Makoto Shibata li sente lì fuori, rumorosi come lo sono ogni notte. Cantano, danzano, sfilano in processione. I fantasmi camminano lungo le strade della città in cui vive, nella prefettura di Ishikawa. Vanno verso il tempio. La casa dei suoi genitori si trova proprio al crocevia, è un passaggio obbligato. Makoto, che è appena un ragazzino, è troppo spaventato per guardare fuori dalla finestra, quindi corre nel suo lettino e si tira le coperte fin sopra la testa, battendo i denti per la paura e sperando che quella processione di spiriti passi in fretta. E che lo lasci in pace. Non sa bene con cosa abbia a che fare, ma è sicuro di essere l'unico in famiglia a riuscire a vederli e a sentirli. Sa che se mai dovesse incrociare lo sguardo con uno di quegli esseri, la sua anima sarebbe condannata.
Ma la curiosità è troppa. E sebbene Makoto sia terrorizzato, è pur sempre un ragazzino cresciuto in Giappone nel pieno del boom dell'occulto. Dopo la pubblicazione nel 1973 di Le Profezie di Nostradamus di Tsutomu Goto, un'ondata di fervore mistico ha investito il Paese negli anni '70 e '80, allevando una generazione di appassionati di fantasmi e UFO. Con un po' di fantasia, Makoto Shibata escogita un piano. Qualche tempo prima, suo padre gli ha regalato una vecchia macchina fotografica. È rotta, ma Makoto non vuole scattare foto. Non è mica ingenuo: lo sa che i fantasmi non compaiono su pellicola. Però, forse, guardandoli attraverso l'obiettivo, potrà osservarli pur mantenendo un distacco col mondo dei morti. Così, una sera prende coraggio e, con le mani che tremano, si affaccia alla finestra. Con un solo occhio aperto guarda attraverso il mirino della macchina fotografica.
Non vede nulla, ma non può immaginare che quell'esperienza da incubo gli sarà utile una ventina di anni più tardi, quando dovrà realizzare il suo videogioco horror: Project Zero.
Un’idea, un sogno, vent’anni
Vent'anni dopo, per l'appunto, Makoto Shibata lavora a Tecmo. Lì ha stretto un solido rapporto con l'amico e collega Keisuke Kikuchi lavorando alla serie Deception su PlayStation. Deception è un videogioco molto particolare nel quale si preparano delle trappole per sbarazzarsi dei nemici. Tutto in un contesto fantasy dal sapore medievale.
È un grande successo, tanto che Kikuchi e Shibata vanno avanti a realizzarne un episodio dopo l'altro per anni, pur quando si trovano d'accordo nel voler cambiare ambientazione. Condividono un'idea tanto audace quanto innovativa: vorrebbero trasferire il nuovo capitolo all'interno di una vecchia e inquietante casa giapponese, per esaltare la vena horror che da sempre abita il franchise.
Tra il dire e il fare, però, c'è di mezzo la scarsa potenza di PlayStation e, soprattutto, l'incredibile comodità di poter contare sulle geometrie squadrate e rodate di castelli e strutture più semplici. Ma quell'idea della casa giapponese, con le porte che scorrono, i fusuma trasparenti e il tatami che scricchiola, ormai ha messo radici.
Tornerà pochi anni più tardi, quando Sony presenta a Tecmo la nuova console, PlayStation 2, molto più potente della precedente. È in questo momento che Shibata e Kikuchi si mettono a sedere e capiscono che è arrivata l'occasione per proporre il loro videogioco horror con ambientazione giapponese. Non è un brainstorming che dura molto, perché Makoto Shibata ha fin da subito un'idea molto precisa. Pare quasi che ce l'avesse incastrata in gola e non vedesse l'ora di uscire fuori: fantasmi. E una macchina fotografica in grado di esorcizzarli. "Sarà così, perché l'ho sognato", dice.
Guardare in faccia l’orrore
Nel corso degli anni, delle interviste e dei capitoli della saga Project Zero, Makoto Shibata ha raccontato decine di storie sui suoi incontri con il soprannaturale. Una volta, rientrando a casa, ha trovato lo spirito di una ragazzina vestita di verde seduto sopra una libreria che l'ha guardato e, prima di sparire, gli ha sussurrato una frase da brividi: "muori più lentamente".
In un'altra occasione, lo spettro di una bellissima ragazza gli è letteralmente piovuto addosso dal soffitto di casa, ed è rimasto nell'appartamento a tormentarlo per giorni, fino a quando Shibata non si è deciso a esorcizzarlo con l'aiuto di uno spray anti-odori. Ha incontrato fantasmi alle terme, quando un uomo dall'aspetto austero ha continuato a fissarlo per tutto il giorno salvo poi sparire magicamente, e perfino nei suoi sogni. Per tutta la sua vita ha avuto a che fare con apparizioni confuse e misteriose, spesso senza faccia, o comunque dai lineamenti confusi.
Potrà sembrare strano che un uomo adulto racconti con leggerezza di riuscire a vedere i fantasmi, ma nella cultura Giapponese non lo è poi molto. D'altronde lo shintoismo, la religione più diffusa nel Paese, è profondamente legato al concetto di spirito, quindi non è così difficile trovare un giapponese che creda nei fantasmi.
Ed è per questo motivo che, quando Keisuke Kikuchi ascolta l'idea di Shibata, non è tanto la cosa degli spettri a suonargli bizzarra, quanto quella della macchina fotografica che può esorcizzarli. Shibata però è inamovibile, e alla fine l'idea della macchina fotografica, che nella versione occidentale si chiamerà Camera Obscura e in quella giapponese Shaeiki, viene mantenuta. Shibata riesce a convincere il collega con una considerazione semplice e diretta: con uno strumento simile, il giocatore sarà costretto a guardare l'orrore dritto in faccia attraverso il mirino. Come non gli era stato possibile fare a lui da ragazzo.
Tratto da una storia vera
Questa è l'occasione perfetta, come si diceva, per rispolverare quella vecchia idea delle antiche case giapponesi come setting per un racconto dell'orrore. D'altronde c'è una casa al centro della storia di Shibata bambino che cerca di non guardare la processione di spettri diretta al tempio. Ed è molto comune ascoltare testimonianze dei grandi maestri orientali dell'orrore come Keiichiro Toyama e Junji Ito, su quanto fossero spaventose le case dei loro genitori. Specialmente per via del fatto che le più vecchie avevano il bagno all'esterno, e da ragazzini svegliarsi nel cuore della notte con la vescica piena era sempre un tuffo al cuore.
Per Project Zero, Shibata e Kikuchi prendono ispirazione da una serie di leggende metropolitane, mescolando folklore e suggestioni e, senza rendersene conto, creano un luogo destinato ad animare numerose diatribe nella community di appassionati: la Himuro Mansion.
In Project Zero la Himuro Mansion si trova da qualche parte fuori Tokyo, sulle montagne, nel bel mezzo di una foresta (che secondo molti è la tristemente nota Aokigahara, la foresta dei suicidi). Non si tratta solo di un'antica e bellissima dimora, ma di un luogo maledetto, protagonista di una torva leggenda. La famiglia Himuro era infatti incaricata di tenere chiuso il portale demoniaco che si trova a poca distanza dalla magione. Gli spiriti che ne fuoriuscivano, potevano essere placati solo attraverso un rituale che prevedeva il sacrificio di una ragazza ogni dieci anni. I membri della famiglia, benché riluttanti, rapivano ogni decade una giovane e poi la sacrificavano in modo orribile, saziando la fame dei demoni.
Tutto fino a quando il rito fallì, perché la ragazza e il primogenito degli Himuro si innamorarono e il sacrificio non fu portato a termine. Gli spiriti si impossessarono allora del capofamiglia e lo spinsero a uccidere tutti gli abitanti della casa. Da allora la Himuro Mansion è un luogo maledetto dove coesiste la presenza del maligno e l'infamia di un crudele omicidio di massa.
Sebbene la magione sia ormai disabitata, in molti dicono di aver visto con i loro occhi macchie di sangue comparire sulle pareti, il fantasma di una giovane affacciarsi a una finestra e tutta una serie di altre attività paranormali che l'hanno resa un luogo d'obbligo per gli appassionati di occulto. Project Zero è ambientato negli anni '80, Miku e Mafuyu, due gemelli che hanno la capacità di vedere i fantasmi, si avventurano all'interno della Himuro Mansion e ne scoprono il terribile segreto.
Realtà e fantasia si mescolano in maniera inestricabile e la colpa, se così possiamo dire, è del reparto marketing americano di Tecmo, che appiccica su Fatal Frame (questo è il titolo che viene scelto per la versione occidentale) un disclaimer: tratto da una storia vera. Per anni, parte della community si è messa alla ricerca della "vera" Himuro Mansion, o perlomeno della storia che l'ha ispirata. La questione è ancora dibattuta: in molti affermano che non esista alcuna ispirazione diretta che abbia dato la scintilla a Shibata per inventare la casa. Altri sono convinti che il luogo più infestato di tutto il Giappone esista davvero.
Un successo internazionale
Che la Himuro Mansion esista oppure no, quel bollino della storia vera è la trovata che fa schizzare le vendite della versione occidentale del videogioco. Oltre alla splendida trovata della macchina fotografica, Project Zero può contare su alcune fortuite coincidenze e su caratteristiche che lo rendono un successo immediato.
Prima di tutto, c'è una peculiarità che lo contraddistingue da Resident Evil (con cui condivide il doppio titolo, all'estero e in patria) e da Silent Hill. Project Zero è profondamente radicato nel folklore giapponese: a partire dalla configurazione della casa, fino ad arrivare all'aspetto dei fantasmi. Se Resident Evil e Silent Hill cercano di arraffare pubblico da oltreoceano, finendo come nel caso del secondo per fare più successo all'estero che in patria, a Project Zero non importa. Ed è un bene, perché nei primi anni 2000, quando esce in tutto il mondo, il pubblico internazionale sta scoprendo il j-horror e gli yurei, i fantasmi giapponesi, in pellicole come The Ring e Ju-On.
Anche la nomea di videogioco tratto da una storia vera è cruciale, perché gli appassionati di film horror sono ancora in pieno fermento per The Blair Witch Project, il finto documentario che racconta la disavventura di alcuni ragazzi impegnati a smontare la leggenda metropolitana della strega di Blair.
È un momento in cui qualsiasi storia dell'orrore, plausibile o meno, che porti su di sé la nomea di fatto realmente accaduto, attira un interesse quasi inconscio. Il risultato inaspettato è che Project Zero vende meglio in occidente che in patria.
Non voglio entrare lì dentro
È solo tanti anni più tardi che Makoto Shibata torna nella casa dei suoi genitori, la stessa dove ha incontrato i fantasmi per la prima volta e dove ha pensato ingenuamente di poterli guardare attraverso la lente della sua macchina fotografica. Racconterà questo episodio in un articolo apparso su una rivista giapponese. Uno di quelli in cui sciorina aneddoti spaventosi sui suoi incontri paranormali come fossero storielle divertenti e di poco conto.
Quando ci torna, dicevamo, non è solo. Ha portato suo figlio, vuole fargli vedere la casa in cui è cresciuto. Nonostante i ricordi spiacevoli, è grazie a quell'esperienza se è nato Project Zero. Ci sta ancora pensando quando si accorge che il bambino non gli è più accanto. Si volta, lo trova qualche passo indietro, immobile.
"Papà non voglio entrare lì dentro", dice.
Shibata lo guarda incuriosito e gli chiede come mai.
"Perché ci sono i fantasmi", gli risponde il bambino.
Shibata sorride. Dopo tanto tempo, non è più solo.