Quando sulla scena arriva un gioco come Skull Island: Rise of Kong il mondo si ferma per chiedersi: perché? Il fatto che fosse un gioco dallo sviluppo problematico era chiaro sin dalle immagini, eppure qualcuno ha deciso scientemente di pubblicarlo, infangando per sempre il nome del re delle scimmie con un gioco semplicemente brutto, qualsiasi punto di vista si adotti per guardarlo. Immaginando il povero Kong in lacrime che sorseggia bourbon insieme a Gollum, è emerso nei discorsi redazionali il ricordo di un gioco con protagonista il celebre gorilla gigante fatto di tutt'altra pasta, cui tra una battuta e l'altra abbiamo deciso di dedicare un articolo memento. È da qui che nasce questa breve retrospettiva di Peter Jackson's King Kong: The Official Game of the Movie (da ora King Kong), che in qualche modo ci ha fatto riflettere anche su quanto sia cambiata l'industria dei videogiochi nel giro di non molti anni.
Lo scimmione parla francese
Se dovessimo stilare una classifica dei videogiochi cui non vengono riconosciuti i giusti meriti nella storia del medium, una delle prime posizioni sarebbe occupata proprio da King Kong di Michel Ancel, pubblicato da Ubisoft nel 2005 a seguito del film omonimo (in realtà uscì prima, ma non sottilizziamo), anch'esso sparito nelle nebbie del tempo (nel suo caso più a ragione). Era uno sparatutto in prima persona con elementi survival che faceva sua una filosofia che poi sarebbe stata abbracciata da molti altri designer. In realtà si trattava di un discorso già presente da tempo nel mondo dei videogiochi, che ragionava su come aumentare il coinvolgimento del giocatore prendendo a prestito elementi del linguaggio cinematografico e rendendo al contempo minimali alcuni di quelli videoludici, pur rimanendo nell'ambito del videogioco puro.
Non stupisce che buona parte di questa riflessione implicita provenisse dalla Francia, una nazione in cui gli autori dei videogiochi avevano da sempre guardato con grande interesse al linguaggio del cinema e a quello dei fumetti e dove non mancavano esperimenti su come ridurre la presenza e l'impatto delle interfacce sull'esperienza. Pensate ad esempio alle avventure grafiche di Paul Cuisset, ad Another World ed Heart of Darkness di Éric Chahi o ad Alone in the Dark di Frédérick Raynal per avere qualche esempio celebre. King Kong proviene dalla stessa scuola, di cui ha applicato alcune teorie in ambito FPS, anticipando al contempo molte delle tendenze degli anni successivi. Non fu un gioco perfetto, a conti fatti, ma fu uno di quelli in cui confluì una visione del medium che poi si riversò su di un'infinità di altre opere, che guardarono al titolo di Ancel con grandissimo interesse.
Meglio del film
Sviluppato da Ubisoft Montpellier, con la collaborazione di Peter Jackson stesso, King Kong metteva i giocatori nei panni dello sceneggiatore di New York Jack Driscoll, il cui obiettivo era quello di salvare la donna che amava, Ann Darrow, sacrificata al gorilla gigante King Kong dai nativi di Skull Island. Al contempo, alcune sequenze erano vissute dal punto di vista dell'enorme primate, che poteva girare sull'isola praticando un rudimentale parkour e picchiando i nemici con i suoi potenti pugni. Se la storia era più o meno quella del film e non presentava picchi creativi particolari, a essere eccezionale era la densità di scelte di design mirate ad accompagnare la natura narrativa nel titolo, senza ricorrere necessariamente a filmati statici o ad altre trovate che togliessero il controller dalle mani del giocatore.
Ancel fa di tutto per integrare il linguaggio cinematografico in quello videoludico, ibridandoli e non creando dei momenti esclusivi, come ad esempio faceva la serie Metal Gear Solid, in cui Hideo Kojima si prendeva i suoi momenti trasformando volutamente il giocatore in uno spettatore passivo, per dargli il suo punto di vista esclusivo.
Qui l'integrazione avviene fluidamente all'interno dell'azione, con trovate come l'utilizzo dei feedback visivi per dare informazioni al giocatore che normalmente sarebbero spettate all'HUD, o l'adozione di alcune tecniche narrative volte a rendere più cinematografici alcuni momenti, ma senza staccare dall'azione, come il celebre zoom sui personaggi dialoganti o le interazioni mirate a trasmettere certe sensazioni (pensate solo alla pesantezza della corsa). Non c'è un singolo sistema di gioco che in qualche modo non guardi al futuro, magari solo abbozzandolo, pur partendo da generi noti come i survival horror e, appunto, gli FPS, e pur facendo sue alcune delle trovate adottate dai "vicini di casa", come il sistema di parkour del gorilla già sperimentato da Ubisoft con successo nel reboot della serie Prince of Persia di Jordan Mechner (altra enorme fonte d'ispirazione per il King Kong di Ancel).
Come giocare Peter Jackson's King Kong: The Official Game of the Movie
Attualmente l'unico modo per giocare legalmente a Peter Jackson's King Kong: The Official Game of the Movie è quello di rivolgersi al mercato dell'usato. Possedendo una console Xbox è possibile acquistare la versione fisica per Xbox 360 e giocarci in retrocompatibilità. L'alternativa è di rivolgersi alla versione PC, smanettando un po' per farla girare. Purtroppo non è possibile giocarci su nessuna moderna console di PlayStation o di Nintendo, visto che non prevedono sistemi di retrocompatibilità simili a quello di Xbox.
L'ulro della scimmia
Del resto King Kong fu uno degli ultimi fuochi della generazione PS2, una delle più innovative in assoluto in ambito action, che vedeva proprio Ubisoft tra gli editori più attivi nel far evolvere il genere e tutte le sue desinenze. In quegli anni uscirono Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo e Tom Clancy's Splinter Cell, per fare un paio di nomi celebri, e la casa francese, come molte altre, non disdegnava di proporre un'ampia varietà di titoli, affiancando produzioni più grosse per un pubblico più ampio ad altre mirate a determinate nicchie, sposando la stessa filosofia anche in ambito del publishing puro. King Kong naturalmente fu una produzione gigantesca, su cui Ubisoft investì soldi e talenti in egual maniera. Non per niente la affidò ad Ancel, il suo designer di punta, l'uomo di Rayman, la sua mascotte dell'epoca, nonché autore di quel Beyond Good & Evil che, pur non essendo stato un enorme successo di pubblico come altri suoi giochi, aveva fatto parlare molto di sé per l'impronta autoriale che conteneva.
In effetti King Kong era una produzione così grossa (per gli standard di allora) che quasi stupisce di ricordarlo come un gioco fortemente sperimentale, un'associazione di termini che in tempi recenti appare quasi una bestemmia, considerando che le grandi opere di stampo cinematografico sono anche le più conservatrici dal punto di vista delle scelte di design. Invece ci troviamo di fronte a un titolo che simula un piccolo ecosistema (i dinosauri che possono ucciderci si combattono anche tra di loro), che sostituisce elementi dell'interfaccia, come la conta delle munizioni, con le parole del protagonista e che rilegge il genere survival horror in chiave più survival che horror, tra armi improvviste da creare e terreni accidentati da superare.
King Kong era un FPS, ma rifletteva su ognuno dei verbi tipici del genere per darne una visione propria; partiva sicuramente dal film per lo scenario e alcune situazioni, ma non rinunciava a offrire uno spettacolo più videoludico, in qualche modo completamente autonomo, con scenari ampi e vivi a cui i personaggi reagivano in accordo con la loro caratterizzazione. A conti fatti, meriterebbe di essere citato più di tanti altri giochi per il contributo dato all'avanzamento di un certo modo di intendere i videogiochi. Sicuramente non di essere ricordato come nota a margine di Skull Island: Rise of Kong.