Sono innumerevoli le ambizioni a cui l'arte è chiamata ad aspirare. Il semplice piacere estetico e la pura contemplazione, certo. Ma anche innescare una riflessione, tracciare un'interpretazione, introdurre un'innovazione, infondere stupore e in alcuni casi persino indignare, sconvolgere, indispettire.
Senza andare troppo a ritroso nel tempo, The Last of Us Parte II ha dimostrato empiricamente ed efficacemente come il divertimento e l'intrattenimento non siano gli unici scopi che un videogioco deve porsi per forza. L'ultima parte della lunga avventura di Naughty Dog, quella ambientata a Santa Barbara per intenderci, è tutt'altro che protesa a garantire all'utente una maggior longevità nonché ulteriori, ed eccitanti, sfide da superare. Quella lunga, straziante, snervante sessione è totalmente funzionale allo scopo ultimo non solo della produzione in sé e per sé, ma all'intera saga: mostrare quanto sia insensata la vendetta, come la violenza non faccia altro che generare altra violenza. L'obiettivo, in sostanza, è di spingere a odiare Ellie, la sua folle crociata, addirittura il gioco stesso.
Un videogioco coraggioso che persegue l'intento più coraggioso dell'arte, che proprio nel farsi detestare, spesso, stimola le riflessioni più fertili e brillanti. Tantissime altre produzioni si pongono obiettivi differenti dal divertire il fruitore. Detroit: Become Human tende a mettere in discussione l'etica dell'utente. Tutta la produzione di Sam Barlow ha come fine ultimo quello di attentare alla comfort zone di chi si approccia alle sue opere.
Poi ci sono Hellblade: Senua's Sacrifice e INDIKA che indagando sull'interiorità frantumata delle protagoniste messe in scena, mettono in luce un altro aspetto fondamentale dell'arte, ovvero la leggibilità, la possibilità di comprensione, la chiarezza del messaggio veicolato. Videogiochi per certi versi simili, che trattano la propria tematica portante con un diverso approccio.
Da Hellblade a Duchamp e ritorno
Prima di entrare nel vivo della discussione, una dovuta e necessaria precisazione. Hellblade: Senua's Sacrifice è un gioco sostanzialmente imprescindibile per chiunque voglia conoscere, studiare e amare i videogiochi a trecentosessanta gradi. La creatura di Ninja Theory vanta innumerevoli primati, ha rappresentato un grande e riuscitissimo esperimento, ha saputo tradurre in un'opera interattiva il disagio e la complessità di una patologia mentale straziante e devastante.
Senza nulla togliere al titolo pubblicato nel 2017, nel confronto con il più recente INDIKA si palesa un dettaglio che già all'epoca venne evidenziato non solo da una parte di critica, ma da una buona fetta di utenza. Il viaggio introspettivo, ancor prima che fisico, della guerriera pitta, epopea intrisa di mitologia norrena in ogni suo ambito, va attentamente analizzato, minuziosamente decostruito, accuratamente interpretato. Più che nella lotta contro le manifestazioni del delirio di Senua, il videogiocatore è impegnato in una costante indagine, volta ad una ricerca di senso che non è affatto semplice, apertissima ad interpretazioni di ogni genere, più abbordabile solo in chi possiede una certa conoscenza della cultura e della mitologia a cui si fa riferimento nel gioco.
Come detto poco sopra, un gioco che spinge alla riflessione e che cela il suo reale significato sotto una patina di apparenze è sempre qualcosa di auspicabile, soprattutto quanto si apre ad una certa trasversalità. Si pensi, ad esempio, a Silent Hill 2, anche se il discorso si può tranquillamente prolungare agli altri capitoli della saga di Konami. Il gioco è un sublime survival horror, con un gameplay ben sviluppato, un raffinato level design, un art design ispiratissimo. La trama può essere goduta ed apprezzata senza cogliere tutti i riferimenti e i rimandi che vanno a delineare il dramma vissuto da James Sunderland. Un altro esempio efficace, in questo senso, è Elden Ring, ma anche gli altri soulslike realizzati da FromSoftware. Ci si può godere perfettamente l'avventura anche senza soffermarsi un istante su trama e mitologia che, per essere comprese, necessitano di un livello d'attenzione e di una capacità intuitiva e interpretativa non da poco.
Nei casi sopracitati, si ha a che fare con giochi che, al di là del loro messaggio più o meno oscuro, sottendono un'esperienza ludica complete, autosufficienti, ben definite. Il significato da scoprire c'è, ma non è primario, né tantomeno si identifica nel senso stesso dell'opera.
Per Hellblade: Senua's Sacrifice il discorso è differente. Rinunciando ad un gameplay profondo e a meccaniche complesse, riconduce la sua essenza all'aspetto narrativo e, quindi, al senso profondo del viaggio della sua protagonista. Con poco da giocare, l'utente è chiamato al ruolo di spettatore per ampi tratti dell'epopea della guerriera. Capire, interpretare, giungere a conclusione è sostanzialmente l'unica cosa che può e che deve fare.
Ma cosa succede se la capacità di sciogliere metafore e allegorie richiesta è fin troppo elevata? Cosa resta al videogiocatore che non coglie i rimandi e non sa tradurre in significati le immagini e i dialoghi di cui fruisce?
Il discorso, tutto estetico, è apertissimo e non può avere una risposta definitiva. Da un certo punto di vista, tuttavia, non si può non pensare che l'arte fallisca nel suo intento quando non è democratica, alla portata dei più, quando preferisce l'imperscrutabilità, all'interpretazione del messaggio. Si pensi, in questo senso, alle aspre critiche rivolte all'arte contemporanea. Perché una banana appesa al muro con un po' di nastro adesivo dovrebbe essere definita arte? Allo stesso tempo, tuttavia, Fontana di Duchamp è universalmente riconosciuta come un'opera di genio che ha concorso ad innescare un'evoluzione nel discorso critico e filosofico intorno alla scultura e non solo.
Naturalmente è un discorso che si può declinare a qualsiasi altro media. Eraserhead - La mente che cancella, opera seminale di David Lynch, è un passaggio obbligato per gli amanti del cinema, ma senza essere a conoscenza di alcune note biografiche del regista è difficile venire a capo del senso nascosto delle scene che compongono il lungometraggio.
Ha senso consegnare nelle mani del fruitore finale un'opera che non ha significato se presa in sé e per sé? Che può essere compresa solo affidandosi a spiegazioni e informazioni esterne ad essa?
Non pretendiamo certo di trovare una risposta in questa sede, il nostro intento si limita ad incentivare una riflessione in merito, considerando soprattutto che ognuno ne avrà un'opinione personale in merito. Eppure INDIKA rappresenta un altro esempio che vale la pena indagare, nel tentativo di stabilire un equilibrio, in campo videoludico, tra la forma dell'opera e la comprensibilità del suo messaggio.
La facile interpretabilità di INDIKA
Esattamente come per Hellblade: Senua's Sacrifice, in INDIKA il soggetto principale dell'avventura è la psiche alterata della protagonista. La suora che vive in questa Russia alternativa del 1800 sente le voci, parla con la personificazione del suo disagio mentale, si incammina in un viaggio che diventa via, via sempre più allegorico e fantastico. Anche in questo caso tutto è intriso di religione, in un'ortodossia soffocante e asfissiante che permea ogni strato della società in cui la protagonista vive. Il gameplay è effimero, legato per lo più alla risoluzione di una manciata di enigmi, mai troppo complessi, lungo le tre, quattro ore necessarie per giungere ai titoli di coda.
A differenza del gioco di Ninja Theory, tuttavia, la discesa nella follia personale della protagonista, è in primis graduale. Vero che già nel prologo viene suggerita l'instabilità mentale di Indika, instabilità mentale o possessione a seconda della lettura che se ne vuole dare beninteso, ma sulle prime lo scenario entro cui si muove è assolutamente realistico e credibile. A mano, a mano che la suora viene tentata dalla presenza maschile dell'altro personaggio che occupa per buona parte del tempo la scena, che il diavolo pone quesiti morali sempre più spiazzanti, che il passato della giovane torna a galla, tutto intorno a lei assume una prospettiva sempre più grottesca, con gli scenari che diventano gigantesche allegorie di desideri, pulsioni, timori.
A rendere il tutto esplicito sono i dialoghi tra Indika, la presenza demoniaca e il suo accompagnatore, momenti in cui tematiche e messaggi dell'opera vengono esplicitati, esplorati, chiariti. Non vengono fornite risposte nette e definitive, né il gioco mortifica del tutto le possibilità interpretative del fruitore, ma il differente approccio rispetto a Hellblade: Senua's Sacrifice è evidentissimo.
Se con il gioco di Ninja Theory viene quasi naturale cercare e chiedere una spiegazione, difficilmente una volta completato INDIKA si va a caccia di un senso. Entrambi spingono a riflessioni, incentivano il pensiero critico, ma solo da una parte si palesa il bisogno di confrontare la propria interpretazione con altre.
Il dibattito, a questo punto, diventa inevitabile e, come già suggerito poco sopra, apertissimo. INDIKA è meglio di Hellblade: Senua's Sacrifice perché più democratico e comprensibile? L'arte deve essere criptica e imperscrutabile? Il messaggio di fondo deve sempre essere alla portata dei più? Senza attivazione di spirito critico e analitico l'obiettivo di un'opera non può dirsi completamente compiuto?
In questi casi, la risposta non può che essere personale e mai definitiva. In giovane età, per rendere il discorso un po' più biografico, ho amato Evangelion proprio perché lasciava ampio margine alla fantasia. Con la maturità è invece sorto un maggior desiderio di controllo, facendomi apprezzare molto di più la chiara critica sociale e religiosa di INDIKA.
Il ruolo didattico dell'arte, e quindi dei videogiochi, non è affatto secondario. L'epopea di Senua ha avuto il grande merito di dare una forma interattiva alla psicosi. INDIKA, dal canto suo, è un trattato di filosofia in forma giocabile. Quale sia la risposta personale che scegliete e sceglierete di darvi al quesito estetico sul ruolo e senso dell'arte, negli ultimi anni anche questo medium ha empiricamente dimostrato come possa veicolare messaggi potentissimi, con un'efficacia ignota a cinema e letteratura.
Fondamentale, in questo senso, il ruolo che noi, in qualità di fruitori, possiamo e dobbiamo assumere. Perché al di là delle giustissime preferenze di generi, linguaggi visivi e approcci, un atteggiamento di apertura all'ignoto, all'indefinito, al nuovo, è quanto mai fondamentale sia per definirci come videogiocatori, sia come esseri umani pensanti, sempre a caccia di un senso.