Fino ai due paragrafi conclusivi, l'articolo è privo di spoiler: la lettura di questi ultimi, al contrario, è consigliata soltanto a chi ha già completato l'avventura principale.
Nella storia di The Legend of Zelda non c'è mai stato un seguito così puro e diretto come Tears of the Kingdom lo è per Breath of the Wild. In passato alcuni giochi hanno avuto legami espliciti, di tecnologia e di trama, coi predecessori: nessuno di loro tuttavia ha riproposto lo stesso stile grafico e le stesse ambientazioni come, al contrario, Tears of the Kingdom ha osato. Sì, osato: perché plasmare un gioco di cento ore (e più) partendo da queste basi, senza che risulti noioso o ripetitivo, ha molto più a che fare col coraggio che con la conservazione.
Nonostante le somiglianze, Breath of the Wild e Tears of the Kingdom sono tanto diversi quanto diversa può divenire una stessa cosa. Se Breath of the Wild può esistere senza Tears of the Kingdom, però, Tears of the Kingdom non sarebbe potuto esistere senza Breath of the Wild. Nintendo ha fatto il possibile (come sempre) per tutelare anche i novizi, ma è palese che per narrativa, impostazione di gioco e controlli, l'utente ideale di Tears of the Kingdom sia una persona che abbia già concluso la precedente avventura di Link. Gli sviluppatori lo sapevano, e hanno giocato molto sull'alternanza tra variazioni, ampliamenti e conservazioni.
Tears of the Kingdom ha tre diverse mappe che avevamo già analizzato nel dettaglio, tre mappe dalle diverse identità, dal differente aspetto e level design, il cui cuore resta comunque quella centrale, l'Hyrule di Breath of the Wild, ricca di variazioni, di novità, di dettagli che sono mutati negli anni, reali e diegetici, che separano i due titoli.
A tre mesi dall'uscita, dunque, è arrivato il momento di confrontare The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom con Breath of the Wild, due giochi così simili eppure così unici.
Minimalismo VS Massimalismo
Breath of the Wild è minimalista quanto Tears of the Kingdom è massimalista. Nonostante il produttore (Eiji Aonuma) e il direttore (Hidemaro Fujibayashi) non siano cambiati, la composizione dei due giochi è estremamente diversa; e forse era l'unico modo possibile, appunto, per realizzare un'opera che fosse "nuova" nonostante i tanti elementi condivisi. Pensate a Breath of the Wild come a un romanzo scritto da Hemingway: semplice nell'essenza, nonostante la vastità e le ambizioni. Immaginate Nintendo come una casa editrice che, visto il successo del romanzo, e non avendo più la disponibilità dello scrittore originale, chiede al suo "rivale" di comporne un seguito: rimanendo fedele ai personaggi e all'ambientazione, rispettando la macrostruttura esistente (libertà totale, quattro punti focali principali) ma variando il lessico e la prosa seguendo la propria indole. Tears of the Kingdom è Faulkner, ma con la restrizione di scrivere coi limiti imposti da un altro. Pieno di subordinate e opulenza, di stravaganze e orpelli.
Questa contraddizione, a livello estetico, Tears of the Kingdom non riesce mai realmente a superarla: i suoi virtuosismi fantastici sono costruiti sulla base naturalistica di Breath of the Wild, e proprio per questo non arriva mai alla perfetta coesione, alla benedetta armonia del predecessore. Un grande merito di Tears of the Kingdom, tuttavia, è quello di non chinarsi davanti a questa contraddizione, ma di cavalcarla: come una chiesa che al suo interno manifesta stili architettonici di epoche diverse, l'ultima opera EPD abbraccia la svolta fantasy nel modo più plateale possibile. Draghi, oggetti fantascientifici, sfere volanti, miniere abbandonate, robot. Breath of the Wild era un videogioco bucolico con tocchi fantasy, Tears of the Kingdom è un fantasy con accenni pastorali.
In molti si aspettavano che Tears of the Kingdom avrebbe cercato di creare un ponte tra Breath of the Wild e i precedenti The Legend of Zelda: in alcuni frangenti, e in maniera moderata, questo è davvero accaduto. I dungeon di Tears of the Kingdom in effetti sono dei Colossi Sacri declinati verso le precedenti produzioni (ma la base restano comunque i Colossi Sacri), e c'è un ordine ideale degli eventi maggiormente suggerito che in Breath of the Wild. Ma questo approccio è lì per chi desidera vederlo, perché per la maggior parte del tempo Tears of the Kingdom non fa altro che accelerare, con foga e impeto estremo, sull'identità strutturale di Breath of the Wild, fregandosene del suo passato: profondità dell'interazione, libertà e creatività del giocatore a volte smettono di essere asservite all'avventura, per bearsi di loro stesse.
Ultramano introduce la nuova facoltà di costruire, incastrare e motorizzare qualsiasi cosa (o quasi), e in molti casi si intreccia con la storia principale, la caratterizza e l'adorna. Questi episodi, tuttavia, rappresentano l'intersezione tra due cerchi: uno è l'avventura di Link, l'altro la sua versione ingegneristica/costruttrice. Si può terminare la storia sfiorando soltanto le possibilità di Ultramano, al contempo si può approfondire Ultramano lambendo soltanto l'avventura; il secondo approccio, però, genera poche conseguenze al di là della soddisfazione personale. In sostanza: potete anche costruire un'astronave coi raggi laser ma, oltre al piacere di pilotarla, ci farete ben poco. Se Breath of the Wild era coerente in ogni sua ramificazione, in Tears of the Kingdom succede anche questo: c'è praticamente un gioco dentro al gioco che alcuni conosceranno soltanto in apparenza.
Ritmo e densità
La svolta fantastica, che avviene sopra (e non al posto) della precedente dominante pastorale, ha portato anche a dei ritmi di gioco completamente diversi. Volendo sintetizzare il concetto, si potrebbe dire che in Breath of the Wild era più importante cercare piuttosto che fare, mentre l'esatto opposto accade in Tears of the Kingdom: è un titolo talmente denso, concentrato e stimolante che molto spesso si perde di vista l'intento iniziale. Le digressioni avvenivano anche in Breath of the Wild - anzi, ne erano volutamente il cuore - ma qui sono talmente frequenti da costituire il ritmo stesso del gioco. Quando si sblocca la mappa di un'area, una volta raggiunta la "solita" torre, si aprono decine di possibilità da scoprire nelle successive ore di gioco: e non soltanto perché il titolo è diviso in tre mappe comunicanti. Hyrule è piena di caverne, Sacrari, missioni secondarie (pregnanti o meno che siano).
In Tears of the Kingdom, anche volendo seguire la missione principale, è praticamente impossibile non essere "distratti" in continuazione: fissando con un faro la meta desiderata, state pur tranquilli che troverete nel tragitto frapposto talmente tanti "punti di interesse", che quell'obbiettivo ve lo faranno quasi dimenticare, o raggiungere alla fine della sessione di gioco. Questa non è una caratteristica a favore di Tears of the Kingdom o Breath of the Wild: il primo è pieno, denso e ricco di contenuti, il secondo più vuoto, meditativo e riflessivo.
Un ritmo di gioco che si riflette appieno nelle diversità dei mezzi di trasporto: in Tears of the Kingdom si possono costruire carri con ruote e motori, veicoli volanti, mongolfiere. Ma niente fa concorrenza ai "vecchi metodi" come il teletrasporto su un'Isola Celeste e il conseguente volo, attraverso la Paravela, verso il punto desiderato. La scalata è ancora un elemento centrale dell'esperienza, ma più a livello action - nei dungeon, o nelle aree nucleari della missione principale - che esplorativo. Particolarmente emblematici sono i cavalli: in Breath of the Wild erano una delle componenti principali dell'avventura - che si amasse usarli o meno - in Tears of the Kingdom sono quasi inutili, se non per il piacere personale di utilizzarli.
Tra il fatto che esistono metodi di spostamento più veloci ed efficaci, tra l'impossibilità (sacrosanta) di avvicinarli ai congegni Zonau, e sommando al tutto la densità di contenuti non affrontabili in sella (Sacrari, caverne), i cavalli sono un elemento di contorno in Tears of the Kingdom. E con loro l'ammirazione della natura, la sua osservazione: tra una voragine che conduce al sottosuolo, le caverne che ci attendono, le Isole Celesti sopra di noi e i detriti piovuti che ci invitano in alto, il tempo per "respirare" la natura è veramente poco.
Ordine e narrativa
Tears of the Kingdom ha la stessa libertà di Breath of the Wild: dopo aver terminato l'incipit, potreste - in teoria - andare direttamente ad abbattere il boss finale. La differenza tra i due è che Tears of the Kingdom quest'aspetto, al posto di palesarlo, lo cela: le missioni vengono proposte gradualmente, ed è più punitivo nei confronti di chi non rispetta l'ordine consigliato (alcune persone hanno giocato ore senza Paravela, ad esempio). Tuttavia, la maggior linearità è più apparenza che sostanza: il "quarto dungeon" è più difficile dei precedenti, ma non quanto lo sarebbe stato se gli sviluppatori fossero stati davvero certi che, in quel punto, ci sareste arrivati in un determinato momento, con un certo tipo di sviluppo ed equipaggiamento. La libertà nello scegliersi la meta, con le connaturate conseguenze positive e negative, regna ancora sovrana.
Anche la narrativa, che si attendeva maggiormente strutturata, alla fine è piuttosto simile a quella di Breath of the Wild. In sostanza, nel "presente" - a livello di trama, non di narrazione - accade veramente poco. Ganondorf, esattamente come la Calamità Ganon, provoca un sacco di problemi all'inizio dell'avventura - sconvolgendo alcune regioni - ma per il resto attende nell'ombra. Nel suo "presente" Tears of the Kingdom è ambientato pochi anni dopo Breath of the Wild, ed è bello ammirare come siano cambiati e cresciuti i personaggi di Hyrule, mentre la trama legata ai ricordi è connessa a un periodo molto, molto antecedente. Quell'uroboro che abbraccia il logo rappresenta proprio questo: Tears of the Kingdom, sia nelle meccaniche ludiche che nell'impostazione narrativa, avvolge circolarmente il suo predecessore, replicandone la struttura e collocandosi (al contempo) prima e dopo di esso.
La svolta fantastica è evidente da ogni aspetto di Tears of the Kingdom: dalle Isole Celesti, dalle loro architetture, dai congegni Zonau. Dal Sottosuolo, dai suoi mostri e dalle sue antiche costruzioni, dalla vegetazione platealmente ispirata a quella di Nausicaa (anime di Hayao Miyazaki del 1984). È simboleggiata e racchiusa dalla Principessa Zelda, che con un rito rischioso e stregonesco si trasforma in un drago, trasportando su di sé la Spada Suprema, e regalando - al momento della scoperta del sacrificio - uno dei momenti più toccanti dell'intero duo Breath of the Wild - Tears of the Kingdom.
Conclusioni
Il finale di Tears of the Kingdom è probabilmente il migliore della serie. A livello di atmosfera e narrazione quello di The Wind Waker resta speciale, ma la conclusione di Tears of the Kingdom è più completa: c'è sostanzialmente tutto. Una lenta discesa negli abissi, mostri difficili, musica spettrale ed evocativa, un degno avversario e uno spettacolare epilogo (più narrativo che ludico). Molti giocatori si saranno "rovinati" questa sezione arrivandoci tardi, dopo centinaia e centinaia di ore, con un Link troppo potente e quasi invincibile: il bello e il brutto della libertà assoluta concessa all'utente.
Cercando di inquadrare Tears of the Kingdom, il primo elemento da sottolineare sta nella sua eccellenza: era impossibile fare di più, viste le premesse. Giunge dopo il miglior gioco del decennio appena trascorso, quantomeno quello maggiormente votato come tale; doveva esserne all'altezza e potenzialmente approfondirlo (cosa che ha fatto in vari aspetti) senza tradirlo, non potendo sfruttare un nuovo hardware, riciclando l'engine precedente. Nintendo EPD ha compiuto un piccolo miracolo, sia a livello creativo sia, e forse soprattutto, sul piano tecnico. Pensare che questo gioco sia ospitato senza caricamenti (salvo teletrasporti e Sacrari) da un hardware che è paragonabile a quello di PlayStation 3, lo rende qualcosa di prodigioso.
Nonostante la simile qualità generale, a mio parere il peso specifico di Tears of the Kingdom è largamente inferiore a quello di Breath of the Wild: e non lo è adesso, al momento dell'uscita, ma fin dalla decisione stessa di realizzare immediatamente un successore del capolavoro del 2017 (sullo stesso hardware, ribadiamo). Qualunque cosa avesse fatto Nintendo con questo titolo, al massimo avrebbe creato un potenziale gioco dell'anno, e così è stato: ma Tears of the Kingdom non credo scriverà la storia. Se niente di più bello arriverà da qui al 2029, sicuramente giungerà qualcosa di più impattante, importante e innovativo, forse già con Starfield.
Tra i titoli più belli mai realizzati - e Tears of the Kingdom rientra in questa categoria - l'opera Nintendo, a parer mio, sarà fra le meno influenti. È buffo da dire per un gioco che sul nostro sito ha preso 10, che ha una media Metacritic di 96, ed è quello su singola piattaforma ad aver raccolto più punteggi perfetti: eppure a livello storico non penso sarà ricordato, a differenza di Breath of the Wild, tra i capitoli della serie che hanno segnato profondamente la storia del videogioco. Non è un difetto suo, ma una mancanza indotta dai suoi antenati, e soprattutto da suo fratello maggiore.
L'esistenza stessa di Tears of the Kingdom crea un potenziale problema per le tempistiche di The Legend of Zelda. Nintendo probabilmente era intenzionata, riutilizzando l'engine, a pubblicare il gioco entro il 2021, a quattro anni (massimo) dal predecessore: tra pandemia e fisiologiche complicazioni, non c'è riuscita. Questo significa che, se tutto andasse sorprendentemente bene, la prossima console Nintendo avrà un The Legend of Zelda esclusivo nel 2028, a metà (forse) del suo ciclo vitale, quando il suo destino sarà già segnato, o comunque fortemente indirizzato.
Con questo articolo l'intento era quello di comprendere e storicizzare, per quanto presto sia, Tears of the Kingdom: un'eccellenza autoreferenziale, per alcuni aspetti uguale al predecessore, per altri opposta. Barocco contro rinascimento, massimalismo contro minimalismo, fantastico contro pastorale. Eppure tutti questi discorsi risultano superflui quando accendete la console, andate a una torre, vi lanciate dalla stessa e ammirate Link scagliato in aria come un proiettile. Giunto all'apice del lancio, avvolto dalle nubi, l'eroe allarga le braccia: per un istante volita in cielo, la bionda chioma si stende dolce dal basso all'alto, e l'immensità, tangibile e interattiva, si manifesta come mai prima in un videogioco, forse, era accaduto.