I bambini possono essere molto crudeli... (davvero possiamo? nd Bart Simpson)
La grafica di per sé rientra nella media dei prodotti per Ps2, senza eccellere né per tecnica, né per stile, affidandosi a una palette cromatica dai colori spenti e a un filtro statico che genera un costante “effetto pellicola”, per creare atmosfera, ma senza includere sistemi di illuminazione sofisticati.
Più interessanti sono le musiche e il doppiaggio. Le prima, opera di Yutaka Minobe (autore, fra l’altro, della colonna sonora di Panzer Dragoon Orta) sono piuttosto peculiari, basandosi quasi esclusivamente su strumenti ad arco, conditi dal suono di bambini che ridono e piangono. Non rientrano esattamente nel canone dei survival horror e a volte ci sono sembrate un po’ fuori luogo – specie nelle sequenze più concitate - ma l’effetto finale sembra conferire personalità al titolo.
La narrazione pare avvenire principalmente per tre vie: cutscene realizzate con l’engine del gioco, filmati in CG e degli originali commenti scritti che appaiono a pieno schermo in stile “film muto”, che rappresentano l’ipotetica voce narrante.
Mentre sui filmati c’è poco da riferire, a parte un doppiaggio inglese decisamente ben fatto (anche se forse un po’ sopra le righe e alla lunga potenzialmente stancante dato il continuo susseguirsi di vocine stridule preadolescenziali che danno vagamente sui nervi), i commenti in terza persona sono decisamente un tocco di classe.
I bambini possono essere molto crudeli... (davvero possiamo? nd Bart Simpson)
E’ sul gameplay che Rule of Rose sembra perdere diversi punti.
L’impressione che abbiamo avuto è quello di un gioco dove è stata dedicata grande attenzione allo storytelling e alla resa dell’atmosfera (comunque non esente da difetti), a discapito di una giocabilità che sembra deficitaria di numerosi elementi, il primo fra tutti una forma di divertimento-appagamento di breve termine che spinga il giocatore ad andare avanti.
Il ritmo sembra costruito su un alternarsi più o meno regolare e repentino di sequenze esplorative e di azione, nelle quali ci si ritrova puntualmente inseguiti. E’ presente un'approssimativa forma di combattimento (dove le limitazioni della telecamera risultano particolarmente fastidiose) ma in generale il combattimento stesso non fornisce alcuna ricompensa al giocatore, l’IA dei nemici è al tempo stesso elementare e frustrante da confrontare e di solito è quasi sempre più conveniente fuggire.
Il che è in linea con l'idea alla base del gioco che ci mette nei panni di una ragazza indifesa - un'idea in questo senso esplicitata dal produttore Yuya Takayama durante il nostro incontro – se non fosse che il gioco include anche alcuni scontri con boss impossibili da evitare. Abbiamo provato il primo ed è stato decisamente traumatico da superare!
Qualche buono spunto però non manca, in particolare la presenza di Brown, un cane da noi salvato dalle sevizie dei Red Crayon Aristocrats e che ci accompagnerà in gran parte della nostra avventura, guidandoci in molti casi verso l’obiettivo grazie al suo olfatto, che gli permette di trovare gli oggetti di cui abbiamo bisogno. Vedremo in fase di recensione se il bilancio finale del gioco risulterà positivo.
I bambini possono essere molto crudeli... (davvero possiamo? nd Bart Simpson)
Se si vuole far paura dallo schermo di una TV, in genere le scelte sono due: o si ricorre ai classici zombie (con il giusto contorno di gore, squartamenti e simili) o ai quegli bambini inquietanti con la faccia d’angelo e l’espressione luciferina (o impassibile/attonita, a seconda dei casi).
La strada intrapresa da Sony per questo survival horror per Ps2, in uscita tardiva, ma non troppo, almeno per noi europei orfani di Playstation 3, sembra essere la seconda.
Ambientato nell’Inghilterra post-vittoriana degli anni ’30, Rule of Rose racconta la storia di Jennifer, un’indifesa e innocente fanciulla in procinto di entrare in orfanatrofio, che viene sequestrata, apparentemente senza motivo, da un gruppo di cinque ragazzine assolutamente sadiche e con qualche rotella fuori posto, fondatrici dei Red Crayon Aristocrats.
L’intero concept sembra ispirarsi in modo consistente a Lost Children e altre opere che fanno dell’innata “innocente crudeltà” dei bambini (quella che li spinge a strappare le ali alle farfalle, per intenderci) il loro punto focale.
Questo club esclusivo per minorenni mentalmente deviate, risiede nelle viscere di un immenso dirigibile, in cui Jennifer si ritroverà intrappolata e sottoposta ai taglieggi e ai ricatti delle sue crudeli carceriere. Costretta a consegnare strani “regali” richiesti con scadenza mensile, l'obiettivo di ciascun capitolo dell'avventura sarà riuscire a scalare la loro distorta gerarchia e infine scoprire il motivo del rapimento e della “punizione” inflittale.
L’intero concept sembra ispirarsi in modo consistente a Lost Children e altre opere che fanno dell’innata “innocente crudeltà” dei bambini (quella che li spinge a strappare le ali alle farfalle, per intenderci) il loro punto focale.
In questo caso un ulteriore senso di disagio viene causato dall’idea di ragazzini malvagi che taglieggiano gli adulti (Jennifer sembra essere molto più grande delle sue aguzzine) e dalla scelta dell’ambientazione, un inquietante e irreale dirigibile popolato da creature che sembrano uscite da un racconto per spaventare i bambini.