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La rappresentazione dell'aldilà nei videogiochi

Cerchiamo di capire come alcuni videogiochi hanno provato a rappresentare l'aldilà, a volte con grande profondità, a volte cogliendone solo il folklore

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   05/02/2021

Nell'Odissea, Ulisse scende nell'Ade, il regno dei morti, per cercare l'ombra dell'indovino cieco Tiresia e conoscere finalmente il suo destino. Il suo è un viaggio di rivelazione e conoscenza, che compie spinto dal desiderio di sapere quando e se riuscirà a tornare a Itaca, la sua casa. Vagando per il regno dei morti incontra anche le ombre di Agamennone, Achille e Aiace, eroi della guerra di Troia come lui. Achille in particolare descrive in due famose battute la condizione dei morti che dimorano nell'Ade.

The Medium Ray Tracing Ultra 5

Nella prima dimostra di riconoscere Ulisse e gli chiede il motivo del suo viaggio: "Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie, temerario, quale impresa più audace penserai nella mente? Come ardisti venire nell'Ade, dove i morti privi di sensi dimorano, le ombre degli uomini estinti?" Nella seconda, invece, descrive con una certa precisione la condizione delle ombre nell'aldilà e la loro sofferenza eterna: "Non abbellirmi, illustre Odisseo, la morte! Vorrei da bracciante servire un altro uomo, un uomo senza podere che non ha molta roba; piuttosto che dominare tra tutti i morti defunti." Non ci troviamo di fronte alla prima rappresentazione degli inferi nella storia umana, ma la grandezza del testo omerico può esserci utile come base di partenza per introdurre il tema del nostro breve speciale. L'essere umano ha iniziato a rappresentare l'aldilà da quando ha sviluppato forme di pensiero trascendente. Ogni civiltà ha una sua concezione della vita dopo la morte, messa in crisi soltanto dallo sviluppo scientifico, ma ancora molto presente sia negli ambienti fortemente religiosi, sia nella cultura stessa, particolarmente in quella di massa.

L'idea di una vita dopo la morte è sempre stata fonte di consolazione per l'umanità, ma anche un mezzo estremamente persuasivo per affermare il dominio della norma sull'individuo. Non esistono gruppi umani culturalmente determinati senza una concezione della vita ultraterrena, strutturata in modo tale da farle riflettere in qualche modo la loro organizzazione. Altresì non esistono culture umane che non abbiano rappresentato in qualche modo cosa ci potrebbe attendere dall'altra parte. E i videogiochi? Come hanno provato a rappresentare l'aldilà?

Due casi antichi

Mr Mephisto è un gioco per Commodore 64 del 1984 in cui il giocatore interpreta un'anima in viaggio verso il paradiso. Per raggiungerlo deve superare alcuni ostacoli creati dal demonio, che vuole condannarla alla dannazione eterna. Creato da Dave Lucas, il gioco offre una rappresentazione molto classica, quanto stereotipata dall'inferno, fatta di fiamme eterne e demoni gobbi con corna e forcone, mentre il paradiso è pieno di angeli svolazzanti con tanto di aureole, che scendono sulla terra a salvare le anime meritevoli (i giocatori che riescono a finire il gioco). Mr Mephisto non ha un gameplay particolarmente vario o interessante, ma è un ottimo prototipo da studiare per descrivere le forme più diffuse di rappresentazione dell'al di là nei videogiochi, intriso com'è di un'immaginario di stampo cristiano decisamente popolare.

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Meglio ancora Dante's Inferno del 1986, anch'esso per Commodore 64, che, come il titolo fa intuire, tenta di ridurre in videogioco il viaggio nell'aldilà per antonomasia: la Divina Commedia di Dante Alighieri. Lo fa in un modo decisamente didascalico, traducendo il testo dantesco in un arcade adventure in cui per viaggiare tra i cerchi infernali bisogna risolvere dei puzzle, evitando di essere toccati dai demoni. Manca Virgilio, ma il resto c'è tutto: la selva oscura, Caronte, Minosse, i dannati con le loro pene eterne e Lucifero stesso. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un rappresentazione che non esitiamo a definire elementare (probabilmente anche per i limiti dell'hardware su cui girava), nonostante la presenza di alcuni tocchi interessanti come la verticalità del mondo di gioco, che imita quella della cantica originale, e una certa accuratezza nella riproduzione del viaggio di Dante, nonostante la forte compressione degli eventi.

Eccessi e stereotipi

Succubus 08

Le forme della rappresentazione dell'aldilà viste nei due titoli appena descritti ritornano spesso nella storia dei videogiochi, quantomeno nelle loro linee generali, perché ben radicate nella nostra cultura. Molti autori di racconti ambientati in mondi ultraterreni trovano una certa difficoltà a maneggiare la materia di base da cui sono composti, arrivando a degli eccessi spesso controproducenti. Per dire, la concezione dell'inferno cattolico nasce da una complessa teologia, frutto di secoli di elaborazioni e riflessioni, che hanno portato alla creazione di una vera e propria geografia dell'oltretomba, dalla natura fortemente allegorica, ma ben radicata nel mondo dei vivi. Purtroppo la maggior parte degli autori di videogiochi si limita a riversarne su schermo soltanto gli aspetti più folkloristici, ignorando tutto il resto e ottenendo risultati che spesso sfiorano il trash puro, com'è successo ad esempio a Madmind Studio con il survival horror Agony e con lo sparatutto in prima persona Succubus (di cui per adesso è disponibile solo una lunga demo), che nel loro continuo strafare alla ricerca di una raffigurazione dell'inferno che sia il più brutale possibile, diventano quasi delle parodie di sé stessi, offrendo una visione essenzialmente adolescenziale della morte, che riesce a esprimere soltanto un disagio interiore profondamente narcisista, soprattutto lì dove vorrebbe provare a sconvolgere il giocatore con trovate estreme, come ricaricarsi di energia consumando feti strappati da donne incinte.

La rappresentazione dell'aldilà nei videogiochi

Qualcosa di simile lo si potrebbe dire di titoli più adatti ai gusti delle masse come gli action God of War III e Dante's Inferno (quello di Visceral Games del 2010), che trasformano gli inferi in grossi campi di battaglia, piegando architetture e creature verso una brutalità barocca altamente testosteronica, tra dannati che decorano le pareti, corpi in fiamme e tutta un'altra serie di scelte che richiama inevitabilmente a una certa cultura underground. Attenzione, perché non stiamo dicendo che siano necessariamente dei brutti giochi (non lo sono per nulla), ma semplicemente che sono portatori di una concezione estremamente semplificata, quasi da copertina di disco metal, di qualcosa che in realtà è ampio e complesso (naturalmente il loro obiettivo è un altro, e in quello riescono perfettamente, ma qui stiamo affrontando un argomento molto specifico).

Doom Eternal 12

Questa superficialità nella descrizione dell'aldilà, con il continuo ricorso a immagini da horror patinato, si ritrova in moltissimi videogiochi, probabilmente perché certe figure fanno parte di un patrimonio collettivo estremamente stratificato a cui è davvero facile attingere e difficile rinunciare. Pensate ai demoni dei Diablo o dei Doom (e relativi seguiti), per citare altri due nomi, e al loro richiamare immediatamente alla mente un certo immaginario, pur pesantemente rielaborato. Va detto che in molti dei casi citati, gli autori non avevano grosse esigenze in termini espressivi e hanno finito per trasformare il mondo dei morti in scenografia pura, semplicemente per dare varietà all'azione e renderla più interessante. Molto meglio hanno fatto altri titoli, che hanno provato a ragionare in modo più puntuale sul contatto tra l'uomo e ciò che lo aspetta dopo la morte.

Consapevolezza nella rappresentazione

La rappresentazione dell'aldilà nei videogiochi

Una delle rappresentazioni più interessanti e riuscite del mondo dei morti è quella di Grim Fandango (1998), che attinge a piene mani dalle tradizioni azteche, rielaborandole in una chiave comica e contemporanea, in un'operazione fortemente post moderna. Il dipartimento della morte spedisce i suoi agenti, vestiti con lunghe tuniche nere e armati da falci, a raccogliere le anime dei defunti sulla Terra, per vendergli dei pacchetti viaggio per il Nono Aldilà, diversi a seconda di come si sono comportati in vita. In media ci vogliono quattro anni per arrivare a destinazione, nonostante esistano dei sistemi di trasporto ultra rapidi, come il Treno 9, che abbreviano notevolmente la traversata. Alcune anime però decidono di fermarsi nel mondo dei morti, una terra teoricamente di solo transito, diventata popolosissima proprio grazie a coloro che rinunciano a trascendere. Il protagonista del gioco, un'avventura grafica in terza persona in cui il giocatore ha il controllo diretto del personaggio, è Manny Calavera, un impiegato del Dipartimento della Morte la cui carriera è in forte crisi: nel regno dei vivi incontra solo anime di umani che non si sono distinti in nulla, a cui può vendere solo pacchetti viaggio economici. Dopo l'ennesima anima di infimo livello, Manny decide di soffiare un'anima impeccabile al suo collega Domino, innescando una serie di eventi che lo porteranno in contatto con una terribile verità, fatta di corruzione, omicidi e altre nefandezze tipiche più dei vivi che dei morti. Grim Fandango è un titolo cristallino nei suoi obiettivi: nella migliore tradizione della commedia, mette in scena un mondo dei morti fin troppo simile a quello dei vivi, piagato dagli stessi vizi e dalle stesse dinamiche di potere, al punto che non è difficile scorgere gli intenti satirici dietro all'intero racconto. Ciò che ci interessa di più, però, è che ci troviamo di fronte a una rappresentazione consapevolissima. Tim Schafer, l'autore del gioco, crea un aldilà noir fantasioso e profondo, che riesce a distaccarsi dalle sue fonti di ispirazione principali, pur non tradendole mai. Siamo di fronte a una rielaborazione molto divertente e riuscita del concetto di aldilà, purtroppo rimasta quasi un unicum nel suo genere.

La rappresentazione dell'aldilà nei videogiochi

Qualcosa di altrettanto elaborato, ma in una chiave completamente diversa, si è visto nei primi due Silent Hill (1999 e 2001). Ora, va detto che ci troviamo di fronte a due titoli che condividono poco tra loro, ma che possiamo considerare come due eccellenti reinterpretazioni dello stesso soggetto. Stiamo parlando di due survival horror ben noti le cui vicende girano intorno alla città che dà loro il titolo. A ben vedere non ci troviamo di fronte nemmeno a delle rappresentazioni dell'oltretomba vere e proprie, quanto più al racconto di un luogo in cui i sensi di colpa dei vivi si trasfigurano in creature mostruose e dove si può trovare la pace solo attraversando la nebbia che avvolge le strade fino alla scoperta della verità. Stiamo quindi parlando di un aldilà fortemente psicologizzato, che sfrutta il tema del contatto con la morte per mettere in scena i lati più profondi e oscuri dell'essere umano. Entrambi i titoli sono portatori di visioni fortemente raffinate sul tema, che fortunatamente maneggiano con grande perizia e senza mai lasciarsi andare (come succederà invece nella maggior parte dei sequel), dimostrando una profonda sensibilità da parte degli autori. Ci troviamo anche davanti a due dei titoli più influenti in assoluto in ambito horror, genere che naturalmente viene privilegiato da chi decide di raccontare la morte.

Alcuni esempi recenti

La rappresentazione dell'aldilà nei videogiochi

Naturalmente in questo umile articolo non abbiamo la pretesa di parlare di tutti i videogiochi che hanno rappresentato il mondo dei morti o che hanno la morte come tema centrale. Sarebbe una follia anche solo pensarlo possibile. Il nostro scopo è molto più modesto: vogliamo dare una semplice introduzione all'argomento, fornendovi qualche spunto di riflessione, si spera interessante. La storia dei videogiochi vede un'enorme quantità di titoli che hanno provato ad affrontare il tema dell'aldilà, come ad esempio il recentissimo The Medium, quindi è valsa la pena chiedersi come mai un soggetto così ostico stimoli così tanto gli autori di un mezzo espressivo inscindibile dalla tecnologia che lo rende possibile, che oltretutto è ontologicamente la negazione stessa della morte. Pensate proprio al titolo di Bloober Team e alla sua necessità, quasi impellenza, di mettere in scena contemporaneamente il mondo dei vivi e quello dei morti, facendoli convivere sullo schermo. Si tratta di una grossa sfida sia a livello narrativo, perché presuppone una grande padronanza della storia che si sta raccontando, sia a livello tecnologico, perché entrambi i mondi devono essere elaborati dall'hardware.

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Un tale sforzo ci dice moltissimo su quelli che erano gli obiettivi degli sviluppatori, ma anche sul fascino irresistibile esercitato dall'idea stessa di un mondo altro rispetto al nostro, dove trovano rifugio e sofferenza eterna le anime dei vivi. Interessante anche la rappresentazione del viaggio nell'oltretomba creata da Ninja Theory in Hellblade: Senua's Sacrifice, avventura che mescola fantasia e realtà, trasformando l'avventura della protagonista in una disperata ricerca di sé, in cui i nemici sembrano essere il frutto della terribile malattia mentale che la affligge e il contatto con l'aldilà, che si trasforma presto in uno specchio della sua stessa vita, l'unico modo per arginarla. Più delicato e armonico, ma non per questo meno malinconico, è l'oltretomba di Spiritfarer, in cui il giocatore veste i panni di un novello Caronte che deve soddisfare le anime dei morti per garantir loro un trapasso sereno. Viaggiando da una parte all'altra di uno strano mondo dei morti, cui non mancano somiglianze con il nostro, la protagonista apprende storie tristi, a volte disperanti, diventando una specie di psichiatra il cui compito è far parlare i suoi passeggeri e rimuoverne i blocchi psichici che li separano dalla pace eterna, svolgendo i compiti che di volta in volta le vengono assegnati. Il tema della morte è centrale anche in Death Stranding di Hideo Kojima, in cui il contatto tra il mondo dei vivi e quello dei defunti ha letteralmente trasfigurato il primo e serve come base di partenza dell'intera vicenda.

Spiritfarer 5

La visione di Kojima è molto più sociale rispetto a quella degli altri titoli riportati, con gli effetti del contatto tra i due mondi che hanno avuto un'influenza determinante sul pianeta, distruggendo la civiltà come la conosciamo. Probabilmente è l'approccio più originale tra ciò che si è visto recentemente.

Il percorso seguito finora dovrebbe avervi fatto comprendere come negli ultimi anni la rappresentazione dell'aldilà abbia assunto una dimensione sempre più intima e personale, quasi di chiusura verso l'esterno. L'inferno spesso non è solo un luogo fisico di eterna sofferenza, ma una metafora della condizione dell'individuo nella società contemporanea. La strada seguita da molti sembra essere quella tracciata dai Silent Hill, che rimangono un punto di riferimento importante per questo genere di rappresentazioni, nonostante non manchino anche in tempi molto recenti titoli legati a un immaginario più diretto e stereotipato, come ad esempio Devil's Hunt e il suo inferno da telefilm per tredicenni. In linea di massima non crediamo che l'essere umano cesserà mai di immaginare l'aldilà, la cui idea è profondamente radicata nella nostra coscienza, quindi continuerà a provare raccontarlo, nel bene e nel male, pur non esistendo un modo per conoscerlo.