Ottobre è da sempre il periodo dell'anno più fertile per l'uscita di videogiochi appartenenti al genere horror, e quest'anno anche l'Italia ha detto la sua con Saturnalia, titolo sviluppato da Santa Ragione ambientato tra le buie stradine di un paesino, Gravoi, ispirato ai borghi sardi. Le premesse sono senz'altro interessanti: come spiegato dal nostro Simone Tagliaferri nella recensione di Saturnalia, l'avventura è ambientata sul finire degli anni '80 e segue le storie individuali di quattro personaggi, immersi in un più ampio contesto socio-culturale che rispecchia lo spirito dei tempi, invitando il giocatore a riflettere su temi importanti come l'aborto, la condizione della donna, il dominio del patriarcato e la lotta di classe.
Abbiamo deciso di fare una chiacchierata con Pietro Righi Riva, game director, e Marta Gabas, art director di Saturnalia per scoprire i segreti dello sviluppo di uno dei titoli italiani più chiacchierati dell'anno: eccovi la nostra intervista agli sviluppatori di Saturnalia.
I primi passi di Saturnalia
Pietro Righi Riva e Marta Gabas hanno seguito strade professionali totalmente diverse, almeno fino a quando i rispettivi percorsi di vita li hanno portati a convergere verso un progetto senz'altro particolare: lo sviluppo di un videogioco. Nulla di inusuale per Righi Riva, co-fondatore e direttore creativo dello studio indipendente Santa Ragione da più di un decennio; un qualcosa di decisamente inaspettato, invece, per Marta Gabas, scenografa che lavora nel mondo del cinema e del teatro. "È stato proprio questo aspetto di novità a interessarmi", spiega Gabas, "e mi ha anche sorpresa. Quando Pietro mi ha contattata, gli ho fatto notare che sono da sempre molto distante dal mondo dei videogiochi e non avevo mai avuto esperienze nell'ambito del loro sviluppo. Lui mi ha risposto che questa era la motivazione principale per cui avrebbe voluto collaborare con me su Saturnalia".
Gabas è stata coinvolta in una fase molto precoce dello sviluppo di Saturnalia, le cui idee iniziali, quantomeno per le meccaniche horror, nacquero a fine 2016. "All'epoca parlavamo dell'idea di sviluppare un monster maze classico, un labirinto con una creatura che ti cerca, in cui gestisci i fiammiferi come risorsa consumabile", dice Righi Riva. In effetti, i fiammiferi sono poi rimasti all'interno del concept di Saturnalia, diventando uno strumento essenziale per l'esplorazione da parte dei personaggi persi nei vicoli della labirintica Gravoi.
Proprio nel periodo in cui Santa Ragione iniziava a dar vita alla sua visione creativa per il progetto, vi era la possibilità di accedere al bando europeo Europa Creativa, volto a supportare i videogiochi narrativi innovativi dotati di valore culturale. "Inizialmente Saturnalia si chiamava Match Box" [traducibile come "scatola di fiammiferi" in italiano, n.d.A.], racconta Righi Riva, "una volta decise le meccaniche di base del gioco, la Sardegna è entrata ben presto nei nostri pensieri". Sia Gabas che Righi Riva ricordano come l'isola continuasse a spuntare fuori nelle loro ricerche sul folklore italiano, che loro desideravano rileggere e coniugare in chiave horror. "Avevamo bisogno di un luogo che ci permettesse di raccontare una storia che si svolge su una timeline lunga migliaia di anni, parlando di conflitti intergenerazionali, di guerra tra progresso e status quo, un qualcosa che fa parte delle società umane da sempre. Volevamo mostrare un luogo in cui fosse presente una stratificazione di cultura, di storia e di costume: cosa non difficile da trovare in Italia, ma che in Sardegna in particolare si configura anche nel periodo preistorico, ossia nella civiltà nuragica. L'ispirazione tratta da questo immaginario visuale, architettonico e archeologico praticamente inutilizzato a livello videoludico ci ha portati alla decisione di ambientare lì Saturnalia", commenta Righi Riva.
Alla scoperta della Sardegna
Marta Gabas ha partecipato in prima persona alle attività di location scouting sul territorio sardo, svolte con il supporto della Fondazione Sardegna Film Commission, che si è interessata molto presto al progetto di Santa Ragione. I luoghi visitati sono stati scelti in parte dal Location Manager della Fondazione, in parte dalla stessa Gabas. "Penso che la Film Commission si sia fatta subito un'idea precisa del tipo di approccio che volevamo adottare, molto rispettoso verso la cultura e il territorio", spiega Righi Riva, "quando abbiamo cercato un contatto con loro avevamo già elaborato delle idee abbastanza precise sui personaggi e sulle loro vicende di vita, quindi credo abbiano apprezzato soprattutto la storia che volevamo raccontare".
Questa fase di ricerca è stato il momento più "familiare" per Gabas, abituata a simili attività per costruire scenografie per il cinema e il teatro. "Avvicinarmi allo sviluppo videoludico è stato un modo di declinare in maniera totalmente differente i miei studi e le mie esperienze di lavoro, mettendole al servizio di un universo nuovo e differente rispetto a ciò che avevo fatto fino a quel momento", racconta la art director di Saturnalia. "Le similitudini maggiori con il mio lavoro usuale le ho trovate nel location scouting e nelle attività di progettazione, perché si tratta pur sempre di disegnare degli spazi e definirli in maniera artistica. Ho voluto legare molto la mia ricerca a luoghi reali, cosa in cui Pietro mi ha seguita fin da subito, e abbiamo avuto un grande aiuto dalla Fondazione Sardegna Film Commission in questo senso. È stato bello agganciare il videogioco al mondo reale".
Non si è trattato, però, di un lavoro di trasposizione 1:1 di luoghi o elementi folkloristici della Sardegna, come spiega Pietro Righi Riva. "Abbiamo raccolto degli spunti con l'idea di rielaborarli. Fin dal principio non volevamo procedere a una sorta di mappatura horror di elementi culturali magari macabri: piuttosto puntavamo a creare una mitologia nuova che potesse risultare credibile nel quadro delle maschere di Carnevale sarde, senza però appropriarci di aspetti culturali o ambientali. Il villaggio è un villaggio di fantasia, così come la maschera di Saturnalia è una maschera di fantasia".
Architetture dell'incubo
Le strade di Gravoi sono un ginepraio di vicoli e scale, un intrigo che riflette il complicato paesaggio interiore della psiche dei quattro protagonisti di Saturnalia. Come è nato il concept architettonico del borgo videoludico di Santa Ragione? "La scelta dello stile di Gravoi è scaturita dalla nostra volontà di approfondire i legami tra horror e folklore", racconta Gabas", "siamo venuti a contatto con la realtà primitiva e cruda dei borghi sardi, molti dei quali caratterizzati in maniera davvero unica: penso a Bosa e Mamoiada, in particolare. Sono tutti paesini pieni di vie strette, ripide, con molti vicoli ciechi. Tutti elementi che abbiamo utilizzato per riflettere lo stato d'animo tormentato dei personaggi e per ispirare un simile sentimento nel giocatore".
Gravoi diventa così una messa in scena dei timori, delle ansie, del senso di mancanza di appigli che è tipico non soltanto del genere horror, ma anche del cinema espressionista tedesco, molto amato da Gabas e per lei grande fonte di ispirazione. "Sono spazi e architetture che vogliono riflettere le ansie sia di chi assiste alla vicenda sia di chi vi partecipa, con spunti cromatici presi dall'espressionismo tedesco e dai film di Dario Argento. Gravoi è progettata interamente in bianco e nero, e l'idea è venuta da 'Suspiria': nel film, il mondo 'normale', la contemporaneità della protagonista, è legato a tonalità molto piatte, mentre l'intervento di poteri soprannaturali è manifestato da sprazzi di grande intensità cromatica, con palette di colori forti che delineano forme e contrasti capaci di rendere il mondo meno riconoscibile e meno decifrabile", spiega Gabas.
Il carattere spiccatamente labirintico delle strade del paesino - la cui configurazione cambia ogni qual volta muoiono tutti i personaggi, costringendo il giocatore a "imparare" le strade del borgo da capo - riflette la natura non lineare di Saturnalia, in cui la molteplicità dei protagonisti comporta un grande ventaglio di situazioni astrattamente configurabili, data anche la grande libertà esplorativa data da Santa Ragione. "È stato un vero e proprio delirio di onnipotenza in cui, fin da subito, abbiamo deciso di creare un'avventura horror con più personaggi e dotata di carattere non lineare, capace di adattarsi alle azioni del giocatore. Questa cosa suona come una figata, ma in concreto le implicazioni tecniche sono mostruose", spiega Righi Riva, "fortunatamente abbiamo avuto l'esperienza di Wheels of Aurelia, dotato di elementi di dialogo procedurale in cui l'IA dei personaggi sa cosa è stato detto in passato e cosa è successo, e quindi riesce a pescare da una sceneggiatura dinamica e ad adattarsi a tante situazioni. Ma in Saturnalia è tutto più complesso, più tridimensionale, ed è stato necessario un grande lavoro di testing per verificare che tutto funzionasse a dovere".
Fuori la politica dai videogiochi?
Si sa che tutto è politico, salva la politica, che è un fatto personale. Non è un mistero che gli sviluppatori di Santa Ragione abbiano sempre voluto creare videogiochi profondamente politici, portando i giocatori a riflettere su temi come il conflitto tra tradizione e innovazione - molto presente in Saturnalia - la condizione delle donne, la lotta di classe. "Nel 2013 abbiamo creato un videogioco chiamato Final Candidation, un gioco online di simulazione delle elezioni politiche di quell'anno", racconta Righi Riva, "lo abbiamo sviluppato in circa un mese e mezzo per farlo uscire due settimane prima delle elezioni, come scherzo e come opera politica. Penso che ci sia molto potenziale per raccontare con mezzi interattivi la politica in Italia oggi, partendo magari dal 1989 [l'anno in cui è ambientato Saturnalia, n.d.A.], passando per la fine della Prima Repubblica, per poi arrivare alla contemporaneità. Mi piacerebbe sia farlo che giocarlo, un gioco così".
Wheels of Aurelia raccontava l'Italia degli anni '70, mentre Saturnalia parla della fine degli anni '80: abbiamo chiesto a Righi Riva se questo sia configurabile come un percorso di avvicinamento che porterà Santa Ragione ai giorni nostri, e il co-fondatore dello studio milanese ha risposto che è proprio così: "Penso sia un percorso necessario, che inevitabilmente ci porterà a parlare della contemporaneità in Italia, magari parlando del forte conflitto che vi è da sempre, nel nostro Paese, tra ideologie politiche contrapposte".
In un contesto in cui una parte rumorosa dei videogiocatori chiede che la politica resti fuori dai videogiochi è sicuramente un'impresa rischiosa. "Oltre alla delicatezza dei temi e alla necessità di affrontarli con grande precisione, intelligenza e attenzione ci si espone al posizionamento dell'opera all'interno del dibattito politico, anche sui social, con risposte potenzialmente anche molto forti", dice Righi Riva, "produrre un videogioco che parla di immigrazione, lotta di classe e diritti attira un certo tipo di attenzioni che si aggiungono allo stress di rilasciare un prodotto culturale di questo tipo. L'idea mi terrorizza, devo essere sincero. Però mi piacerebbe. E trovo che gli autori che lavorano nel cinema e nel mondo dei videogiochi siano una fascia abbastanza tutelata e privilegiata: le limitazioni alle libertà di espressione avvengono soprattutto a livello di protesta e attivismo".
I processi produttivi e il mondo dello sviluppo videoludico italiano
Non si può pensare alla creazione di un videogioco come a un processo meccanico e lineare: il lavoro in questo campo, soprattutto se svolto in squadra, è pieno di insidie, senza contare il senso di spaesamento che può essere forte per chi, come Marta Gabas, approccia il mondo dello sviluppo videoludico per la prima volta. "A un certo punto della progettazione mi è mancata la concretezza tipica del mio lavoro in ambito scenografico: con Saturnalia restavo sempre in un mondo virtuale. Mi mancava la costruzione fisica di uno spazio", racconta la art director, "c'è però anche un aspetto positivo: la libertà di immaginare, senza vincoli spaziali, di budget o di location".
Al contrario di quanto avvenuto per il cinema - i cui processi di produzione sono ormai sdoganati per gran parte del pubblico - gli elementi creativi di un videogioco rimangono ancora in larga parte misteriosi, e a detta di Righi Riva ciò è dovuto a due principali fattori. "Penso che l'industria dei videogiochi abbia guardato a quella del cinema e si sia accorta di come dipendere dalle persone sia, da un punto di vista del profitto e in un'ottica capitalistica, molto pericoloso per le aziende produttrici", dice, "e si cerca quindi di evitare di legare un particolare brand a un attore o a uno sviluppatore che potrebbero chiedere un sacco di soldi. Si punta tutto sul marchio, nascondendo le persone che sono dietro di esso, e ciò va ad intaccare il rapporto empatico tra audience e giocatore". In seconda battuta bisogna guardare, a detta di Righi Riva, alla natura del videogioco stesso: "Per la grandissima parte si tratta di un prodotto d'intrattenimento, prima che di un'opera d'arte portatrice di un contenuto culturale. Ciò limita la creazione di una mitologia intorno alle persone che lo producono, allo stesso modo di quanto avviene nel product design e nel graphic design: non sappiamo chi ha progettato la nostra televisione, il nostro frigorifero, il nostro frullatore e il nostro videogioco. Questo perché i videogiochi sono innanzitutto oggetti di consumo".
Eppure, l'universo dello sviluppo videoludico sta diventando sempre più complesso, maturo e sfaccettato, anche in Italia. "Ormai sono circa dieci anni che lavoro in questo settore", racconta Pietro Righi Riva, "e il panorama è cambiato molto. Quando ho iniziato esistevano un paio di studi molto grandi, Ubisoft Milano e Milestone, e pochissimi piccoli sviluppatori. Adesso non è più così, e il nostro territorio è pieno di studi capaci di produrre titoli di alta qualità, competitivi, senza nulla da invidiare alle produzioni internazionali, con tanta voglia di parlare dell'Italia e della sua storia non in senso patriottico, ma con una spinta autoriflessiva".
La sua volontà di coinvolgere nei progetti di Santa Ragione persone non dotate di un background professionale in ambito videoludico non è casuale. Secondo Righi Riva, "spesso le idee di chi non ha un retroterra tecnico nel nostro campo sono le più valide, attuali e interessanti. Si tratta di persone capaci di guardare allo sviluppo di un videogioco con un occhio originale e percorrendo strade nuove, senza incappare in trappole di game design che potrebbero mettere in difficoltà gli esperti". In effetti, Marta Gabas ha fatto del pensare fuori dagli schemi il suo leitmotiv non solo nel suo lavoro su Saturnalia, ma anche nella sua professione di scenografa, adesso ripresa a pieno ritmo. "Saturnalia mi ha fatta uscire dalla mia comfort zone, dai miei percorsi usuali di progettazione, di lavoro e di pensiero creativo 'classico'", racconta, "mi sono confrontata con programmazione, level design, animazione, imparando a utilizzare software che non avevo mai toccato in precedenza. Penso che questa esperienza mi costringerà a ricordare, nei miei futuri progetti, che è necessario uscire dai soliti percorsi per sperimentare e trovare così nuove strade".
Pietro Righi Riva e Santa Ragione continueranno a dedicarsi al mondo dei videogiochi, e per il futuro del medium il co-fondatore dello studio ha delle idee ben precise. "Mi piacerebbero dei videogiochi capaci di parlare di condizione umana in maniera autoriale, senza sacrificare accessibilità e aspetti legati all'intrattenimento", dice, "vorrei vivere delle storie straordinarie non per la presenza di supereroi, ma perché capaci di farci riflettere sui nostri vissuti personali, sulle nostre famiglie, sugli amori, i litigi, le insicurezze, le perversioni dell'essere umano". Ringraziamo Pietro Righi Riva, game director e Marta Gabas, art director di Saturnalia per questa interessante intervista.