Lo status dell'Italia come "regina dell'horror" è piuttosto curioso da discutere, specialmente se giustapposto all'attuale stato di putrefazione (pardon, "eterna rinascita") del nostro cinema attuale. Di certo, sembra una corona assegnata al Belpaese solo con colpevole ritardo e non gli è stata riconosciuta né dal pubblico nostrano, né dalla critica. Per quanto un nome stranoto come Dario Argento difficilmente possa rientrare nel classico "nemo propheta in patria", altri hanno ricevuto ben meno considerazione dalla critica e pubblico.
Ruggero Deodato, Umberto Lenzi, Joe d'Amato e Lucio Fulci sono spesso stati bistrattati, tanto che i gesti di stima sono arrivati (quasi) solo dopo che questi son passati a miglior vita. All'estero si strappano le vesti per esaltare i nostri gialli e gli horror e tante sono state le influenze e i riflessi che questi hanno avuto nel mondo dell'arte. Di conseguenza anche il medium videoludico è rimasto coinvolto dall'enorme mole di pellicole che l'horror italiano ha prodotto tra gli anni '70 e '80. Ancora oggi risulta facile ritrovare ispirazioni e riflessi, più o meno volontari, ma certo affascinanti.
Quel che tocca Argento diventa(va) oro
Il cinema horror italiano nasce da una scuola di grande tecnica, quando ancora il settore poteva vantare persone competenti cresciute con un produttore a mo' di avvoltoio sulle spalle. Senza il bisogno di spendere miliardi, i nostri registi riuscivano a realizzare piccoli miracoli. Si può dire che molti dei suoi più grandi esponenti si formano proprio su quel "cinema di genere", spesso bistrattato e trattato come se fosse di serie C. D'altronde da qui venivano anche Sergio Leone ed Ennio Morricone, oggi passati a veri e propri eroi nazionali, ma fino a qualche decennio fa considerati come "persone molto competenti".
Su tutto il nostro genere horror, regna naturalmente supremo Dario Argento. Il regista romano, specialmente per i suoi lavori altamente tecnici negli anni '70 quali Profondo Rosso e Quattro Mosche di Velluto Grigio, è considerato una sorta di faro per l'intero genere. Tanto che ancora oggi, nonostante molte glorie del passato siano sepolte e senza più carne da spolpare, il nostro continua imperterrito a reggersi dietro alla macchina da presa. Il brillante uso delle luci e della fotografia in Suspiria e Profondo Rosso hanno finito con l'influenzare diverse opere horror videoludiche. Ma c'è chi è andato oltre.
Clock Tower con Jennifer Connelly
Per quanto non celebrata come Silent Hill, Clock Tower è una serie horror adorata ancora da tanti fan. Fin dal capostipite, uscito nel 1995 per Super Nintendo, è stata di grande ispirazione per il genere survival horror per le sue originali tonalità da horror psicologico. Clock Tower, più che dall'horror giapponese, pescava a piene mani da Argento, con ispirazioni facili da individuare. Infatti, la protagonista è una copia spiccicata della Jennifer Connelly (o "Corvino") di Phenomena (1984). E, oltre la trama e a ovvi riferimenti, c'è un evidente uso del colore per comunicare emozioni al giocatore, proprio ispirato dall'uso che ne ha fatto Argento, insieme al direttore della fotografia Luciano Tovoli, in Suspiria.
A differenza di altri survival horror, Clock Tower è pensato per fornire un'esperienza da film, prima che da gioco. Oggi sarebbe una scelta banale, ma nel '95 togliere la classica "barra della salute" non era una scelta di design proprio ovvia. Al suo posto era il colore ad essere usato per trasmettere le sensazioni della protagonista. Continui momenti scioccanti andranno a influire sul nostro stato mentale, con spaventi in stile horror d'antan. Anche l'audio è ridotto al minimo, con un paio di temi ricorrenti che comunicano al giocatore quando è ora di stare attenti. Non ci sarà Claudio Simonetti dietro le tastiere, ma l'obiettivo sembra proprio lo stesso delle classiche colonne sonore dei Goblin: comunicare tensione.
Arrivando in epoca più recente, l'avventura Lorelai, del 2019, presenta diverse precise scelte di colore che rimandano ad Argento. Tra toni bluastri, rossi e perfino arancioni, è una storia horror che si dipana tra orrori di famiglia e la fuga da quel che ci ha traumatizzato da piccoli, nonché la vendetta. Gli stessi toni, poi, è facile rintracciarli anche in diverse scene in survival horror ben più celebri, quali Silent Hill 3, anche se si tratta probabilmente più di dovuti omaggi che altro.
Tra tutti questi film di Argento e le ispirazioni videoludiche, difficile ignorare l'esistenza di Dreadful Bond. Il titolo horror, originariamente pianificato nel 2020 con il regista romano nei panni di direttore creativo, avrebbe dovuto essere una piena realizzazione della visione di Argento. L'idea dello studio Clod (Giorgio Macellari e Davide Chiesa) era di realizzare una via di mezzo tra realtà e creazione 3D, con una storia che si sarebbe dovuta tenere nella classica casa "stregata". Si sarebbe dovuto trattare di un survival horror arricchito da gotiche tonalità in bianco e nero.
Dobbiamo usare il condizionale perché, dopo un Kickstarter che non ha raggiunto nemmeno la metà della cifra richiesta (circa 65k euro), di Dreadful Bond se ne sono perse le tracce. Ci racconta Luciano Iurino, "come Troglobyte studio, abbiamo realizzato una demo, usata per interessare publisher e giocatori, ma un investimento per la realizzazione del gioco completo non è mai arrivato. Dopo aver finito il lavoro su quella demo, abbiamo "restituito" il progetto a Clod, che poi l'ha congelato definitivamente, credo anche perché il contratto che avevano con Dario Argento fosse a tempo e, dopo la scadenza, penso che il progetto sia morto lì".
Atmosfere gotiche e Fulciane
Parlando di gotico e bianco e nero, impossibile non nominare Mario Bava, che in queste classiche atmosfere c'è nato fin dai primi anni '60. Tra tombe polverose, scantinati umidi, donne pronte a seviziare uomini e un'atmosfera costantemente soffocante, il tocco di Bava è agevolmente rintracciabile in qualsiasi gioco, anche lungi dall'horror puro. Dei tocchi pienamente "Bava" li potremmo già andare a trovare fin dal primo Castlevania, ma anche in Ghouls'n'Ghosts. Il titolo Capcom, con i suoi scenari pieni di macchinari inquietanti, ghigliottine e cimiteri che cadono a pezzi, è puramente gotico. Possiamo anche arrivare a serie più recenti come Amnesia, con i suoi castelli strapieni d'incubi da cui scappare. Perfino Bloodborne, per quanto viva d'ispirazioni e omaggi Lovecraftiani, ha alcune ambientazioni - dalle cattedrali dilapidate ai castelli abbandonati - che sembrano rimandi a quel classico gotico italiano.
Lucio Fulci, invece, è passato alla storia per essere un regista estremamente versatile, ma anche molto pratico. Nella sua carriera ha firmato quasi tutti i generi esistenti: dal peplum, alla commedia al western. Nell'horror, viene ricordato per aver spesso coscientemente disdegnato uno svolgimento logico, in favore di atmosfere surreali e inquietanti condite da effettacci speciali. Magari sì, economici, ma ancora efficaci. Di certo la sequenza della trave nell'occhio in Zombi 2 o le budella rigurgitate in La città dei Morti viventi, hanno ispirato tantissimi.
Nel medium videoludico, di certo potremmo ricordare alcune delle uccisioni più cruente nella serie Manhunt. Più recentemente, The Evil Within sembra aver preso diverse ispirazioni da Fulci, così come alcuni dei momenti più cruenti nella serie the Dark Pictures. Ma, più di tutti, Lucio Fulci è il vero ispiratore del recente successo del cosiddetto "Ps1 horror", la facilità ed economicità con cui si può costruire un gioco horror con pochi poligoni ha quel sapore proprio "fulciano". I titoli poi? Direttamente ispirati al nostro, con lo studio Puppet Combo che lo omaggia direttamente con nomi tipo The Night Ripper (la loro versione de Lo Squartatore di New York) e Night at the Gates of Hell, dove si unisce l'horror surreale-infernale de l'Aldilà e la Città dei Morti Viventi.
Tra critica sociale e cannibali
Umberto Lenzi, invece, condiva i suoi horror con una discreta critica sociale, come in Incubo sulla città contaminata. Alcune atmosfere lenziane, nonché la sua scelta di tratteggiare gli zombie come vere macchine da guerra, e non lenti come ha fatto Romero, le ritroviamo molto facilmente nella serie Resident Evil. La stessa serie Capcom, d'altronde, ha spesso unito le sottotrame horror alla presenza soffocante della Umbrella Corporation e del "male che fanno gli uomini", prima ancora che i mostri. Quel finale di Resident Evil 3, poi, potremmo definirlo pienamente lenziano.
Di Ruggero Deodato, oltre a ricordare l'attualmente in lavorazione Cannibal Tales, con la sua rocambolesca storia di sviluppo, dobbiamo citare per forza anche la critica che il regista dedicava ai media per il loro sensazionalizzare notizie, a discapito delle persone. Possiamo trovare echi di queste idee in alcune delle opere di Daniel Mullins quali Pony Island e The Hex. Quest'ultimo poi racconta la triste parabola di uno sviluppatore avvenuta per colpa dei pessimi rapporti con la stampa e delle recensioni degli utenti. E, nonostante un tono molto diverso, alcuni riferimenti si possono facilmente rintracciare anche in The Stanley Parable.
Il rural folk horror italiano: Pupi Avati
Uno dei registi che raramente viene nominato tra i classici horror, anche perché non sarebbe proprio il suo genere più congeniale, è Pupi Avati. Il regista bolognese ha inventato un linguaggio del tutto nuovo per il suo La Casa dalle Finestre che Ridono del 1976. Un "folk horror" in salsa emiliana, dove l'ultimo arrivato in una piccola cittadina rimarrà invischiato in una serie di omicidi, apparentemente legati a un affresco che nasconde una storia di orrore. Il nostro si renderà presto conto di non potersi fidare davvero di nessuno. Layers of Fear, con la storia del pittore che rivela traumatici eventi del suo passato mentre lavora a un quadro, ricorda non poco il maledetto pittore del film di Avati.
Una deriva molto simile, ovvero una comunità rurale dove bisogna tentare di sopravvivere e non fidarsi di nessuno, la troviamo facilmente in titoli decisamente unici (e sottovalutati) quali Pathologic 2. Il titolo ricorda anche il poco conosciuto horror italo-ispanico Non Profanare il Sonno dei Morti, del 1974, dove i non morti tornano alla vita a causa di un progetto governativo per sterminare gli insetti. Tornando ad Avati, impossibile non citare anche il suo Zeder del 1980. Nonostante compaia spesso nelle liste di "film con zombie", in realtà la narrativa slegata e barocca lo fa avvicinare di più a un'avventura horror punta e clicca anni 90, a metà strada tra Darkseed 2 e Phantasmagoria.
Dove vanno tutte queste ispirazioni e riflessi?
Sfortunatamente, ci riesce difficile affermare che il cinema horror italiano di oggi goda di buona salute. Certo, ci piacerebbe pensare che, tra qualche decennio, qualcuno dall'estero riscoprirà gli autori che oggi stiamo snobbando. Molti dei registi citati, però, sono riusciti a realizzare dei veri e propri miracoli con budget limitati. La loro migliore abilità era spesso di trasformare un set economico o un effetto speciale fatto con pochi soldi in delle meraviglie che ancora oggi ammiriamo, nonostante siano un po' datate. E, in fondo, non è questo che spesso fanno anche gli stessi videogiochi?
Forse, quindi, non c'è molto da sorprendersi se riusciamo a trovare così tante ispirazioni, più o meno volute, e affascinanti riflessi del nostro caro cinema horror italiano d'antan. Il medium videoludico si è abbeverato più volte alla fonte della nostra Cinecittà e dei suoi figli e figliastri. Quell'horror nostrano economico, spesso poco logico e, magari sì, anche sfacciato, ma tecnicamente superbo e sincero fino al midollo.