Si parla di GAAS, ovvero games as a service e tutti iniziano a fare gesti scaramantici; eppure l'idea di tenere in vita un gioco per anni, almeno su carta, non è affatto male. Il termine non si sa bene dove e quando nasce, ma la volontà di passare dal classico "games as a product" al "games a service" inizia a prendere forma con la proliferazione degli MMO, e si concretizza definitivamente con la scalata al vertice della cinese Tencent che sul modello ha guadagnato più di altri. L'acronimo GAAS diventa d'uso comune da Destiny in poi, un gioco dal successo controverso la cui formula, ripresa anche da altri titoli, ne diventerà quasi il sinonimo.
Ma cosa sono? In sostanza, si tratta di un modello di business che permette agli sviluppatori di generare un flusso continuo di reddito dai proventi di un gioco continuando ad aggiornarlo su base costante, introducendo nuovi contenuti, anche a pagamento. In sintesi, i GaaS rappresentano un modo innovativo per gestire i giochi, garantendo un flusso costante di contenuti e un'esperienza personalizzata per gli utenti.
GAAS e Destiny diventano per il pubblico la stessa cosa, ma il collegamento saranno i peccati del gioco Bungie non le sue doti migliori; gli stessi peccati che verranno riproposti, senza correzioni, da almeno un'altra dozzina di titoli che sarebbero stati fantastici come giochi normali, ma che mozzati e rimpinzati di microtransazioni si sono spesso rivelati a dir poco disastrosi.
Tutti colpevoli?
Si è arrivati al punto che al solo sentire parlare di games as a service, il pubblico ha iniziato a snobbare giochi estremamente validi. Sì, sto parlando anche della campagna principale di The Division 2: quello di Ubisoft è un flop che meriterebbe di essere riscoperto almeno fino ai titoli di coda, proprio dove finisce l'esperienza classica e, non a caso, inizia quella da GAAS. Ma il problema è sempre la formula, non il concetto. Del resto abbiamo ottimi games as a service in circolazione, titoli che quando vengono aggiornati non storci il naso ma ti sfreghi le mani pregustando le più ghiotte tra le novità, o giochi che sempre grazie a questa formula possono essere proposti gratuitamente su ogni piattaforma. Rocket League da quando si è trasformato in GAAS gratuito ha spiccato definitivamente il volo; ora quando hai voglia ci giochi e nel caso ci carichi sopra 10 Euro di Season per goderti il ritorno di fiamma. Il problema è sempre la qualità del gioco, e con quanta eleganza viene gestita la monetizzazione. Che piaccia o meno, anche Fortnite è un ottimo esempio di GAAS.
Buoni e cattivi
Non sono invece buoni GAAS quei giochi come i gatcha, categoria al quale appartiene per esempio Genshin Impact, che, nonostante un impianto ludico di tutto rispetto, trasformano i propri utenti in malleabili prede da microtransazione; come non lo sono tutti quei titoli che hanno un approccio manipolatorio nemmeno fossero dei videopoker da dita ingiallite di un bar di paese. L'esatto contrario di Helldivers 2, forse il miglior GAAS di sempre nel do ut des tra software house e utente finale, o Path of Exile. Sea of Thieves dopo qualche anno turbolento ha trovato la sua buona formula, ma dei GAAS peggiori ha una gestione dei contenuti davvero labirintica, oramai indistricabile. La cosa interessante è che si continua a sperimentare e, grazie anche all'intervento di organi nazionali preposti, a legiferare impedendo la prolificazione di meccaniche pericolose.
Esisterà mai il games as a service perfetto? Al momento possiamo solo sperarlo, ma qualcuno non ci è andato così lontano. L'aspetto più difficile è che i modelli digeribili dal pubblico cambiano col tempo: una formula che ha funzionato per qualche anno potrebbe divenire indigesta quello successivo, tutt'insieme.
Infine ci sono quelli che personalmente preferisco: i GAAS inconsapevoli di esserlo. Per esempio quelli Paradox che comunque qualche malcontento lo attirano. Cities Skylines e Crusader Kings 3 sono dei GAAS? Sì, a tutti gli effetti, perché per continuare a vendere il prodotto base vengono distribuiti aggiornamenti gratuiti e a pagamento, in modo da sovvenzionare l'ulteriore sviluppo del progetto. E in fondo, cosa c'è di più bello che vedere il proprio gioco preferito migliorare nel tempo? Psicologicamente io ho già fatto il salto: a volte se non c'è un aggiornamento quando accendo quasi ne sono deluso. Oppure me li vado a cercare, scartabellando le pagine di ogni gioco per vedere se c'è stata qualche aggiunta interessante, o un diario degli sviluppatori che mi faccia sognare su qualche nuova caratteristica in arrivo. Il primo Cities Skylines si è fatto dieci anni di contenuti, Stellaris è diventato abnorme, al punto che oramai per alcuni suoi giochi Paradox offre un abbonamento per avere tutto sbloccato. Con Crusader Kings 3 nemmeno me ne ero accorto che stesse per uscire un DLC importante, e mi sono ritrovato dal giorno alla notte con un nuovo sistema dinamico delle pestilenze che ha cambiato radicalmente l'esperienza. A quel punto che fai, non la inizi una nuova partita? Altre libidinose ore (da leggere con la voce di Giorgione).
Sottofondo videoludico
In fondo, GAAS è qualsiasi gioco che viene aggiornato nel tempo, qualsiasi gioco che prima di questo orribile acronimo avremmo definito semplicemente "ben supportato" dai propri sviluppatori. Sia chiaro, nessuno tocchi le classiche esperienze che iniziano e finiscono, con la loro bella trama, sempre a patto che il gameplay sia l'unica star. Come sempre una cosa non deve escludere l'altra: i GAAS sono quei giochi che compri e che ti accompagnano nel tempo, su cui tornare al momento giusto, in gruppo e anche solo per una rimpatriata, o in solitaria a testa bassa, divorando diligentemente ogni contenuto inedito.
Il punto della questione è che in fondo non esistono buoni o cattivi games as a service, ma come sempre soltanto buoni o cattivi videogiochi. Bisogna imparare a scegliere con cura perché il nostro tempo libero, ficcatevelo bene in testa, non vale affatto poco.