C'era molta curiosità su quale sarebbe stato il prossimo The Legend of Zelda dopo il trionfale Breath of the Wild. La serie non godeva di così tanto prestigio e seguito dal 1998, dai tempi di Ocarina of Time, per cui la scelta era alquanto difficile e, per certi versi, impronosticabile. Questo perché, sebbene sia stato accolto universalmente come un capolavoro, il capitolo più recente è senza dubbio un episodio di rottura: un passo in avanti guardando al passato, a quel capostipite per NES così tanto focalizzato su azione ed esplorazione, piuttosto che sulla risoluzione degli enigmi. L'exploit di Breath of the Wild, su questo eravamo tutti d'accordo, avrebbe catalizzato il successo della prossima pubblicazione, ma allo stesso tempo Nintendo si ritrovava nella difficile posizione di non tradire i nuovi acquirenti, persone che si sono innamorate di questa serie perdendosi nella più recente incarnazione di Hyrule. Se Skyward Sword avrebbe potuto sfruttare le potenzialità dell'hardware come pochi altri, attraverso i controlli motion, bisogna anche sottolineare come, identitariamente, si trovi agli antipodi rispetto a Breath of the Wild: poca azione, poca esplorazione, tantissimo puzzle-solving.
La questione era, ed è tuttora, resa più complessa dalla natura ibrida di Switch, una console che, per la prima volta dopo decenni, consentirà a Nintendo di incamerare i propri sforzi in una sola piattaforma: il team di Aonuma, EPD3, tra Wii U e 3DS ha pubblicato ben quattro giochi nella generazione scorsa (a cui potremmo aggiungere gli spin-off di Hyrule Warriors e i remake di Grezzo). Anche considerando i maggiori tempi di sviluppo richiesti da Switch, non era da escludere che uno dei due team, quello che si occupa dei capitoli 3D o quello che cura gli episodi bidimensionali, si sarebbe dedicato ad una nuova proprietà intellettuale (ipotesi che, allo stato attuale, non possiamo comunque scartare). I due maggiori indiziati, allontanato per tempistiche il seguito di Breath of the Wild, erano i già citati The Legend of Zelda (NES) e Skyward Sword: il primo per vicinanza spirituale al recente successo, il secondo per i motion control. Per questo la scelta di Link's Awakening ha sorpreso gran parte del pubblico.
La storia di Link's Awakening
The Legend of Zelda: Link's Awakening è stato il primo capitolo della serie ad uscire su console portatile. Arrivò nel 1993 su Game Boy, su un piccolo e - agli occhi dei giovani d'oggi - ridicolo schermo verdastro. La sua esistenza è dovuta principalmente a Takashi Tezuka che, dopo aver diretto quel capolavoro di A Link to the Past (SNES), desiderava realizzarne un seguito tascabile. Non una semplice riduzione, tuttavia: conscio della distanza siderale che intercorreva tra SNES e Game Boy, voleva trovare una chiave di lettura che potesse esaltare la serie anche su portatile. Da qui l'idea di ispirarsi a Twin Peaks, la meravigliosa serie, all'epoca in voga in Giappone, ideata da David Lynch: una meta non concreta ma astratta, che non snaturasse ma piuttosto si sposasse con l'anima di The Legend of Zelda. In particolare era limpido il desiderio di creare un mondo compatto e, parafrasando Tezuka, colmo di personaggi sospettosi. L'atmosfera onirica fu una naturale conseguenza della scelta, con un mondo lontano dalla familiare Hyrule, Koholint, l'isola in cui Link si risveglia dopo uno sciagurato naufragio, troneggiata da un gigantesco uovo (che, istintivamente, sembra di Yoshi).
I personaggi erano davvero atipici, ma soprattutto dotati di una forte personalità, una cosa inedita per la serie, merito soprattutto di Yoshiaki Koizumi, che si occupò - insieme a Tanabe, produttore di Metroid Prime - della stesura della storia e dei dialoghi. Proprio lo stesso Koizumi che, tanti anni dopo, avrebbe diretto Super Mario Galaxy, e presentato il Nintendo Direct che avrebbe annunciato il remake di Link's Awakening. L'episodio per Game Boy sorprese tutti per l'atmosfera onirica, per i personaggi strambi, per i surreali intenti parodistici (vedasi i vari nemici e personaggi estrapolati da Kirby e, soprattutto, Super Mario), per un obiettivo finale così diverso dal solito: la principessa Zelda era addirittura assente dal gioco, e la missione di Link, così da poter tornare a casa, era svegliare il misterioso Wind Fish, tormentato dagli incubi che, guarda un po', presiedevano i tanti dungeon del gioco. Se il contesto narrativo sarebbe stato interessante, di sicuro non sarebbe stato altrettanto apprezzato senza un solido gioco alle spalle: A Link's Awakening, ovviamente, era anche questo. La qualità del game design e del level design dei dungeon era altissima; del resto, quello per Switch non è il primo remake di questo capitolo. Ne era già uscito uno, il 12 dicembre del 1998, per Game Boy Color: praticamente identico all'originale, ma contenente un dungeon in più che sfruttava la novità più rilevante, e cioè le tonalità finalmente colorate dell'avventura.
Il remake
Nonostante la straordinaria qualità del gioco, non era scontato aspettarsi un remake di questo titolo nel 2019. È stato l'ultimo The Legend of Zelda (finora) a non annoverare Eiji Aonuma, storico produttore della serie, tra i suoi sviluppatori. Tuttavia è proprio una sua frase, espressa in uno degli Iwata Asks, a sintetizzare bene l'importanza di quest'opera: "senza Link's Awakening, Ocarina of Time non sarebbe stato lo stesso". E, espressa da Aonuma, è una verità difficilmente contestabile: va da sé che, se Ocarina of Time non sarebbe stato lo stesso, l'intera serie sarebbe stata diversa. A posteriori potremmo addirittura affermare che, anche non fosse il miglior episodio portatile (e per molti lo è), di sicuro è l'unico tra quelli tascabili ad aver influenzato grandemente la serie principale, quella per home console. E il merito è soprattutto di Koizumi, di tutti quei personaggi dettagliati, delle missioni secondarie, tutte cose ancora assenti, o poco presenti, in The Legend of Zelda: se il suo anelito narrativo è stato castrato da Miyamoto in Super Mario, in cui è emerso episodicamente solo in Galaxy, in The Legend of Zelda, nonostante il contatto limitato, ha cambiato la serie per sempre. In Link's Awakening per la prima volta gli strumenti musicali hanno recitato un ruolo centrale, e sappiamo bene quanto sarebbero stati importanti nei capitoli successivi. Come già detto, in questo gioco gli abitanti dell'isola hanno acquisito spessore e un ruolo attivo nella prosecuzione dell'avventura; le relazioni tra gli stessi sono importanti per le missioni secondarie. Qui è stata introdotta la meccanica di portare gli oggetti da un personaggio all'altro, qui, a livello contenutistico, è apparso il primo gufo a guidare Link. Marin e Tarin (ispirato a Super Mario) sono gli evidenti modelli per i proprietari del Lon Lon Ranch in Ocarina of Time, Malon e Talon. Qui si è visto il primo minigame di pesca. Sono tutte ragioni per cui, a livello storico, ha senso riproporre quest'opera al pubblico odierno, non bastasse l'eccelsa qualità dell'avventura.
Una scelta che serve anche a rivendicare la dimensione portatile di Switch: sebbene non sia stato confermato, è probabile che a creare questo remake sia il team "secondario" di EPD 3, quello di A Link Between Worlds, per anni relegato alle console tascabili. Quale che sia lo sviluppatore, come enunciato all'inizio, il post-Breath of the Wild sarebbe stato duro per chiunque, compreso un seguito diretto. Non c'era, onestamente, una scelta giusta. Forse il remake più appropriato per deliziare la nuova clientela di appassionati sarebbe stato quello del primo episodio; tuttavia A Link's Awakening è allo stesso tempo onirico e, come game design, incredibilmente equilibrato. A tutti quelli che hanno conosciuto la serie con Breath of the Wild, farà capire che esistono episodi dall'atmosfera diversa, ma soprattutto capitoli più cesellati e meno votati all'esplorazione. Lo stesso stile grafico, ammiccante alla clay motion, dimostra quanto Nintendo sia ancora desiderosa di sperimentare con questa saga: le polemiche non sono state comparabili a quelle che seguirono la presentazione di The Wind Waker, ma il nuovo aspetto ha scontentato più di un utente, deliziandone altrettanti. In un certo senso questo remake ci conferma che, nonostante il successo di Breath of the Wild, Nintendo non è intenzionata a limitare la saga né a quella forma, né a quell'aspetto. Che abbiano realizzato il gioco dell'anno 2017 è evidente anche da un ulteriore dettaglio: il logo di The Legend of Zelda è, dopo anni e anni, cambiato.