkable. Which was the point". In un'intervista ai due, sembra intendersi che The Other sia stato Cristo, e The One Maria. All'interno delle clip di Two of Everything, possiamo ammirare The One che tiene in braccio The Other riproducendo la posa della celebre Pietà di Michelangelo. Forse, però, l'immagine più intensa su questo tema è anche quella più curiosa: una Barbie crocifissa riflessa al contrario sul ripiano a specchio di un tavolino, sempre in Two of Everything. Francis Bacon era solito guardare al contrario uno dei crocifissi dipinti più famosi della storia: quello di Cimabue, una tempera su tavola databile tra il 1272 e il 1280, collocato nella basilica di Santa Croce a Firenze. Bacon, proprio come Sam Barlow in Immortality, parla della crocifissione in modo blasfemo per i cristiani: dice che l'immagine sinuosa del corpo di Cristo dipinta da Cimabue gli pare "un verme che striscia giù dalla croce".
L'apoteosi delle crocifissioni di Francis Bacon avvenne proprio nel segno del crocifisso di Cimabue. Era il 1962, anno di grandi successi e di grandi dolori per il pittore: alla vigilia della sua retrospettiva alla prestigiosa Tate Modern di Londra, Bacon fu raggiunto da un telegramma che gli comunicava la morte di colui che era stato suo compagno per dieci anni, Peter Lacy. Ne parleremo a breve, ma torniamo alla crocifissione. In Tre Studi per una Crocifissione, uno dei dipinti più disturbanti del ventesimo secolo, l'immagine del crocifisso non è al centro - come nella tradizione pittorica cristiana - bensì a destra. La sofferenza è trasfigurata in massacro, in un incubo di carne macellata appesa al contrario, strisciante e palesemente ispirata, nel suo movimento, al Crocifisso di Cimabue. Se i pittori cristiani tentavano di dare un senso al mondo e al sacrificio di Cristo nelle loro opere, qui Bacon sembra dire che nulla ha senso, che tutto è assurdo: le due figure nel pannello di sinistra non possono fermare ciò che sta accadendo a destra e anche al centro - dove una figura nuda giace in un letto pieno di sangue - e anzi, sono probabilmente complici nel massacro. Tre Studi ci dice che il germe della violenza è dentro di noi, e non può essere semplicisticamente confinato a dei gruppi devianti, come i Nazisti o le truppe giapponesi responsabili dello stupro di Nanchino. La carne sacrificata è soltanto carne, in un mondo senza Dio, e non può elevarci in alcun modo.
È proprio questa la lamentela di The Other in Immortality: dopo aver raccontato all'umanità "the greatest story", quella di un sacrificio altruista e disinteressato, gli uomini non ne sono usciti migliori. The Other disprezza i tentativi di The One di inserirsi nel sistema dell'arte e di avvicinarsi agli esseri umani: "they're monkeys flinging shit", afferma disgustato. The One, però, decide comunque di intraprendere un cammino che si rivelerà difficoltoso e pieno di amarezza: diventare una musa.
Peter Lacy, la musa violenta
The One arriva all'audizione di Arthur Fischer per Ambrosio con alte aspettative, ma ben presto si rende conto che del genio del regista, ormai vicino alla morte, non è rimasto molto: The One realizza che Fischer vuole soltanto scolpire l'immagine della bella Marissa, i cui capelli rosso scuro e le labbra carnose ricordano quelli delle donne dipinte dai pittori preraffaelliti. Non è un caso se Marissa e le sue sembianze finiscono in un quadro della Vergine Maria in Ambrosio, e nel corso delle riprese l'interesse di The One si sposta dal regista al direttore della fotografia, John Durick. "He paints with light", dice ammirata.
Nel corso delle riprese di Ambrosio, Marissa Marcel viene molestata in più occasioni non soltanto da Arthur Fischer - che le lancia delle cartacce nel corso delle prove, e alla reazione rabbiosa dell'attrice risponde soddisfatto "That's the passion I want to see!" - ma anche dal produttore. In una delle scene nascoste di Immortality, The One inverte i piani e fa una sorta di audizione a Fischer, dicendogli che sta per morire e trattandolo con crudeltà: alla fine del video lei esclama "Cut!", una parola sentita centinaia di volte nel corso delle riprese, ma stavolta interpretata letteralmente - The One usa un coltello per trafiggere il regista, dopo averlo deriso senza pietà. Sam Barlow propone The One come musa indisciplinata e sovversiva, come agente del caos sotto la superficie piana e pacifica della splendida Marissa: un dualismo ben testimoniato nella vita di Francis Bacon, che, come accennavamo, era solito dipingere soggetti da lui ben conosciuti, tra cui anche i suoi compagni.
Bacon non fu legato a un solo amore per tutta la vita, ma venne particolarmente segnato dalla turbolenta relazione decennale con il pilota d'aereo Peter Lacy. I due si incontrarono nel 1952, e da allora la vita di entrambi non fu più come prima: Bacon era alla continua ricerca di emozioni forti, sia in amore che tramite il gioco d'azzardo - una delle attività che preferiva - e con l'alcool, suo compagno di lungo corso. Lacy, dal canto suo, si avvicinava alla quarantina mantenendo classe e bell'aspetto, ma sotto la superficie di un pilota appassionato di jazz si nascondeva un uomo violento e schiavo dell'alcolismo, che infine lo uccise nel 1962. Il rapporto tra i due è fin da subito pieno di liti e di contrasti, più un incontro di wrestling che una pacifica relazione amorosa: non è difficile vedere in Due Figure (1953), forse il dipinto più scabroso di Bacon, il piacere e la sofferenza del pittore, riconoscibile come l'uomo adagiato sul letto, i denti digrignati come la figura centrale dei Tre Studi del 1944. Lacy è sopra di lui. Bacon si liberò del quadro per appena cento sterline: acquirente fu il nipote di Sigmund Freud, il pittore Lucian Freud, grande amico di Francis Bacon, che tenne Due Figure appeso sopra il suo letto per più di cinquant'anni.
Due Figure dà una lettura della relazione tra Bacon e Lacy come prova innanzitutto fisica. Lacy arrivò a buttare Bacon giù da una finestra durante uno dei loro furiosi litigi, e dopo anni di violenze i due decisero di separarsi. Qualche tempo dopo, come dicevamo, Bacon venne raggiunto dalla notizia della morte dell'ex compagno. Nel 2015, Sotheby's vendette all'asta per 14 milioni di dollari quello che è indubitabilmente un ritratto di Lacy: semplicemente intitolato Ritratto (1962), il dipinto mostra ancora una volta i denti del soggetto in bella vista. L'uomo è seduto, nudo e consapevole della sua bellezza, che traspare nonostante le marcate deformazioni attuate da Bacon. Lacy non era contento di essere rappresentato in pittura dal compagno, e in più di un'occasione gli fece presente che trovava disgustosi i suoi dipinti; in una delle interviste con David Sylvester, Bacon commentava che "le persone si sentono ferite dalle distorsioni della loro immagine", ma si trattava di un'affermazione troppo generale e per questo non vera: Henriette Moraes ed Elizabeth Rawsthorne amavano molto i dipinti a loro dedicati dall'amico pittore. "Quello che tentavo di suggerire è che il soggetto, quando suppone ingenuamente che l'artista gli stia facendo un danno, riconosce in realtà istintivamente nell'artista un desiderio inconscio di infliggere un danno", replica Sylvester. "Può darsi", risponde Bacon, "In fondo sta dicendo quello che affermava Wilde: si uccide ciò che si ama. Potrebbe essere, non so".
In seguito alla morte di Lacy, sempre nel 1962, Francis Bacon dipinse Studio per Tre Teste: due ritratti di Peter Lacy sono nei pannelli a destra e a sinistra, mentre al centro c'è il volto del pittore. È schiacciato, triste, sconfitto: non si sarebbe mai più dipinto così. Resta l'immagine di Lacy come musa riottosa e brutale, come soggetto indomito prima che oggetto di pittura. Anche The One compie un arco che la condurrà a scegliere la violenza per affermarsi sui suoi artisti di riferimento: non c'è soltanto il video nascosto con il taglio di Fischer, ma soprattutto il momento in cui - siamo nel corso delle riprese del film Minsky - The One divora John Durick. "An artist should be familiar with its material", aveva detto John della sua relazione con la sua musa Marissa: ora la familiarità diventa tale che The One assorbe John, in una confusione suprema tra l'artista e il suo "materiale". Nella scena finale nascosto di Minsky, The One sta tra i cadaveri di John Durick e dell'attore Carl Greenwood (che era stato assorbito da The Other e ucciso da The One con un colpo di pistola): "Artists create, transform, and destroy. They find bodies and capture them, own them, tether themselves to immortality. Symbiotic parasites". Di questo processo crudele fu protagonista indiscusso il compagno che Bacon scelse dopo la morte di Peter Lacy: George Dyer.
George Dyer, la musa defunta
Contrariamente a quanto avviene nella gran parte dei videogiochi, il percorso per arrivare ai titoli di coda di Immortality è tutt'altro che lineare. C'è chi giunge a questo momento dopo molte ore di gioco, mentre in altri casi bastano pochi minuti per arrivare alla scena che risolve il mistero principale: che fine ha fatto Marissa Marcel? Scopriamo che Marissa viene data alle fiamme, e subito dopo il volto di The One riempie tutto lo schermo. "I'm part of you now": sono le sue ultime parole prima della conclusione di Immortality.
Ricostruendo con cura l'accaduto e visionando tutti i filmati - un'impresa che richiede circa una ventina di ore per essere portata a compimento - si può tentare di comprendere il senso di questo finale così particolare. Dopo aver ucciso The Other sul set di Minsky, The One aveva fatto in modo che il corpo di Carl Greenwood - ospite di The Other in quel momento - fosse cremato: si tratta dell'unico modo per uccidere gli esseri appartenenti a quella specie. Solo che Amy, moglie di John Durick, aveva visto il filmato della morte di Carl molti anni dopo, e The Other si era reincarnato in lei. Niente sangue, niente pasto cruento a base di esseri umani: la visione di quel particolare momento basta per riportare The Other a una vita diversa, particolare, e a tornare quindi in contatto con The One, che decide di seguire i passi del compagno e cercare la sua personale forma di immortalità.
"Non si vuole forse che una cosa si avvicini il più possibile al dato reale e al tempo stesso sia profondamente capace di suggestioni o di schiudere aree del sentire, invece che limitarsi a una semplice illustrazione dell'oggetto che s'intende rappresentare? Non è questo in fondo il senso dell'arte?", rifletteva Bacon. Pochi mesi dopo la morte di Peter Lacy, il pittore conobbe colui che era destinato a diventare sua musa per professione, oltre che suo compagno per diversi anni. George Dyer era un ladruncolo dell'East End londinese, proveniente da una famiglia povera e abituata a campare di espedienti. Era un uomo dalla corporatura robusta e dal naso imponente, un tratto somatico che lo contraddistinguerà in tutti i dipinti che Bacon gli avrebbe dedicato. Francis Bacon gli corrispondeva uno stipendio mensile di sessanta sterline per posare, aiutarlo nel suo caotico studio e portare i suoi quadri alle gallerie d'arte. Nel frattempo, tra i due si consumava una relazione amorosa ben diversa da quella che era intercorsa tra Bacon e Lacy: non si trattava di due pari impegnati a lottare per la supremazia, ma di un pittore altolocato e di un ladruncolo tormentato da un marcato complesso d'inferiorità nei confronti del suo compagno (Bacon era di molti anni più anziano), non sempre a suo agio nelle frequenti occasioni mondane cui Bacon e Dyer si trovavano a partecipare.
Questo portò a numerose tensioni e, infine, a una clamorosa rottura: nel 1968, George Dyer denunciò pretestuosamente Bacon per detenzione di stupefacenti (il pittore fu assolto) e i rapporti tra i due si allentarono, per poi tornare discreti intorno al 1970. Bacon dipinse una ventina di ritratti di Dyer negli anni '60, ma fu il 1971 a dare una svolta alla produzione che il pittore dedicò al suo compagno. In occasione della retrospettiva parigina che sarebbe stata dedicata a Bacon al Grand Palais di Parigi - unico altro pittore ad avere avuto questo onore in vita era stato Pablo Picasso, il più grande punto di riferimento artistico di Francis Bacon - Dyer e Bacon alloggiarono insieme in una suite d'hotel. Alla vigilia dell'inaugurazione, Bacon si adirò per il cattivo stato della stanza e per la situazione quasi confusionale di Dyer (che era solito abusare di tranquillanti per affrontare una grave depressione) e, dopo un violento alterco, decise di dormire altrove. La mattina dopo, George Dyer venne trovato morto, la testa reclinata nel lavandino: un mix di alcool e barbiturici gli era stato letali. Non sapremo mai se si sia trattato di un suicidio; quello che sappiamo è che Dyer aveva già tentato di togliersi la vita in più occasioni.
Grazie alla discrezione del personale dell'hotel e della polizia parigina, della tragica morte di Dyer non si fece parola nel corso dell'evento inaugurale della mostra, che vide la partecipazione - tra gli altri - dell'allora Presidente di Francia Georges Pompidou, dell'artista Salvador Dalí, del pittore Joan Mirò, e molti altri ancora. Un turbinio di celebrità giunte da ogni angolo del mondo per omaggiare Francis Bacon, che si dimostrò cordiale e all'apparenza non troppo turbato dall'accaduto. Eppure, il primo dipinto dedicato a Dyer dopo la sua morte venne dipinto mentre Bacon ancora scriveva bigliettini di ringraziamento agli amici che erano venuti alla sua retrospettiva al Grand Palais. Trittico - In Memoria di George Dyer (1971) non affronta in maniera diretta la morte del compagno: nel pannello centrale vediamo Dyer dirigersi verso la stanza in cui incontrerà la sua fine. Dei quattro grandi trittici dedicati alla morte di Dyer, solo nel quarto e ultimo Francis Bacon si confrontò con gli orrendi dettagli di quanto avvenuto: a sinistra vediamo Dyer reclinato sulla toilette, a destra l'uomo vomita, il volto una maschera di dolore, e al centro - in una narrazione che quindi è non lineare, poiché non procede da sinistra verso destra - la vita sfugge dal corpo di Dyer nella forma di un'ombra a forma di pipistrello.
Sempre a David Sylvester, Bacon disse che "una delle cose terribili del cosiddetto amore è, sicuramente per un artista, penso, la distruzione". Dyer fu musa volente in vita e nolente in morte, eternamente condannato alla ripetizione dei propri momenti finali negli occhi di chi ammira i trittici dedicati agli ultimi istanti della sua vita. A nostro avviso, quella cui fa riferimento il titolo dell'opera di Sam Barlow è l'immortalità conseguita dai soggetti dell'arte: la musa, The One, cerca un contatto senza intermediari con il proprio pubblico, ossia noi che guardiamo il filmato in cui viene bruciata - più che una morte, una performance teatrale, proprio come la narrazione del suicidio di Dyer nei trittici di Bacon. The One e Marissa Marcel vivranno per sempre nelle immagini di Ambrosio, Minsky e Two of Everything, e nell'opera di Immortality nel suo complesso; allo stesso modo, George Dyer, Peter Lacy e tutte le muse nella storia ripeteranno all'infinito le loro esistenze, aperti all'ascolto di chi vorrà guardare oltre le spalle dell'artista per ammirare le vite, gli amori e le sorti di coloro che meritano di essere considerati ben più di semplici fonti d'ispirazione per l'artista.