Cappello deerstalker, pipa Calabash e lente d'ingrandimento. Probabilmente bastano questi tre elementi per far saltare alla mente di molti l'immagine del detective più famoso del mondo: Sherlock Holmes. Le sue avventure ci accompagnano da più di centotrent'anni, eppure il leggendario investigatore del 221B di Baker Street continua a invadere i media più svariati. Ma come riesce un personaggio a vivere così a lungo senza perdere il suo smalto?
A poco più di un mese dall'uscita del nuovo videogioco sviluppato da Frogwares, ripercorriamo insieme la storia videoludica di Sherlock Holmes in cerca della sua "fonte della giovinezza". Riuscirà il detective più famoso al mondo ad avere un gioco all'altezza della sua irreprensibile fama?
Sherlock Holmes nei videogiochi
La storia di Sherlock Holmes all'interno del panorama videoludico ha radici "antiche". Era, infatti, il 1984 quando su Commodore 64 e ZX Spectrum usciva il primo titolo dedicato al grande investigatore. Si chiamava semplicemente Sherlock ed era un'avventura testuale molto ambiziosa. Infatti, si presentava come un videogioco in "tempo reale", con eventi che avvenivano solo in determinati momenti (ad esempio, la partenza dei treni dalla stazione o l'incontro con determinati personaggi) e con la possibilità di interagire con i vari PNG facendo domande specifiche o anche mostrando le prove raccolte, per poi condannare o assolvere un determinato sospettato.
Nonostante le sue aspirazioni, il titolo si ricorda principalmente per la grande quantità di bug improbabili e peculiari, ma è anche un primo esempio di come può essere sfruttato il franchise a livello videoludico senza stravolgerne le caratteristiche di base.
Nel 1987, oltre a una nuova avventura testuale, Sherlock: The Riddle of the Crown Jewels, usciva, sempre su Commodore 64, 221B Baker Street, la prima vera e propria apparizione grafica del personaggio in un videogioco.
Dopo una parentesi da molti dimenticata, ma diventata velocemente di culto, che vedeva il detective protagonista di tre giochi in full motion video, e un paio di avventure grafiche firmate da Electronic Arts, è poi arrivata la lunga serie di titoli sviluppati dalla casa di sviluppo ucraina Frogwares, che dal 2002 lavora con il mondo creato da Arthur Conan Doyle rimodellandolo e adattandolo al medium videoludico, proponendo spesso anche delle variazioni sul tema abbastanza audaci.
La storia di questa "collaborazione", che conta all'attivo otto videogiochi principali (senza contare l'inedito Chapter One e i quattro casual game usciti dal 2008 al 2012), parte con Sherlock Holmes: Il mistero della mummia (uscito nel 2002 su PC e tornato nel 2009 con un porting su Nintendo DS), evolvendosi in maniera sempre più matura fino ad arrivare all'uscita nel 2012 de Il testamento di Sherlock Holmes. Tuttavia, la serie di Frogwares trova probabilmente il successo più eclatante in Sherlock Holmes: Crimini e Punizioni, un vero punto di svolta per il franchise all'interno del panorama videoludico, con un gameplay in grado di evocare le atmosfere dei romanzi e una divisione in episodi che riesce a esaltare la natura seriale dei racconti di Conan Doyle.
Nel 2016 è stato poi il momento del meno apprezzato Sherlock Holmes: The Devil's Daughter, che si è un po' perso nella voglia di legare ogni singolo caso a un filo narrativo non esaltante.
All'orizzonte, invece, si inizia a intravedere la nuova istanza della serie, Sherlock Holmes Chapter One (del quale vi abbiamo già dato qualche informazione aggiuntiva nel nostro provato), intenzionato non solo a portarci alle origini della leggenda, ma anche ad aprire gli spazi, lanciandosi in un'avventura a mondo aperto che, se da un lato preoccupa, dall'altro riesce anche a incuriosire.
Il team di Frogwares ha già avuto modo di testare le possibilità offerte dal mondo aperto in un altro titolo investigativo a tema letterario, The Sinking City, riscuotendo, però, uno scarso successo sia di critica che di pubblico. Non ci resta che attendere il 16 novembre per scoprire se il gioco sarà all'altezza del nome che porta.
Ispirazione e diritti d’autore
Più un elemento narrativo (che sia un oggetto, un universo, un luogo specifico o un personaggio particolare) si fa largo nella mente e nella memoria culturale, maggiore sarà la sua influenza all'interno del panorama mediale vigente. Come Jules Verne ha ispirato la concezione di un mondo naturale sempre cangiante e in attesa di essere scoperto, tra il costante pericolo e la meraviglia più pura, così il seme di Sherlock Holmes si è insidiato nel pensiero comune, dando vita a tutto un filone investigativo che ha saputo diffondersi a macchia d'olio tra un medium e l'altro nel corso di più di un secolo di storia.
Se si fa fatica a tenere il conto delle variazioni letterarie e cinematografiche del personaggio, a livello videoludico la situazione è meno critica, ma comunque da non sottovalutare. Ai limiti tra l'omaggio, l'ispirazione e la violazione dei diritti d'autore (seppur la maggior parte delle opere siano ormai di dominio pubblico), le case di sviluppo hanno saputo adattare il personaggio del detective a qualsiasi esigenza. Una tendenza, questa, che ha avuto luogo principalmente in Oriente, dove diversi titoli hanno preso a piene mani dalla creazione di Conan Doyle.
Ne troviamo un esempio minore in un gioco come Wizard101, dove compare un personaggio di nome Sherlock Bones. Ma forse le vicende più rilevanti sono rappresentate da The Great Ace Attorney e Professor Layton. Nel primo caso, all'interno di due capitoli, The Great Ace Attorney: Adventures e The Great Ace Attorney 2: Resolve, compare proprio un personaggio chiaramente ispirato all'originale Sherlock Holmes, tanto che ne condivide anche il nome, almeno nella versione giapponese. Infatti, a causa proprio di alcuni diritti d'autore ancora non decaduti in altri paesi, per il rilascio internazionale di The Great Ace Attorney Chronicles (raccolta contenente entrambi i capitoli) è stato cambiato il nome del personaggio in Herlock Sholmes, in onore dell'omonimo investigatore (anche questo un chiaro riferimento al protagonista dei romanzi di Doyle) apparso in Arsène Lupin contro Herlock Sholmes di Maurice Leblanc.
Per quanto riguarda il Professor Layton, invece, è stato lasciato da parte il nome in favore di una più "facile" trasposizione di alcuni dei tratti caratteristici che l'immagine di Sherlock Holmes ha fatto diventare una costante di molte produzioni a tema investigativo, trovando, tuttavia, una quadra che ha permesso al gioco di ottenere un ampio successo e di riuscire a scrollarsi dalle spalle l'ombra del detective inglese. Questo grazie anche, probabilmente, alla sua uscita su Nintendo DS, forse il luogo migliore per la proliferazione di un titolo del genere durante i primi anni 2000.
Il contesto storico
Perché, dopo tanto tempo, Sherlock Holmes continua a riscuotere tutto questo successo? Come è riuscito ad adattarsi a ogni singolo medium visivo che abbia incrociato il suo cammino? Per rispondere a queste domande dobbiamo tornare indietro col tempo e analizzare il contesto storico, quando il personaggio fece la sua prima, vera apparizione.
Era il 1887 quando veniva rilasciato Uno studio in rosso, primo di una lunga e prolifica serie di racconti e romanzi con protagonista l'investigatore di Baker Street. Erano anni particolari, di crescita e sviluppo per il mondo occidentale (e non solo). Anni che gli storici identificano con moti d'espansione e possedimenti coloniali. Al centro di questa vorticosa e caotica nebulosa di modernità stazionava l'impero coloniale britannico, con la sua capitale culturale ed economica: Londra. Proprio tra le strade della nascente metropoli passeggiano Holmes e Watson nelle avventure create da Arthur Conan Doyle.
La Londra della seconda rivoluzione industriale era un luogo letteralmente frammentato. Se a un angolo si potevano trovare i punti di ritrovo più sfarzosi dell'upper class, all'altro si scorgevano baraccopoli (in inglese "slums"), sovrappopolate e infestate dalle più pericolose malattie dell'era moderna (le condizioni di vita erano tali che, come raccontano diverse testimonianze, non era improbabile trovare cadaveri ai lati delle strade).
Durante gli anni Ottanta dell'Ottocento, la crisi umanitaria che affliggeva la città e la sua periferia era l'ordine del giorno al Parlamento britannico, tanto che in quello stesso periodo si stava lavorando a un processo di rivalorizzazione dell'ambiente urbano. Quindi, abbiamo più di una caratteristica che può aiutarci a fare luce sulle origini di Sherlock Holmes: la creazione di un luogo moderno, dove masse di individui si riversavano ogni giorno in cerca di fortuna e realizzazione; un processo di pulizia che ha portato a una conseguente stretta da parte delle forze dell'ordine (nascono proprio nell'Ottocento i famosi Bobbies, i poliziotti con la tipica divisa nera che tutti conosciamo), con il risultato di una rinnovata attenzione per l'alto tasso di criminalità, insinuatasi nel tessuto cittadino già agli inizi del secolo; le nuove scoperte in ambito scientifico, che portavano all'attenzione comune il mondo empirico e innalzavano il prestigio riservato all'anatomia, alla botanica, alla chimica, alla psicoanalisi e a una miriade di altre scienze, la cui rilevanza trovava valvola di sfogo nei neonati caffè, circoli e club.
Infine, la crescente scolarizzazione e l'espansione di stampa ed editoria, che permetteva a sempre più persone sia di distaccarsi dal roboante mondo cittadino attraverso racconti di finzione, sia di informarsi e venire a conoscenza degli eventi più disparati che riguardavano tanto il contesto nazionale quanto quello internazionale (non senza una spinta sensazionalistica, che gli editori avevano notato attirare più pubblico e, quindi, maggiori introiti).
In questo "inferno in terra" trova le sue radici Sherlock Holmes, un personaggio ambiguo, quasi un antieroe a causa del suo stile di vita, ai limiti dell'accettabile per l'aristocrazia, ma estremamente affascinate per la media borghesia. Il suo carattere investigativo dava voce alla voglia di scandali e misteri irrisolti che invadevano la cronaca londinese attraverso un processo di deduzione facilmente comprensibile per il pubblico di riferimento.
Cosa rende Sherlock Holmes così speciale?
L'origine di Sherlock Holmes si instaura perfettamente all'interno di quel particolare contesto storico. Tuttavia, non spiega come il personaggio sia riuscito a svincolarsi dalle catene vittoriane e ad addentrarsi così a fondo nel tessuto sociale da sopravvivere fino all'era dell'informazione e oltre. La risposta, probabilmente, anche in questo caso va rintracciata nella perfetta collocazione temporale da cui il fenomeno ha avuto origine. Infatti, quando Conan Doyle "mise al mondo" il leggendario detective, le immagini avevano già compiuto i loro primi passi all'interno dell'universo culturale occidentale. Solo otto anni dopo l'uscita di Uno studio in rosso ha luogo a Parigi la famosissima proiezione al Salon indien du Grand Café dei Fratelli Lumière (considerata da molti la "nascita" del cinema, anche se la questione è molto più complicata di così, ma non abbiamo tempo per approfondirla in questa sede; vi basti sapere che può essere considerata sì una nascita del cinema, ma inteso come evento sociale con pubblico pagante).
Questa relativa vicinanza e la regolare cadenza con cui il personaggio tornava sulla bocca di tutti (leggendaria la "sommossa" conseguente la morte del personaggio, che Conan Doyle si è trovato costretto a riportare in vita dopo innumerevoli minacce) ha permesso a Sherlock di raggiungere una rinnovata iconicità visiva (già costruita attraverso le illustrazioni di Sideny Paget e alcune rappresentazioni teatrali delle avventure del detective).
Tale legame così viscerale con l'iconografia ha sicuramente contribuito ad affermare il personaggio come uno dei pilastri narrativi della nascente società delle immagini. Dalla fortunata carriera cinematografica, che ha raggiunto nuovi livelli di cinetismo con i più recenti adattamenti diretti da Guy Ritchie, alle svariate trasposizioni televisive (che con Sherlock ed Elementary hanno lanciato Holmes nel contemporaneo), fino al mondo videoludico, un territorio ancora tutto da esplorare, dove la malleabilità di un personaggio come quello creato dalla penna di Arthur Conan Doyle può veramente legarsi indissolubilmente al medium. Infatti, le avventure del detective hanno sempre dato ampio spazio al coinvolgimento del pubblico, cosa che l'interazione concessa dal medium porta a tutt'altro livello, trasformando il fruitore da spettatore passivo a giocatore attivo. Nei videogiochi, Sherlock Holmes può trovare non solo un potente alleato, ma anche un nuovo slancio creativo verso le prossime innovazioni nel campo della comunicazione visuale.