Nel mito greco, Sisifo è il più ingegnoso degli esseri umani. Talmente machiavellico e sfrontato da aver sfidato più e più volte gli dèi e da essere riuscito a ingannarli. Almeno fino a un certo punto quando, finalmente acciuffato, fu condannato a una pena interminabile e senza redenzione: spingere un enorme masso verso la cima d'una montagna salvo vederlo ogni volta rotolare giù, fino all'inizio. Per l'eternità. A niente sarebbero serviti i suoi trucchi e inutili sarebbero state le sue implorazioni rivolte agli dèi.
In effetti, giocando a The Game of Sisyphus ci è capitato spesso di tirarli in ballo, gli dèi, e come previsto nessuno ci ha aiutati.
L’uomo che ingannò la morte una volta di troppo
È Omero a raccontarci di Sisifo e a dargli la definizione con cui lo conosciamo: il più ingegnoso degli uomini. Tanto che, secondo alcune tradizioni, fu anche il padre di Ulisse, il generale acheo che ebbe l'idea del cavallo di Troia, nonché protagonista dell'Odissea, colui che Omero stesso definisce un genio dell'intrigo.
Secondo questa credenza popolare, Sisifo incontrò Anticlea prima che questa si sposasse con Laerte, re di Itaca. In ogni caso, tra le sue innumerevoli astuzie, Sisifo fece un errore madornale: mettersi contro il più potente e vendicativo degli dèi, Zeus. Spifferò una delle scappatelle del padre dell'Olimpo ad Asopo, che cercava sua figlia Egina. In cambio ottenne una fonte d'acqua eterna per la sua città, ma anche la collera di Zeus che lo condannò a morte. Ade mandò allora Thanatos a prendere Sisifo, e quest'ultimo ingannò la morte facendola ubriacare e legandola a una sedia.
Anche una volta risolta la questione e scortato al cospetto di Persefone, la regina degli inferi, Sisifo ne combinò una delle sue: chiese a sua moglie di non sotterrare il suo corpo e si lamentò con Persefone di non aver ricevuto una degna sepoltura. Persefone, mossa a compassione, gli concesse di tornare tra i vivi per tre giorni, così da officiare il funerale.
Chiaramente Sisifo non mantenne i patti e non fece ritorno, fino a quando la sua condanna non fu inevitabile: per aver provato a scavalcare l'autorità degli dèi, sarebbe stato condannato a un lavoro inutile ed eterno. Senza possibilità di alleggerirlo con uno dei suoi trucchi. Così nasce il mito di Sisifo e della pietra.
Spingere la pietra
The Game of Sisyphus parte proprio da qui, e ha tutto l'aspetto di uno di quei videogiochi resi famosi da Bennett Foddy come Getting Over It with Bennett Foddy, ovvero titoli con comandi bizzarri e un certo sadismo nel far infuriare il giocatore, polverizzandogli davanti agli occhi i progressi accumulati negli ultimi minuti o nelle ultime ore.
Vestendo i panni di Sisifo non si fa altro che far rotolare questa roccia in un lunghissimo percorso in salita. Nel primo tratto si familiarizza con i comandi, che non sono complessi, ma tengono conto dei capricci della fisica e dell'inerzia della roccia. Poi inizia il supplizio. Tutta la strada è infatti costellata di trappole, marchingegni e ostacoli da dover superare. Si parte con il classico percorso sospeso, si arriva a macchinari che girano e dei quali bisogna assecondare il movimento, fino a barili esplosivi (che dubitiamo fossero presenti nell'antica Grecia) e lastre di ghiaccio, pedane a molla, percorsi resi scivolosi dall'acqua.
La scalata è lunghissima e impietosa. Un errore e il masso potrebbe rotolare giù, prendere velocità, diventare impossibile da recuperare. Sebbene alcune parti del percorso siano realizzate per cercare di fermare l'avanzata del sasso in discesa, con alberi, rocce e tronchi messi lì per rallentarne l'inesorabile destino, capita non di rado che la fisica del gioco e la velocità di rotazione compiano magie, sbalzando il masso fuori dal percorso, oppure coinvolgendolo in salti esagerati che lo riportano all'inizio. Sì, proprio come nel mito.
The Game of Sisyphus finisce spesso per lasciarvi esterrefatti, guardando i vostri sudati traguardi bruciare uno dopo l'altro, mentre il masso se ne torna dov'eravate mezz'ora, o magari anche un'ora fa. E, proprio come nella storia, non c'è alcun trucco per velocizzare il processo (be', quasi, ma ve lo diciamo tra un po'): si torna indietro, si spinge, si riaffrontano tutte le trappole. Tanto che molti utenti si sono lamentati perché, a differenza dei giochi di Foddy, Sisyphus non permette vero margine di miglioramento specialmente per chi ama le speedrun. Le capacità del videogiocatore sono relativamente utili per raggiungere la cima in fretta. Gli sviluppatori sudcoreani di cream si sono allora sbrigati a definire meglio (e con ironia) di che tipo di gioco si tratta: un'esperienza della lotta di Sisifo, in buona parte basata sull'interpretazione che ne diede Albert Camus nel 1942. Già, ma che significa?
Dobbiamo immaginare Sisifo felice
Il mito di Sisifo è un saggio che Camus scrisse giovanissimo, non ancora trentenne, e che ragiona sull'assurdità della vita chiamando in causa la figura di Sisifo che nei secoli è stata sempre usata come allegoria per la peggiore delle punizioni: un'esistenza vuota, senza senso.
Camus ne diede invece una visione totalmente in controtendenza. Famosa è la massima che apre anche il videogioco: "Anche la lotta contro la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Dobbiamo immaginare Sisifo felice". Ovvero, davanti all'assurdità della vita e alla sua insensatezza, l'unica risposta per Camus è abbracciarne il non senso. Vivere per vivere. E Sisifo, nella sua totale accettazione di un destino vuoto, senza la ricerca di un significato profondo, è in grado di comprendere e sopportare l'esistenza.
Sotto questa lente The Game of Sisyphus è più un esperimento che un videogioco. Una rappresentazione dell'assurda condizione umana. Il suo senso è già racchiuso nel gesto di spingere il masso, vederlo cadere e riprovarci.
Ma questo è anche un videogioco con tutti i crismi, con obiettivi (tutti molto ironici, a dire la verità) e una chiara sfida da superare. E noi siamo giocatori. Per quanto alta e insindacabile sia la versione di Camus, è impossibile non desiderare vedere la cima di quella montagna. Perché c'è una cima, dopo tutte quelle trappole e quei meccanismi che lo trasformano in uno di quei titoli che gli stessi sviluppatori chiamano 똥 게임. La traduzione diretta è un po' esplicita, ma noi li definiremmo rage games, i videogiochi fatti per far arrabbiare chi li gioca.
La cima della montagna
Sisifo è pur sempre Sisifo, come si diceva, il più furbo degli uomini, il più ingegnoso. Colui che è in grado di pensare a soluzioni improbabili, come far ubriacare la morte, per arrivare ai suoi obiettivi. Difatti c'è un modo facile, degno del re di Efira, per arrivare in cima. All'inizio della partita, quando si sceglie la skin del masso da far rotolare, tra la ventina di opzioni disponibili c'è anche un pallone da spiaggia. Uno di quelli gonfiabili e giganteschi, a righe. Scegliendo il pallone al posto del masso, il gioco si trasforma in una prova di pazienza piuttosto che di abilità: la palla non ha peso, quindi l'inerzia è minima e si riesce a gestire facilmente spostandola da una parte all'altra.
In questo modo è un gioco da ragazzi arrivare alla fine della sfida, al cospetto del padre degli dèi, sulla cima del mondo. In qualche maniera si riscrive il mito, salvo poi fare i conti con ciò che avviene subito dopo, che chiaramente non vi diremo, ma che è già rinchiuso nell'incipit e nella bellissima interpretazione di Camus.
The Game of Sisyphus è un videogioco concettualmente interessante più che riuscito. È un rage game che fa il giro e diventa esperimento filosofico, e anche un'allegoria intelligente sul videogioco come strumento di comunicazione. Con ironia ne racconta l'insensatezza ma anche il rifiuto di arrendersi, la forza di volontà necessaria ad affrontarli. Una sfida contro sé stessi. Anche Omero descrisse Sisifo allo stesso modo, come un videogiocatore alle prese con un perpetuo game over: "Ancora una volta spingeva, con il corpo teso, dalle membra scorreva il sudore, dal capo saliva la polvere".