Il 1998 è stato un anno straordinario per l'universo dei videogiochi. Era l'alba dell'epoca tridimensionale, stava nascendo un nuovo mondo. È stato uno dei periodi più creativi che si possano ricordare, con dei giochi - spesso invecchiati male - già molto grandi rispetto alla generazione precedente, ma ancora abbastanza piccoli da poter sperimentare senza la paura di fallire (non solo in senso "artistico"). Quell'anno uscirono Spyro e Crash Bandicoot 3: Warped. Arrivò, su Sega Saturn, Panzern Dragon Saga. Uscirono Unreal e Turok 2: Seeds of Evil, Rogue Squadron, Xenogears. Parasite Eve e Resident Evil 2. F-Zero X e 1080° Snowboarding. Thief: The Dark Project e Tom Clancy's Rainbow Six. Furono pubblicati Banjo-Kazooie, Grim Fandango e Baldur's Gate. StarCraft. Sembra incredibile ripensarci adesso: una mole di titoli incredibile, molti dei quali hanno ridefinito o creato il proprio genere d'appartenenza. Già ora, da quest'elenco, sarebbe difficile selezionare un gioco dell'anno. E mancano ancora i tre che, forse più degli altri, sono entrati nella leggenda.
Il 3 settembre 1998 Konami pubblicò in Giappone Metal Gear Solid, terzo gioco di Hideo Kojima. Poi successe una cosa davvero straordinaria, perché in tre giorni arrivarono due seri candidati a "titolo del secolo" o, evitando queste sterili etichette, due capolavori che avrebbero cambiato per sempre il modo di concepire e creare videogiochi. Il 19 novembre venne pubblicato, come abbiamo ricordato in questo pezzo, Half-Life. Il 21 novembre uscì in Giappone The Legend of Zelda: Ocarina of Time, un'opera attesa da anni, che con tutta questa concorrenza trionfò ai BAFTA Awards del 1999, fu la prima a ricevere il perfect score su Famitsu (40 su 40), prese 10 su IGN, EGM ed Edge, che da quest'ultima venne poi premiata (nel 2000) gioco del secolo, che è ancora seconda su GameRankings (dietro a Super Mario Galaxy), tuttora l'unica a vantare un folle 99 su Metacritic. Ocarina of Time riuscì ad essere il gioco dell'anno in quell'anno benedetto, e definirlo un "instant classic" è ironicamente limitativo.
La genesi
I lavori su uno Zelda poligonale iniziarono, come del resto quelli su Mario, quando ancora la console di riferimento era il Super Nintendo. Miyamoto e Koizumi elaborarono un adattamento delle fasi di combattimento di Zelda II: The Adventure of Link, quindi delle sezioni bidimensionali con dei personaggi poligonali. Il focus, fosse andato avanti il progetto, sarebbe stato su un complesso - più che in passato - sistema di combattimento basato sulla spada. Tuttavia il risultato non li convinse. Il duo si concentrò quindi sull'idraulico: Super Mario 64 avrebbe trainato le vendite del Nintendo 64, mentre Zelda 64, qualche anno dopo, quelle dell'imminente (in teoria, molto in teoria...) 64DD. A metà anni '90 il progetto passò in mano a Shimizu, uno degli attuali responsabili dell'area edochiana di EPD. Fu lui a plasmare la demo, molto primitiva, presentata all'E3 1996: un filmato spartano, che tuttavia confermava il focus sul combattimento.
Anche Shimizu tuttavia abbandonò il progetto, per andare a dirigere Lylat Wars; Zelda 64 così rimase nelle mani di due sole persone, Osawa e Ikeda. Osawa era un dipendente R&D1, e successivamente lo sarebbe stato della divisione SPD, ma fin dall'ingresso in Nintendo il suo sogno era stato quello di lavorare ad uno Zelda. Questa era la sua occasione. Gestì, da qui alla fine dello sviluppo, lo script del gioco. Il terzo membro ad unirsi al team fu - di ritorno da Super Mario 64 - Yoshiaki Koizumi. Questo trio gettò le basi di Ocarina of Time, all'epoca ancora chiamato Zelda 64, ancora previsto per 64DD.
I tre visitarono il Toei Kyoto Studio Park in cerca di ispirazione, e vedendo uno spettacolo con dei ninja che, in massa, attaccavano un singolo samurai, a Koizumi venne in mente la meccanica che avrebbe generato lo Z-Targeting, nonché l'idea di far attaccare Link da un singolo avversario alla volta. Da qui in poi il progetto divenne sempre più grande, e nonostante alcune ambizioni si arresero alla realtà tecnologica dell'epoca, nonostante l'inevitabile rinuncia a un sempre più nefasto 64DD, il team riuscì comunque ad esaltarsi in un momento tanto complicato. In cabina di regia, per l'ultima volta nella sua carriera, tornò Shigeru Miyamoto. Aveva quattro sottoposti, quattro diversi direttori: Osawa, che come detto si occupò dello script. Eiji Aonuma, futuro responsabile della serie, che progettò gran parte dei dungeon. Yochi Yamada, che lavorò alla coesione del sistema di gioco. Infine Yoshiaki Koizumi, che mise anima e corpo nella costruzione, nell'animazione e nel controllo di Link (e che, grazie al cielo, per questa ragione si oppose alla visuale in prima persona). Voleste conoscere più scrupolosamente i tagli che da Zelda 64 hanno portato a The Legend of Zelda: Ocarina of Time, in questo sito sono raccontati piuttosto minuziosamente. Quello che al momento ci interessa tuttavia è che, nonostante lo sviluppo travagliato, Ocarina of Time si dimostrò immediatamente un capolavoro epocale.
Ocarina of Time, oggi
Il successo del gioco, come detto, fu istantaneo. Ma la gloria trovata nel 1998, il successo e le lodi, la subitanea leggenda, a lungo termine non fecero altro che ossessionare Aonuma e, con lui, l'intero team responsabile di The Legend of Zelda. Perché Ocarina of Time è stato superato davvero solo quando era ormai inevitabile, quando si è deciso di andare altrove, così da salvare la serie: quello standard imposto da Ocarina of Time, che poi non era altro che la difficoltosa trasposizione tridimensionale - mappa del mondo esclusa - della struttura portante di A Link to the Past, ha segnato la saga dal 1998 al 2011. I capitoli successivi hanno migliorato tutti qualche aspetto, ma Ocarina of Time, come confermò il remake per Nintendo 3DS del 2011, rimase probabilmente - nel suo complesso - il gioco migliore.
E c'è tuttora chi lo rimpiange, perché Breath of the Wild è eccezionale, ma come modello, pur trasportando tutto il recente DNA, utilizza il capostipite della serie: un'avventura più libera, ma anche meno cervellotica. In ogni caso, indipendentemente dagli episodi che si preferiscano, non c'è dubbio che Breath of the Wild sia stato un sollievo. Il suo straordinario successo, il suo blasone e la sua qualità, hanno restituito vitalità all'aurea saga Nintendo, e permesso a Ocarina of Time di andare a riposarsi tra i capolavori del passato, piuttosto che stanziare come un macigno tra gli obbiettivi da superare. Tracce del leggendario titolo per Nintendo 64 si trovano su qualsiasi action tridimensionale, e sono tantissimi i game designer che si sono formati giocandolo (e studiandolo). Non ultimo il nostro Davide Soliani, che come ci ha detto è entrato in Ubisoft scrivendo un piccolo saggio sul "ritmo tattile" di Ocarina of Time. Hidetaka Miyazaki, creatore e direttore di Dark Souls, in un'intervista a Rolling Stones del 2016 disse che, parafrasandolo, riteneva indegno il paragone tra la sua creatura e The Legend of Zelda. "Se ci sono delle cose in comune tra i due, è dovuto al fatto che Zelda è diventato una sorta di manuale degli action 3D".
Se questa serie è così prestigiosa, se lo è rimasta per tutti gli anni duemila, il merito principale è proprio quello di Ocarina of Time, che ha saputo declinarla in tre dimensioni gettando le basi per il genere di appartenenza, quello degli action RPG, e probabilmente pure per il setting che sarebbe divenuto qualitativamente dominante negli anni a seguire, ovvero l'open world (nelle microstrutture più che nell'impostazione generale). Perché giocare Ocarina of Time nel 1998 significava entrare in un'avventura gigantesca, nella quale perdersi, nonostante adesso possa sembrare assurdo. In effetti, elementi tecnologici a parte, l'unico ingranaggio invecchiato molto male è proprio l'overworld, mera prateria connettiva tra le varie aree. Ma nel 1998 uscire dal villaggio Kokiri era semplicemente sbalorditivo, affacciarsi verso l'Hyrule Field e immaginare quanto ci sarebbe stato da esplorare, da girovagare e cercare, prometteva una prospettiva talmente bella e incredibile da sembrare impossibile. In definitiva, non che ci volessimo noi per dirlo, Ocarina of Time è una delle pietre miliari della storia del videogioco. Se fossero soltanto dieci, una sarebbe comunque sua per diritto. Sarà giocato e studiato ancora tra anni, e decenni. Molto probabilmente sarà ricordato come l'ultimo capolavoro di Shigeru Miyamoto. Ma nonostante i premi e le parole, niente potrà far comprendere pienamente cosa abbia significato Ocarina of Time per chi, nel 1998, era abbastanza grande da giocarlo, e abbastanza piccolo da sognarlo: si tornava a casa da scuola, si posava lo zaino, si accendeva un interruttore e se ne chiudeva un altro, e all'improvviso, illuminati dal solo televisore squadrato, eravamo un piccolo elfetto mancino, con una tunica verde e un'ocarina in tasca. Magia.