Inutile negarlo, Capcom è sempre stata affascinata dell’icona orrorifica inaugurata dallo zombie romeriano. Se per il regista altro non si tratta che di una metafora amara sulla società (i riferimenti politici nelle sue pellicole sono eloquenti), la softwarehouse giapponese insiste sul lato spaventoso dello zombie, lento, stupido, ma ripugnante nell’aspetto, feroce, disturbante nei suoi movimenti convulsi. Per Dead Rising si sono fatti proclami di ogni genere atti a dimostrare l’estraneità con la sopracitata pellicola (a cominciare dalla cover e dal messaggio che accoglie il giocatore in apertura del gioco), ma la verità è che il prodotto, nonostante privo dell’ufficialità di un tie in, è un omaggio commovente sia all’originale (nel concept) che al recente remake (nell’aspetto).
In entrambi i casi abbiamo un manipolo di superstiti barricati nel centro commerciale di una cittadina americana invasa dai morti viventi. Se il presupposto è tragico, lo è ancora di più il fatto che tutti gli zombie insistono nel voler confluire dentro l’ipermercato. Come nella pellicola di Romero, la macabra popolazione è attirata istintivamente dal simbolo del consumismo, come a voler ripetere ciò che facevano in vita. Il regista ha più volte sottolineato l’evoluzione istintiva delle sue creature, specialmente con il terzo e quarto capitolo della saga. Altra tipica caratteristica è la presa di posizione in favore di quest’ultime, una vera e propria decostruzione dei canoni orrorifici, che non vede più il mostro come il male da odiare, ma come un disgraziato da compatire e vittima, paradossalmente, dei vivi.
Alla luce di questo acquista senso la tipica sgradevolezza che contraddistingue i personaggi di Romero, stupidi più delle creature da cui si difendono, avidi, e senza principi morali, finiscono per conquistarsi l’antipatia dello spettatore, e soprattutto si rovinano con le loro stesse mani nelle tipiche conclusioni apocalittiche del regista. Ennesimo segno distintivo è l'assoluta mancanza del rispetto umano al momento che vengono a cadere le regole della tipica società civilizzata. La salvezza esiste e proviene solo dall'unità, la fiducia e la collaborazione, valori che vengono però regolarmente frantumati dall' egoismo ed il bestiale istinto di sopravvivenza. La visione del regista è di lucida disperazione. Capcom non è ancora arrivata a questi livelli, i suoi zombie non fanno compassione, ed il suo protagonista non è estraneo alle tipiche meccaniche di immedesimazione col giocatore. L’interesse sta tutto nell’esprimere lo zombie nel numero, spropositato nei film, sempre troppo esiguo nei giochi, a causa delle limitazioni tecniche delle console di vecchia generazione. Inutile dire che questa volta quei limiti non ci sono...
Dead Rising, infatti, sfrutta l’hardware del 360 per portare a video centinaia di cadaveri ambulanti che soffocano il giocatore fino all’esasperazione, una presenza costante e claustrofobica. Per la prima volta un titolo Capcom soddisfa un desiderio, probabilmente atavico, di proiettare sul gioco il morboso microuniverso romeriano.
la softwarehouse giapponese enfatizza sul lato spaventoso dello zombie, lento, stupido, ma ripugnante nell’aspetto, feroce, disturbante nei suoi movimenti convulsi.
Se dovessimo sintetizzare lo spirito dell’ultima fatica capcomiana, basterebbe ricordare una delle scene più grottesche del film, quando i protagonisti, consci di essere al sicuro barricati nel centro commerciale, si danno allo shopping più sfrenato anziché escogitare un modo per fuggire. In analoga maniera Dead Rising pone al giocatore un intero ipermercato da saccheggiare, in una distorta poetica dell’oggetto di consumo che coinvolge gli zombie anche nelle maniere più futili e demenziali. E allora pezzi di pane che diventano armi contundenti, barattoli di vernice che servono per accecare gli avversari, ogni possibile futilità diviene mezzo di difesa estrema.
Interessanti, e non certo casuali, le analogie coi personaggi. Nei film di Romero è immancabile un protagonista di colore, e ovviamente Capcom non spezza la tradizione nella sua controparte giocosa. Altrettanto perentoria la bellona di turno (DR ne presenta addirittura due), imprescindibile elemento di gratificazione estetica, astuto contrappeso alla violenza imperante. Evidente anche la similitudine della zona franca rappresentata dall’ufficio manutenzione sotto la zona dell’eliporto, presente sia nel film che il gioco, e soprattutto i tipici marchi di fabbrica del film, che vede la scena degli zombi nascosti nell’ascensore perfettamente riprodotta. E molto altro, che non possiamo svelare per motivi che vi porterebbero a rovinare le sorprese di un gioco che porta tutta una serie di omaggi ad un maestro, in forma di un gioco sorprendente ed inatteso. Un titolo che sembrava un piccolo insperato esperimento di Capcom con la prima console NextGeneration che si è trasformato in un gioco di culto, capace di vendere più di 500,000 copie in poco tempo nei soli Stati Uniti (cosa che ha destato molto scalpore in Giappone, dato che si tratta del primo titolo made in Japan, a vendere così tanto su una console Microsoft).
In una delle scene storiche del film, un prete esclama: “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra”. Tra pochi giorni, anche sulla NextGen. Come in un film che attendevamo da tempo...
Ci siamo. Mancano pochi giorni all’uscita europea dell’ultimo survival horror capcomiano, negli USA è già titolo di culto, e probabilmente subirà stessa sorte da noi. Anche se, a dire l'ultima parola, ci penserà l’imminente recensione. In questo speciale vogliamo enfatizzare un altro aspetto, la stretta parentela con una pellicola horror annata '78, Dawn of The Dead (Zombi in Italia). Una delle più estreme e anarchiche mai girate da George A. Romero, secondo capitolo di una quadrilogia che ha avuto recentemente l'ultimo atto.