Nonostante tutto, alla fine la serie TV in carne e ossa di One Piece è stata un successo: ha superato quasi subito i risultati della terza stagione di The Witcher e registrato quasi venti milioni di visualizzazioni in appena quattro giorni. Il battage pubblicitario ha sicuramente aiutato, così come l'entusiasmo e la passione che Netflix ha cercato di veicolare attraverso gli spot e le interviste agli attori e alla produzione. Chi credeva fosse tutto marketing, alla fine si è dovuto ricredere almeno un po': nella nostra recensione vi abbiamo spiegato come sembri un raduno di cosplayer più o meno riusciti, che riesce comunque ad essere divertente e appassionante grazie a una pletora di particolari che omaggiano l'opera originale di Eiichiro Oda - il quale ha supervisionato l'intera lavorazione - e che, soprattutto, ne rispettano lo spirito goliardico e le atmosfere eccessive.
Il ché ci ha fatto pensare a come abbiano mancato il bersaglio tanti adattamenti televisivi o cinematografici di manga e anime: spesso sacrificano i propositi delle opere in favore di virtuosismi e ambizioni, cercando un compromesso tra i fan e il pubblico occasionale che porti comunque soldi in cassa. E fallendo miseramente, come ha dimostrato con chiarezza il recente film ispirato a I Cavalieri dello Zodiaco.
La serie TV di One Piece, invece, non punta a raccontare la visione del regista di turno, né a re-immaginare l'universo piratesco di Oda in salsa live action: dà agli spettatori, e prima di tutto ai fan, esattamente quello che vogliono, e pazienza se gli attori indossano parrucconi o gridano i nomi dei loro colpi speciali come in uno shonen.
Venendo ai videogiochi, la lista di quelli veramente riusciti che si ispirano ai manga o agli anime è paurosamente ristretta. Persino i picchiaduro - il genere di riferimento per gli shonen, e per ovvi motivi - mancano spesso il bersaglio, e si contano sulle dita di una mano quelli che sono riusciti a coniugare il fanservice col gameplay. Così, mentre guardavamo la serie TV su Netflix, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci: cosa servirebbe a un gioco di One Piece per essere davvero un adattamento coi fiocchi?
Un picchiaduro migliore è possibile
Pensate quanto sarebbe bello un picchiaduro ispirato alla serie TV in carne e ossa di One Piece, magari con la grafica ultra realistica. Ma non nello stile di Jump Force, che era assai bruttarello, no. Pensavamo a una cosa tipo Street Fighter: The Movie, ve lo ricordate? Sviluppato da Incredible Technologies e uscito nel 1995 in sala giochi, il picchiaduro impiegava le immagini digitalizzate degli attori che interpretavano Guile e compagnia nel film di Steven E. de Souza, quindi Jean-Claude Van Damme, Raul Julia, Ming-Na Wen e così via. Certo, il gameplay era orrendo, tant'è che un sopralluogo di Capcom Japan si era concluso con uno Yoshiki Okamoto particolarmente incavolato per come stavano trattando il suo brand, ma in questo senso non si può dire che il gioco non fosse fedele alla pellicola da cui era tratto.
In alternativa, visto che il 2D non va più tanto di moda, si potrebbe ricalcare l'estetica della serie Netflix con una grafica alla Mortal Kombat 1, realistica ma non del tutto priva di surrealtà. Forse le fattezze di Iñaki Godoy, Mackenyu e tutti gli altri attori renderebbero anche di più, e si presterebbero meglio alla trasposizione dei loro attacchi speciali, specialmente quelli fantasiosi di Luffy, Buggy e gli altri pirati che hanno consumato i Frutti del Diavolo. Così facendo, si potrebbero anche implementare delle Fatality nel gameplay, visto che la serie Netflix non è avara di sangue o violenza: potremmo avere uno Zoro realistico che taglia in due il suo avversario a fine match, per dire. Sarebbe un gioco fedelissimo allo spirito della serie TV.
Ora, se siete arrivati fino a questo punto della lettura, vorremmo un attimo tranquillizzarvi: vi stavamo prendendo in giro. I picchiaduro che abbiamo appena descritto sarebbero l'apoteosi del trash, e non ci passa nemmeno per l'anticamera del cervello che One Piece debba diventare qualcosa del genere sui nostri schermi: abbiamo apprezzato l'adattamento live action, ma il nostro cuore appartiene comunque all'opera originale di Oda, e l'unico gioco che vorremmo dovrebbe essere quantomeno in stile anime come estetica. Sul gameplay, tuttavia, si potrebbe fare un discorso più lungo.
Quando si parla di picchiaduro ispirati agli anime - chiamati anche "anime fighters" - i fan pensano quasi sempre a due sviluppatori: Arc System Works e CyberConnect2. I primi sono specializzati nel gameplay tecnico, tant'è che i loro picchiaduro finiscono sempre nelle rotazioni dei tornei, e ci hanno consegnato perle come Dragon Ball FighterZ, che non ha bisogno di presentazioni.
CyberConnect2 è un po' meno rigida sul gameplay: i suoi giochi, come quelli ispirati a Naruto o Le bizzarre avventure di JoJo, sono pensati per gli utenti più casual, con meccaniche molto più semplici, fanservice a tutta birra e tanta fedeltà nei confronti degli anime, specialmente nelle cinematiche d'intermezzo e nella riproduzione dei colpi speciali più famosi. Non è che non esistano altri sviluppatori oltre a questi; per esempio, Spike Chunsoft ha realizzato un picchiaduro a incontri ispirato all'opera di Oda proprio qualche anno fa, s'intitolava One Piece: Burning Blood ed era, come al solito, una mezza delusione. La vera domanda infatti è un'altra: ha veramente senso un picchiaduro di One Piece?
All'arrembaggio?
Diciamo che nessuno segue veramente One Piece per i suoi combattimenti, che sono lunghi e spettacolari, ma rappresentano solo in piccola parte l'anima di questo shonen. Nonostante tutto l'entusiasmo che ha scosso i social per il raggiungimento del nuovo power-up di Luffy nell'anime - un evento che nel manga risale a oltre un anno fa, per intenderci - a conquistare il cuore dei fan è stato l'umorismo, la costruzione di un immaginario complesso e mai banale, l'inclusività che si sposa bene col messaggio di uguaglianza e fraternità che caratterizza il mondo piratesco in cui vivono i protagonisti, nonché i commoventi e spesso tragici retroscena che spiegano i comportamenti dei personaggi.
One Piece è un inno all'avventura e alla libertà: nonostante i suoi limiti, la serie TV targata Netflix è riuscita a catturare questo spirito e a trasmetterlo grazie all'energia degli attori e, in un certo senso, anche ai costumi bislacchi e alle parrucche. Chiaramente parliamo di un aspetto di One Piece che i picchiaduro non possono trasmettere, non quando il gameplay è tutto incentrato sulle combo e sui conflitti con personaggi che magari, nel manga e nell'anime, non hanno alcun motivo di combattere.
Forse è per questo che Bandai Namco, negli anni, ha sperimentato diverse formule di gameplay, cercando di trovare quella che fosse più adatta alla caleidoscopica opera di Eiichiro Oda. I titoli che si sono più avvicinati a quello che intendiamo quando pensiamo a One Piece sono stati sicuramente One Piece Odyssey e One Piece: World Seeker, ma entrambi non hanno centrato il bersaglio per un soffio. Il primo, che è anche più recente, è un gioco di ruolo con combattimenti a turni che fa il verso a Dragon Quest e Final Fantasy. In questo modo lo sviluppatore ILCA ha potuto raccontare una storia autonoma, senza ripercorrere se non parzialmente la storia originale, e puntare su un fanservice ragionato e mai invadente, ma allo stesso tempo si è scontrato coi limiti concettuali di un genere rigido, specialmente nella sua forma più tradizionale.
In generale, però, One Piece Odyssey ricalca in maniera fedele la struttura degli archi narrativi di One Piece così come li scrive Oda, rappresentando un'ottima trasposizione videoludica per chi ama i JRPG e i giochi dai ritmi più rilassati e didascalici.
One Piece: World Seeker, secondo noi, è il gioco che più si è avvicinato allo spirito dell'opera di Oda, ma è stato tradito da una realizzazione approssimativa da parte dello sviluppatore Ganbarion. La formula dell'action adventure in terza persona si sposa alla perfezione con l'immaginario di One Piece, e la possibilità di esplorare liberamente le grandi mappe in cerca di obiettivi, collezionabili e nemici da sconfiggere con un sistema di combattimento in tempo reale coniuga quasi perfettamente il senso di libertà, scoperta e goliardia che dovrebbe concedere una storia di pirati. Il problema è che Ganbarion si è concentrata soltanto sul personaggio di Luffy - l'unico controllabile nel gioco base, poiché ci si sposta come novelli Spider-Man usando i suoi poteri elastici, anche se i DLC a pagamento consentono di giocare anche nei panni di Zoro, Sabo e Trafalgar Law - rinunciando alla pluralità di prospettive che caratterizza One Piece come storia.
Se il gameplay fosse stato migliore sotto diversi aspetti, e il gioco ci avesse permesso di controllare tutti i pirati di Cappello di Paglia e non solo il loro capitano, avremmo avuto un assaggio di ciò che One Piece potrebbe davvero offrire sulle nostre piattaforme di riferimento.
C'è da dire che i tempi sono cambiati e il successo della serie TV su Netflix, che ha fatto conoscere One Piece a un pubblico molto più vasto, potrebbe aver dato a Bandai Namco la spinta di cui aveva bisogno per commissionare qualcosa di meglio a uno sviluppatore più capace. Gli adattamenti videoludici soffrono ancora di un problema annoso, e cioè la tendenza alla massima resa con la minima spesa. I publisher sono consapevoli che qualsiasi copertina su cui ci sia scritto Dragon Ball, One Piece o Naruto venderà sempre a prescindere dalle risorse investite su quel titolo o dalla sua qualità finale: ci sarà sempre e comunque il fan che acquisterà il picchiaduro o il GDR peggiore del mondo solo per poter impersonare i suoi personaggi preferiti.
Il palato del pubblico però è cambiato. I giochi costano di più, l'asticella si è alzata. Un picchiaduro a incontri in cel shading con la raffinatezza di Arc System Works sotto il logo di One Piece non dispiacerebbe a nessuno, ma non toglierebbe quel prurito che resterebbe anche di fronte a un roster con cinquanta personaggi in stile Dragon Ball: Budokai.
Provate a immaginare una roba alla Assassin's Creed: Odyssey oppure alla The Legend of Zelda: The Wind Waker, con un mare sconfinato da esplorare a bordo di una Thousand Sunny personalizzabile e decine di isole da visitare, alcune inventate di sana pianta e altre ispirate direttamente all'opera originale in cui incontrare amici e nemici. Potremmo scegliere chi controllare, e quindi non solo Luffy, ma anche Zoro, Sanji, Nico, Franky e tutti gli altri: ciascuno con il proprio albero di abilità da sbloccare, le proprie combo e mosse speciali. Magari il sistema permetterebbe di formare una squadra per esplorare la terraferma, cambiando al volo il personaggio controllato come si faceva in titoli come Ys VIII: Lacrimosa of Dana.
Salperemmo in cerca di tesori e collezionabili, mentre si completano le missioni secondarie o si porta avanti la campagna principale, che potrebbe essere scritta appositamente per il gioco come succede con i lungometraggi animati e com'è stato fatto per i summenzionati Odyssey e World Seeker. Sarebbe un gioco che catturerebbe alla perfezione lo spirito di One Piece, concedendo al giocatore la libertà di esplorare coi suoi tempi un universo talmente ricco, sfaccettato e creativo che ci hanno scommesso sopra con una serie TV che poteva essere un completo disastro e che invece ci ha ricordato che One Piece, dopo vent'anni, non è più solo l'erede di Dragon Ball: ormai lo guarda dritto negli occhi e, almeno live action, anche dall'alto in basso.