Il 20 ottobre del 2016 Nintendo presentò al mondo Switch: l'impressione è che non si trattasse di un annuncio covato per anni nelle stanze più nascoste della sede di Kyoto, bensì di una specie di operazione lampo pensata per invertire la tendenza negativa che aveva investito la maggior parte dei recenti trimestri finanziari, attribuita prevalentemente alle insoddisfacenti performance di Wii U, una macchina nata 'storta' e comunicata in maniera ancora più sfortunata. Ora, sul finire del 2023, Nintendo Switch si è trasformato in un prodotto ibrido capace di piazzare 132 milioni di unità, diventando di riflesso la console da salotto più venduta nella storia della compagnia nonché la terza in assoluto prendendo in considerazione l'interezza dell'industria.
Un traguardo, questo, che la Grande N ha raggiunto disinteressandosi delle tendenze del mercato, scegliendo di non investire attivamente nei giochi come servizi, abbandonando forse per sempre l'incessante e logorante rincorsa della fedeltà grafica, dimostrandosi immune alle moderne ondate di licenziamenti, ma soprattutto scommettendo tutto quanto sulle qualità che hanno fatto la storia della compagnia, su tutte la realizzazione di IP proprietarie di straordinaria caratura creativa. Tra il 1985 e il 1986, Super Mario Bros e The Legend of Zelda hanno fatto sobbalzare un'industria moribonda come due poderosi colpi di defibrillatore: non è un caso se nel 2017 la medesima cura ha investito le sponde della neonata Switch, divenute teatro dell'emersione di Super Mario Odyssey e, ovviamente, The Legend of Zelda: Breath of the Wild.
Poi le lancette sull'orologio hanno iniziato a correre, il mondo intero si è fermato per due anni, l'industria si è trasformata in una specie di sanguinoso campo di battaglia, mietendo diverse vittime e persino distorcendo irrimediabilmente l'identità di alcuni fra gli sviluppatori più navigati. In tale contesto, quasi risiedesse in una dimensione parallela al riparo dalle tempeste, Nintendo Entertainment Planning & Development - capitanata dal decano Eiji Aonuma - ha sviluppato The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, un'opera che in qualche modo è riuscita a incapsulare l'anima stessa della casa, partendo proprio da quell'Ultra Hand - Ultramano, nella versione italiana - inventata da Gunpei Yokoi che nel 1966 trasformò Nintendo da casa produttrice di carte hanafuda a manifatturiera di giocattoli, quasi a voler chiudere un cerchio dalle linee antichissime.
Il gioco sopra ogni altra cosa, l'immaginazione e la creatività come motori per l'intrattenimento, una grossa scatola di sabbia collocata nel confine magico del Regno di Hyrule: l'ultima avventura di Link è stata senza ombra di dubbio una fra le migliori esperienze del 2023 e forse anche qualcosina di più, certamente un piccolo compendio dell'immutabile filosofia che ha tracciato il percorso di Nintendo fin dal suo debutto nel mondo dei giochi. Resta da scoprire, a questo punto, se The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom si rivelerà anche un meraviglioso canto del cigno per Nintendo Switch.
Non vogliamo vedere l'impossibile
Di tutte le cose che sono state dette di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, anche nella nostra recensione, quella che forse viene maggiormente sottostimata è la facilità d'uso: il flusso di gioco scorre in maniera talmente organica e naturale da risultare quasi semplice, a tratti banale, mascherando in maniera efficace una struttura che risulterebbe altrimenti impossibile. E l'impossibile, esattamente come nei giochi di prestigio, è qualcosa che tendiamo a non voler vedere. Interagire attivamente con ogni singolo oggetto dotato di una fisica unica e addirittura fonderne più insieme tramite l'Ultramano, attraversare solide pareti rocciose - di solito il più grande tabù dei videogiochi - con una semplice attivazione dell'Ascensus, riavvolgere il tempo quasi si stesse utilizzando uno strumento destinato allo sviluppo con il Reverto: fare tutte queste cose è semplicissimo, non bisogna navigare complessi sistemi di potenziamento o barcamenarsi fra intricate scelte di dialogo, è sufficiente premere un pulsante, pertanto si tende a farlo senza prestare troppa attenzione a cosa stia effettivamente accadendo dall'altra parte dello schermo.
Non ci si domanda quasi mai come sia possibile che un enigma si possa risolvere in centinaia di maniere emergenti, oppure come la struttura della progressione di qualsiasi attività riesca a rimanere integra nonostante l'esistenza di uno strumento pericoloso come l'Ascensus. A volte si solleva un oggetto, lo si lascia precipitare, si attiva il Reverto per sfruttarlo come ascensore, lo si raccoglie nuovamente per risolvere un problema, e poi si levano i tacchi come se nulla fosse accaduto, come se ci si fosse appena arrampicati sulle poche pareti scalabili molto ben segnalate che caratterizzano la quasi totalità dei videogiochi contemporanei. In altre occasioni si vaga senza meta per il regno di Hyrule, prendendo coscienza di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto nonostante la carenza di segnalini, come se un occhio invisibile seguisse ogni mossa di Link per stendergli di fronte un tappeto d'intrattenimento. Altre volte ancora succede di convincersi per un momento di aver "rotto" il gioco, di aver sfruttato una soluzione assolutamente non prevista dalla squadra di Aonuma, di aver infranto le regole del dungeon di turno, salvo poi rendersi conto che non c'erano regole da infrangere, non c'erano confini da forzare: quella scatola di sabbia è stata realizzata a mano e gli strumenti al suo interno sono stati posizionati dagli artigiani di Nintendo EPD.
L'eco di Tears of the Kingdom
Nonostante gli straordinari traguardi tagliati sul fronte del design e soprattutto su quello decisamente più spietato dei risultati commerciali - che l'ha visto protagonista di una vittoria totale - anche The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom si è dovuto presentare di fronte al giudizio critico dell'utenza. More of the same, DLC di Breath of the Wild, tecnicamente insufficiente: sono state queste le voci dissonanti ad aver maggiormente affiancato l'esordio del sequel, piantando radici nell'idea più o meno diffusa che la struttura ricalchi eccessivamente quella instaurata dal predecessore. Lo sfruttamento di una versione modificata dell'originale mappa di Hyrule proprio non è andata giù ad alcuni appassionati, così come mal digerita è stata la struttura radiale e non lineare della narrazione, anch'essa percepita dai più critici come troppo vicina all'eredità di Breath of the Wild. Allo stesso modo, si è spesso lamentata l'inadeguatezza dell'hardware di Nintendo Switch e dei sei anni che ormai porta sul groppone.
Su ciascuna di queste tesi si potrebbe intavolare una profonda discussione: ha davvero senso chiamare in causa il more of the same quando il pilastro principale del progetto è passato dall'attacco della natura selvaggia alla risoluzione emergente di enigmi artificiali? Si può davvero parlare di comparto tecnico arretrato nei confini di un titolo che sfrutta il motore fisico, quello chimico, ed effettua calcoli in modi che nessun altro videogioco aveva mai esplorato prima? Lo sfruttamento di una mappa già pronta, completamente ridisegnata nonché affiancata da due varianti inedite, è uno scoglio così difficile da oltrepassare? Senza dubbio Nintendo EPD ha raccontato un'unica grande vicenda frammentata in due capitoli - il che rappresenta un assoluto unicum nella saga tridimensionale - infrangendo una sorta di antico tabù, ma forse è proprio per questa ragione che ha potuto spingere tanto l'acceleratore sul fronte delle meccaniche di gioco.
In occasione della recensione, abbiamo inserito fra i contro il fatto che Tears of the Kingdom "mette i futuri capitoli della serie in una posizione molto scomoda", e viene quasi naturale rimarcare tale aspetto in questa sede: ora che questo piccolo ciclo di continuità creativa si è concluso, la squadra di Eiji Aonuma sarà costretta a disegnare un nuovo immaginario, ad architettare un nuovo mondo, ad abbandonare sistemi rodati, insomma a ricominciare ancora una volta da zero come ha fatto nel corso degli ultimi venticinque anni, confrontandosi tuttavia con una coppia di mostri sacri come quella che ha graziato le sponde di Nintendo Switch.
Certo, dai creativi che hanno inanellato uno dietro l'altro Ocarina of Time, Majora's Mask e poi The Wind Waker ci si può aspettare qualsiasi cosa, ma i tempi sono cambiati, i processi di sviluppo non sono più gli stessi dei tardi anni '90, Twilight Princess e Skyward Sword non hanno potuto contare sulla medesima accoglienza degli altri episodi, di conseguenza il futuro prossimo di Zelda rappresenta probabilmente la sfida più difficile che la divisione Entertainment Production & Development si sia mai trovata ad affrontare.
Abracadabra
Come nel film The Prestige di Christopher Nolan, quando il pubblico della Londra novecentesca si trova di fronte a un gioco di prestigio impossibile e batte le mani distrattamente, così The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom ha messo in scena 'vera magia' sull'hardware che per lungo tempo è stato considerato l'assoluto sfavorito dell'ottava generazione di console, incontrando reazioni spesso egualmente distratte. Probabilmente, anzi, sicuramente non avrà lo stesso impatto del suo diretto predecessore, non imporrà allo stesso modo la sua influenza tra le pieghe del medium, perché un conto è tentare di replicare un mondo aperto radicato nella natura e nell'esplorazione, ma tutt'altra cosa è cercare di architettare un universo interattivo nel quale la soluzione di centinaia di problemi costruiti artigianalmente trova i suoi unici limiti nella creatività e nella fantasia del giocatore.
Cala così il sipario sull'annata protagonista dell'ultima avventura di Link, il grande canto del cigno della macchina che ha dominato silenziosamente la generazione passata, lasciando un vuoto che sarà estremamente difficile da colmare. Da che mondo è mondo gli ingegneri di Nintendo sviluppano le console del futuro in parallelo ai software destinati a colorarle: è accaduto nel caso di Super Mario 64, è capitato a Breath of the Wild, e probabilmente sta succedendo anche in questo preciso istante, da qualche parte all'interno del Nintendo Research Center con sede a Kyoto. É possibile che proprio ora il prossimo Link si stia preparando per solcare nuovamente i mari, forse la futura incarnazione della principessa Zelda è finalmente pronta per calcare il campo di battaglia, magari Miyamoto e Aonuma in persona stanno sghignazzando di fronte ai prototipi delle meccaniche che affrescheranno la Hyrule di domani.