"Ognuno di noi ha uno stile. Bisogna soltanto trovarlo", disse la grande stilista belga Diane von Fürstenberg. Ed è vero anche per i protagonisti dei nostri videogiochi preferiti. Quante volte ci siamo trovati a privilegiare l'estetica rispetto alla funzione in un gioco di ruolo, creando abbinamenti esagerati e - a volte - dal gusto forse un po' troppo sopra le righe? E quanti personaggi virtuali - Lara Croft, Cloud Strife - sono riusciti a bucare lo schermo, dando vita a vere e proprie tendenze nel mondo della moda per persone in carne e ossa?
Videogiochi e moda si parlano da sempre. Che si tratti di studiare il modo per rappresentare accuratamente gli abiti di un particolare periodo storico, o della volontà delle grandi maison di affermarsi anche negli spazi videoludici con collezioni immateriali (talvolta aventi precise corrispondenze con quelle reali), l'abbigliamento non è mai un fatto secondario all'interno del mondo dei videogiochi: basti pensare alle recenti polemiche per la "censura" dei costumi di Eve, protagonista di Stellar Blade. Dalla rappresentazione storica alla pubblicità, passando per la costruzione di outfit indimenticabili per rendere i personaggi iconici e riconoscibili, il mondo della moda continua a esercitare una forte influenza sui mondi videoludici - e viceversa.
Moda e società
Partiamo con un dato forse sorprendente: l'essere umano ha iniziato a coprirsi di pelli e tessuti per difendersi dagli agenti atmosferici e sopravvivere più agevolmente, ma fin dal Paleolitico gli abiti sono stati impiegati anche per uno scopo differente - quello di distinguere classi e mansioni sociali. Lo testimoniano le sculture a noi pervenute, dato che i materiali usati per realizzare i vestiti preistorici non erano abbastanza resistenti da sopravvivere alla prova del tempo. Facendo un salto in avanti di molte migliaia di anni, troviamo utilizzi ben precisi del dress-code presso gli Egizi e gli antichi Greci e Romani, con una accurata codificazione di tessuti, colori e texture a seconda del genere, del momento della vita, della professione, del ruolo della persona nella società.
I team di sviluppo di videogiochi ambientati in determinati contesti storici si dedicano anche alla ricostruzione dei costumi del periodo. Basti pensare agli Assassin's Creed, i cui eventi prendono avvio in vari luoghi ed epoche storiche, dall'Egitto tolemaico alla guerra del Peloponneso, passando per il Rinascimento e la Rivoluzione russa. In sostanza, la moda si trasforma in oggetto di studio e di ricostruzione storica, essendo una parte essenziale dei costumi e delle usanze di una società. Per approfondire il tema, vi consiglio la lettura del paper "Fashion and Costume Design in Electronic Entertainment-Bridging the Gap between Character and Fashion Design" di Thomas Makryonitis, pubblicato sul decimo numero del Journal of Design, Creative Process & the Fashion Industry nel 2018.
Pochi pixel, tanto carattere
Non sarebbe corretto affermare che un'attenzione a ciò che i personaggi dei videogiochi indossano si è sviluppata solo in anni recenti. Anzi: quando eroi ed eroine dei nostri mondi virtuali preferiti erano solo una manciata di pixel, era fondamentale renderli ben riconoscibili, e scegliere i capi di abbigliamento giusti per loro era essenziale - e, in certi casi, si tratta di scelte che si sono riverberate per decine e decine di anni, consolidandosi fino ai giorni nostri.
Super Mario è un esempio assolutamente perfetto di questo processo. Come affermato da Shigeru Miyamoto in varie interviste rilasciate nel corso degli anni, il design dell'iconico personaggio Nintendo è strettamente legato alle limitazioni degli hardware del periodo: i colori rosso e blu, rispettivamente associati alla tuta da idraulico e alla maglietta di Mario, sono stati scelti per produrre un forte contrasto con gli sfondi, rendendo il personaggio chiaramente visibile, mentre il cappellino, il nasone e i baffi permettevano agli sviluppatori di evitare di dover rappresentare tratti somatici quali bocca, sopracciglia, capelli e fronte, molto difficilmente disegnabili con il ridotto numero di pixel a disposizione all'epoca. Nel corso dei decenni, il design di Super Mario si è arricchito, dimostrandosi sempre al passo coi tempi, certo, ma rimanendo ancorato a quelle scelte originarie, legate - come detto - a limiti contingenti delle macchine dell'epoca.
Rosso e blu, i colori di Super Mario, furono scelti da Sega proprio per competere con la mascotte Nintendo. Apparso per la prima volta come cameo nel videogioco arcade Rad Mobile, nel 1990, l'anno seguente Sonic fu protagonista di un'avventura tutta sua, dal titolo Sonic the Hedgehog. Il porcospino è blu, proprio come il logo di Sega - di cui era destinato a diventare la mascotte - e indossa un solo capo di abbigliamento: un paio di scarpe rosse, strumento che gli serve per correre veloce come il vento. E le scarpe, nel mondo dei videogiochi, ne avrebbero fatta di strada: basti pensare a Bayonetta e ai suoi favolosi tacchi-pistola.
La moda dei gamer
Poco fa, durante una passeggiata in centro città, sono incappata nella vetrina di una cartoleria. Parte consistente dello spazio era dedicata a zaini, astucci, diari, quaderni brandizzati Pokémon, e ho ricordato con affetto l'astuccio di Pikachu che usavo alle scuole elementari. I mostriciattoli tascabili di Game Freak sono ormai da quasi trent'anni protagonisti della moda scolastica, e non solo - questo perché indossare un personaggio videoludico è un'affermazione identitaria, che segna l'appartenenza alla comunità dei gamer e dimostra il nostro attaccamento ai giochi che preferiamo.
Il Giappone è, come spesso accade, avanguardia in questo movimento. Da anni, aziende come Uniqlo, fondata nell'ormai lontano 1949, curano collezioni dedicate ai gamer. Nell'aprile di quest'anno è stata lanciata una linea di sei t-shirt dedicate a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, in collaborazione con Nintendo: si spazia da quella color crema, con un taschino da cui spuntano due Korok birichini, a quella bianca decorata con gli occhi (e le lacrime...) del Drago Eburneo.
Ci sono poi gli anniversari da celebrare, come il trentacinquesimo della serie Final Fantasy nel 2022 - e anche qui, Uniqlo e Square Enix non sono rimaste a guardare. Sedici t-shirt come sedici sono i capitoli della saga principale: protagonisti della collezione sono il Mago Nero del primo Final Fantasy, ma anche i Chocobo in corsa di Final Fantasy V, alcune delle scene più iconiche delle cinematiche di Final Fantasy VII, le armi dei protagonisti sulla collina di Zanarkand in Final Fantasy X, e molto altro ancora.
Tornando per un attimo a The Legend of Zelda, con l'uscita di Breath of the Wild nel 2017 è nato un vero e proprio movimento nella moda giovanile, chiamato "Zeldacore". Colori tenui e ispirati alla natura - marroncino, verde, azzurro - tessuti organici, texture rustiche e capi sovrapposti, stivaletti bassi e, perché no, un paio di orecchini Korok: sono questi gli ingredienti per sentirsi a Hyrule anche quando si cammina per le strade grigie di città. Per quanto mi riguarda, non ho resistito ad acquistare una camicetta isolana ispirata ad Animal Crossing: New Horizons quando sono stata nel Nintendo Store di Tokyo, pieno di capi perfetti per i gamer che vogliono indossare le loro passioni.
Cosplayer alla riscossa
Sembra incredibile, ma la pratica del cosplay è nata agli inizi del Novecento, nel lontano 1939. Myrtle Rebecca Smith Gray Nolan, nota anche con lo pseudonimo "Morojo", si recò alla prima World Science Fiction Convention, tenutasi quell'anno a New York, indossando ciò che chiamò "futuricostume", ispirato a un costume del film Things to Come, del 1936. Pantaloncini corti, maglietta e mantello: oggi fa quasi tenerezza vedere la foto in bianco e nero di Morojo - i suoi vestiti sono piuttosto ordinari, se visti con gli occhi dei giorni nostri - ma in quel momento nacque un movimento oggi ben noto e affermato, legato al mondo dei videogiochi e non solo.
Il termine "cosplay" venne coniato in Giappone nel 1984, curiosamente sempre in occasione di una World Science Fiction Convention: Nobuyuki Takahashi scrisse sul magazine My Anime dei fan in costume che aveva incontrato lì, a Los Angeles, e per farlo unì i termini inglesi "costume" e "play", abbreviandoli in "cosplay". L'arte dei cosplayer è quella di lavorare con tessuti e materiali di vario genere - oltre che, recentemente, con tecnologie quali la stampa 3D - per rappresentare personaggi specifici di un libro, di un film o, perché no, di un videogioco.
Nella seconda metà degli anni '90, quando la "Lara Croft mania" impazzava in tutto il mondo, tantissime cosplayer si dedicarono a riprodurre il (tutto sommato semplice) costume dell'avventuriera più famosa dell'universo videoludico nel corso di fiere, iniziative commerciali e shooting fotografici. Oggi quello del cosplayer può diventare un lavoro vero e proprio, e le celebrità del mondo cosplay sono star planetarie: basti pensare agli elaboratissimi costumi di Jessica Nigri, che si è dedicata a riprodurre personaggi provenienti da Elden Ring, Pokémon, Assassin's Creed, e molti altri ancora, e a Yaya Han, che ha vestito i panni di icone del calibro di Chun-Li (Street Fighter) e Ada Wong (Resident Evil).
In copertina
Nel corso di oltre quarant'anni di attività, la rivista britannica The Face ha ospitato il lavoro di alcuni tra i più importanti fotografi di moda, tra cui David LaChapelle e Steven Klein. In una particolare occasione, però, a finire in copertina non è stato uno scatto ritraente una modella o una delle celebrità del momento. Sul numero di giugno 1997 campeggiava una Lara Croft sorridente, descritta come "Silicon chick", un gioco di parole che allo stesso tempo strizzava l'occhio al silicio e al silicone: i computer da una parte, la chirurgia estetica dall'altra.
Il corpo di Lara era proposto come sexy, avveniristico, uno sprazzo di pixel venuto dal futuro per definire una nuova immagine della donna: intraprendente, sicura, anche un pelo sbruffona. In altre parole, Lara era diventata un simbolo dell'empowerment femminile, anche grazie al suo abbigliamento, capace di comunicare carattere e sprezzo del pericolo. Nel mondo della moda di quegli anni, Lara ha contribuito a un ritorno di quello che nel gergo tecnico viene definito "utility wear". Di recente, anche la collezione Primavera/Estate 2022 della casa di moda italiana Miu Miu conteneva riferimenti decisamente espliciti all'iconico look di Lara Croft.
Videogiochi in passerella...
La Milan Fashion Week del febbraio 2023 ha testimoniato una volta in più - se mai ve ne fosse stato bisogno - come i videogiochi siano riusciti a entrare nel mondo della moda. Il designer danese Han Kjøbenhavn ha proposto una passerella completamente spiazzante, frutto della collaborazione tra la maison e Blizzard Entertainment: in previsione dell'uscita - allora imminente - di Diablo IV, le modelle hanno portato in scena una collezione Autunno/Inverno 2023 sconcertante nella sua bellezza infernale e distopica. Volumi esagerati, talvolta scultorei, hanno vestito in maniera intimidatoria le donne di Kjøbenhavn, portando nella realtà le ispirazioni e le vibe provenienti dall'universo virtuale di Diablo.
Si è affermata in questi mesi la cosiddetta "Pixel Fashion", una corrente di moda che coniuga la nostalgia per i videogiochi di una volta con le tendenze contemporanee. Ecco comparire sulle passerelle i blocchi di Tetris e gli alieni di Space Invaders, celebrati come pionieri dell'arte digitale e come oggetti virtuali iconici, più che degni di decorare i capi di alta moda. Il designer giapponese Kunihiko Morinaga aveva sperimentato queste idee già nella collezione Autunno/Inverno 2011/2012, con capi che sembravano usciti da una console degli anni '80.
...E le passerelle nei videogiochi
L'interessantissimo volume "Reinventing Fashion Retailing. Digitalising, Gamifying, Entrepreneuring" (a cura di Eirini Bazaki e Vanissa Wanick, pubblicato da Palgrave Macmillan nel 2023) si apre con una constatazione: la pandemia da Covid-19 ha accelerato il declino già in corso per brand anche importanti del mondo della moda, e i lockdown imposti in numerosi Paesi del mondo hanno imposto un radicale ripensamento delle modalità di presentazione delle collezioni al pubblico di consumatori e di addetti ai lavori. Ecco, quindi, che gli spazi virtuali dei videogiochi - liberi da vincoli e accessibili da ogni angolo del globo - si sono trasformati in passerelle, negozi, laboratori creativi, oltre che in luoghi d'affermazione della mascherina come oggetto di moda capace di trascendere la sua basilare funzione sanitaria.
Il fenomeno più studiato è stato senz'altro quello legato ad Animal Crossing: New Horizons, da molti associato all'inizio della pandemia e al primo lockdown: il gioco venne pubblicato su Nintendo Switch il 20 marzo 2020, nei giorni in cui l'allarme per il virus Covid-19 si diffondeva nel nostro e in molti altri Paesi. Al di là dei design creati dai giocatori per vestire gli isolani virtuali, le case di moda e le riviste di settore non hanno tardato a intravedere un'opportunità unica per organizzare eventi e lanciare collezioni all'interno del mondo di gioco, sfruttando la viralità clamorosa di New Horizons sui social network.
Nel maggio 2020, il Reference Festival si è tenuto in via virtuale, in collaborazione con l'Animal Crossing Fashion Archive e Marc Goehring, Fashion Director di 032C Magazine: lo show consisteva in una sfilata di avatar del gioco vestiti in abiti tratti dalle collezioni di allora di Prada, Loewe e GmbH, re-immaginati per l'occasione. Non sono mancate collezioni ufficiali legate ad Animal Crossing e create da brand importantissimi: Valentino e Marc Jacobs sono state tra le prime maison a inserire nel gioco design originali o tratti dai loro archivi. Nel commentare queste tendenze, Johanna Gibson, in un editoriale pubblicato nel numero di maggio 2021 del Queen Mary Journal of Intellectual Property, dal titolo "When games are the only fashion in town: Covid-19, Animal Crossing, and the future of fashion", scriveva che "Il nuovo spirito parigino è digitale. E il nuovo capitale è sartoriale. Nella moda, i giochi sono aperti".
Il punto di contatto tra gaming e case di moda non è stato esplorato soltanto nel titolo Nintendo. La piattaforma di gioco online Roblox ospita da anni le maison più importanti, che si sono impegnare nel creare collezioni dedicate e ambienti rappresentativi dell'estetica del brand. È notissimo il caso di Gucci Town, "destinazione digitale su Roblox pensata per chi è alla ricerca di qualcosa di inaspettato", come si legge sul sito della compagnia. "Gucci Town è un luogo che permette di conoscere meglio la Maison e il suo patrimonio, esprimendo la propria individualità e connettendosi con persone da tutto il mondo", prosegue la descrizione. Nella piazza di Gucci Town, gli avatar possono incontrarsi ed entrare in vari spazi, chiamati Mini Game Heights, Vault Plaza, Creative Corner, Craftsmanship Court, Selfie Way, Power-up Place. Naturalmente c'è anche il Gucci Shop, una boutique dove i visitatori possono acquistare articoli digitali Gucci da collezionare o da utilizzare per vestire gli avatar Roblox - a prezzi non sempre popolari.
Gucci non è stata l'unica maison a strizzare l'occhio a Roblox, anzi. La sfilata di Tommy Hilfiger tenutasi durante la New York Fashion Week 2022 è stata svolta in contemporanea dal vivo e su Roblox, con versioni virtuali dei capi pensate appositamente per vestire gli avatar del gioco. C'è poi Vans, che sulla piattaforma offre sfide quotidiane e la possibilità di customizzare l'attrezzatura Vans e l'immancabile skateboard.
La seriosissima Burberry, invece, ha scelto Minecraft: la casa di moda britannica ha creato quattro regni all'interno del gioco e quindici skin diverse per celebrare il valore del gioco e dell'avventura, creando una corrispondenza tra le skin virtuali e una collezione "fisica" dal nome Burberry x Minecraft, con sciarpe brandizzate Minecraft e le iconiche fantasie a strisce della compagnia punteggiate da pixel bianchi.
Dal videogioco alla realtà, dalla realtà al videogioco: le intersezioni tra gaming e moda sono sempre più frequenti e proficue per ambo le parti, e si stanno dimostrando capaci di trascendere la soglia tra fisico e digitale. L'immagine del gamer anni '90 come soggetto trasandato e fuori moda è ormai un puro e semplice stereotipo, perché oggi non soltanto il Diavolo, ma anche il videogioco veste Prada.