La disattivazione del supporto online per i giochi è purtroppo una pratica che sta diventando normale con il progredire dell'industria videoludica, perché il mantenimento dell'infrastruttura per giocare con altre persone ha dei costi che possono non diventare più giustificabili o sostenibili una volta che la community di giocatori si esaurisce, ma il fatto che questi diventino sostanzialmente inutilizzabili è comunque un concetto che stride con qualsiasi idea di diritto del consumatore, oltre a compromettere inevitabilmente la possibilità di preservazione degli stessi prodotti. È una questione di difficile soluzione, anche perché si collega al particolare accordo tra le parti sotteso all'acquisto di un videogioco, ma non è detto che gli utenti non possano fare nulla e siano costretti a subire passivamente le decisioni dei publisher sui prodotti regolarmente acquistati.
L'iniziativa Stop Killing Games deriva proprio da questo desiderio di attivarsi contro lo strapotere delle major videoludiche, ed ha assunto una certa rilevanza anche perché si è concentrato di recente su The Crew, titolo che è al centro di una situazione piuttosto controversa dopo che Ubisoft ha deciso non solo di disattivarne il supporto online, ma anche, di fatto, di rimuoverlo dalle librerie digitali dei giocatori che l'avevano regolarmente acquistato. Partendo proprio dalla situazione emersa con questo gioco, lo youtuber Ross Scott ha deciso di lanciare la campagna in questione, che punta soprattutto a sensibilizzare l'opinione pubblica ma cerca anche di andare ad esplorare i confini entro cui gli utenti possono agire legalmente per rivendicare i propri diritti, così come capire quanto di quello che i publisher regolarmente fanno quando disattivano i propri titoli sia effettivamente lecito.
Una petizione un po' più articolata del solito
La proposta di Stop Killing Games è qualcosa di simile a una petizione, ma si tratta di un'azione più articolata e profonda di una qualsiasi pagina su Change.org. "Un crescente numero di videogiochi vengono venduti come beni, ma sono progettati per diventare completamente inutilizzabili per tutti non appena termina il supporto", si legge in quello che può essere considerato il manifesto dell'iniziativa di Scott. "La legalità di questa pratica non è stata ancora esplorata nel mondo, e molti governi non hanno ancora delle leggi chiare riguardo queste azioni. Il nostro obiettivo è portare le autorità a esaminare questo comportamento e possibilmente porvi fine, perché questo rappresenta un attacco sia ai diritti dei consumatori che alla preservazione del medium".
Trovate tutte le informazioni e le istruzioni su come prendere parte alla campagna sul sito ufficiale di Stop Killing Games, che è peraltro anche tradotto in un italiano piuttosto comprensibile. Seguendo poche e chiare indicazioni, è possibile prendere parte all'iniziativa contattando il DGCCRF, ovvero l'ente francese a tutela dei consumatori, attraverso una serie di passi precisamente descritti sul sito e diffondere le informazioni entrando nella community legata al progetto.
Il fatto di concentrarsi al momento su The Crew e Ubisoft in particolare ha anche un'altra motivazione fondamentale: la Francia è un paese che dedica una grande attenzione ai diritti dei consumatori ed è dunque più probabile che un'azione in tale territorio possa sollevare una questione al livello politico, trattandosi oltretutto di una compagnia francese. Non è l'unica iniziativa aperta, visto che sono state avviate petizioni anche per il Regno Unito, il Canada e l'Australia, con altre in arrivo presto, ma in questo momento l'azione sul governo francese è quella posta al centro dell'attenzione, per i suddetti motivi.
L'iniziativa di Scott non pretende che i publisher mantengano il supporto online all'infinito, ma quantomeno che evitino di rendere i giochi totalmente inutilizzabili una volta cessato il supporto ufficiale, magari consentendo in maniera legale agli utenti di poter organizzarsi e mantenere vivo il software attraverso l'uso di server privati, come successo per alcuni titoli rimasti attivi oltre la loro effettiva conclusione (City of Heroes e Knockout City, per esempio).
Un'ambiguità di fondo
L'idea alla base dell'iniziativa si fonda sul fatto che gli accordi di utilizzo sottoscritti per i videogiochi si fondano sostanzialmente su una zona grigia, che non sempre viene riconosciuta completamente dai vari paesi e dalle diverse legislazioni. Per quanto riguarda i videogiochi digitali, in particolare, i publisher sono convinti di poter agire in maniera incondizionata, revocando anche la possibilità di accedere ai giochi, sulla base di una "licenza" che viene concessa. Steam, per esempio, rende ben presente che l'acquisto dei giochi si riferisce alla possibilità di ottenere delle licenze per il loro utilizzo, dunque non si tratterebbe propriamente di beni venduti in maniera tradizionale e i diritti sul possesso, per quanto riguarda prodotti di questo genere, sono di difficile definizione.
Ma questa non è una condizione insindacabile: posti davanti a un giudice, è possibile che questo non dia ragione al publisher, perché l'atto di comprare un videogioco è legalmente più vicino all'acquisto di un bene piuttosto che di un servizio, e un consumatore che si vede spogliato di ogni diritto su un oggetto acquistato potrebbe avere ragione, in caso di rivalsa. Su questa ambiguità di fondo si basa l'iniziativa Stop Killing Games, che al momento serve probabilmente più a sensibilizzare consumatori e stampa sulla presenza ormai endemica di questo problema piuttosto che raggiungere un'effettiva vittoria legale definitiva.
Da questo punto di vista, già il fatto di riuscire a interessare e coinvolgere qualche associazione di consumatori o ente a protezione degli utenti grazie al rumore suscitato, sarebbe una bella conquista, così come possibilmente raggiungere quantomeno una maggiore definizione degli accordi sottesi all'acquisto dei videogiochi, in modo da non ritrovarsi sempre più spesso con titoli acquistati ma destinati a sparire tempo dopo, senza più possibilità di accedervi.