Giappone, primi anni '80. Takara, casa produttrice di giocattoli e proprietaria dei diritti di sfruttamento di serie animate come Jeeg, Gackeen e Godam, decide di creare dei personaggi originali per il proprio catalogo. È così che nascono i Microman, ovvero dei piccoli cyborg dal volto metallico, dotati di un gran numero di snodi articolari per assumere le pose più disparate. La nuova linea incontra fin da subito i favori del pubblico dei più piccoli, e così di mese in mese vengono realizzati nuovi personaggi e veicoli, finché non si arriva a una svolta che fornisce l'input necessario alla creazione di uno dei franchise più popolari nella storia dei giocattoli (e non, come vedremo) a livello mondiale.
Io, Dianauta
Da piccolo ero un giocatore esigente. Se i robot in metallo ti permettevano di rivivere le storie viste in TV, a maggior ragione pretendevo che anche i personaggi umani fossero inclusi nella confezione. Cosa impossibile da fare, tranne rarissimi casi (il giocattolo di Gordian, quello - orribile - di Voltron in versione americana). Takara pensa proprio a questo quando inventa i Dianauti, ovvero dei piccolissimi personaggi (alti anche meno di due centimetri) dai piedi calamitati, che prendevano posto all'interno di robot più o meno grandi. Questi ultimi
dapprima esordiscono come copie un po' più tozze dei Microman, poi cominciano a evolversi seguendo i canoni classici dei robot giapponesi: forme squadrate, teste piene di "punte" e via dicendo. A questo punto c'è una prima svolta nei piani dell'azienda giapponese: la novità del rapporto pilota/robot conquista il pubblico e ne incontra i favori, determinando la nascita della linea "Diaclone". Con i Microman messi decisamente in ombra, Takara inventa un nuovo mondo per i suoi Dianauti, ricco di robot più belli e trasformabili, accompagnati dall'enorme Diaclone (che dà il nome alla serie). Alto qualcosa come sessanta centimetri, Diaclone si distingueva dalle versioni "plasticose" dei vari Great Mazinger e Goldrake per una maggiore cura per i dettagli e per le sue possibilità trasformative (diventava una base o un gigantesco mezzo d'assalto). Nel pieno rispetto della filosofia del "pilota", questo robot ospitava nel suo torace una vera e propria centrale di comando per Dianauti (numerosissimi), che potevano andare e venire in modalità base grazie a una serie di nastri metallici.
Car Robot
Dopo aver realizzato navicelle, mezzi corazzati, basi e quant'altro, Takara decide di provare a creare qualcosa di più vicino al mondo reale, magari coinvolgendo nel suo business anche i collezionisti di automobili in miniatura. È proprio così che nascono i Car Robot, ovvero una serie di sofisticati robot che si trasformano in automobili e viceversa, prendendo il proprio nome da quello della macchina che diventano. Pensati come un gruppo, questi personaggi hanno come leader il massiccio Convoy, un robot che si trasforma in camion con tanto di rimorchio e che si unisce a esso per trasformarsi in un robot più grande. Questi nuovi modelli, sempre prodotti per la linea Diaclone, vengono importati in Italia in confezioni del
tutto simili a quelle giapponesi. In ogni confezione è incluso un Dianauta, ai cui piedi ormai non è più presente alcuna calamita, vista la mancanza di nuovi impieghi in questo ambito. Ad ogni modo, i minuscoli omini dispongono di una loro postazione all'interno di ognuno dei robot, pur senza alcun rispetto per le proporzioni. Il successo della serie spinge Hasbro, distributore e produttore di giocattoli per gli States, a cercare il modo migliore per lanciare gli stessi prodotti in America. Gli americani non avevano una cultura "robotica" come quella dei giapponesi o della maggior parte degli europei, dunque i Car Robot andavano promossi con uno show televisivo e dei fumetti. La Marvel si occupa di entrambe le cose: crea una storia per l'anime (realizzato da giapponesi, naturalmente) e un'altra, molto diversa, per i comics. Convoy diventa quindi "Optimus Prime" (in Italia "Commander"), leader dei pacifici Autobot, proveniente dal pianeta Cybertron (un mondo popolato da macchine senzienti) e in guerra contro i malvagi Decepticon. È il 1984 quando il giocattolo di Optimus Prime, una versione rimaneggiata del giapponese Convoy (con il rimorchio diverso, che diventa una postazione anziché un robot) arriva nei toy store americani. E vende come il pane.
More than meets the eye!
In perfetta simbiosi con lo show televisivo, che svolge il compito di introdurre nuovi personaggi che poi vengono regolarmente messi in vendita, la linea dei Transformers si trasforma (appunto) in un affare di proporzioni enormi. Tutti i vecchi "Car Robot" vengono riproposti in una nuova veste, con una nuova confezione e... senza Dianauta. Sul retro del box di ogni robot è possibile leggere (tramite un semplice visore di plastica rosso) le sue caratteristiche espresse in numeri. Esaurite le "riproposte" (tema oltremodo ricorrente nella linea, come vedremo in seguito), Takara comincia a produrre nuovi Transformers seguendo la logica della serie animata, oltre a quella di mercato: sparisce del tutto il metallo in favore della semplice plastica. I nuovi Transformers fanno spesso parte dei cosiddetti "merge group", ovvero gruppi di robot (generalmente cinque)
che possono combinarsi per diventare un robot più grande. L'idea è azzeccata, e la serie continua a riscuotere successo fino a incontrare, come sempre accade, una fase calante. Tra gli ultimi Transformers della "prima generazione" commercializzati in Italia c'è l'enorme Predaking, ovvero l'unico robot gigante formato da cinque elementi della medesima statura. Costosissimo nel suo "gift set" (disponibile solo in Giappone e USA), il prodotto viene venduto nelle cinque confezioni separate in Italia e passa quasi inosservato. Colpa della serie animata, che non presenta il pur valido personaggio e si conclude con un film in cui Autobot e Decepticon devono unirsi per affrontare la minaccia di Unicron, un robot talmente grande da trasformarsi in un piccolo pianeta e intenzionato a distruggere la Terra. Il lungometraggio ha il merito di introdurre i protagonisti della seconda serie animata (il nuovo leader degli Autobot, Rodimus Prime - in Italia "Captain" - e il rinnovato Megatron/Galvatron), che però non ottiene il successo della precedente, probabilmente per l'ambientazione futuristica e la mancanza di carisma dei nuovi personaggi.
Autorobot, ridimensionatevi!
La seconda serie animata dei Transformers fa solo un'apparizione fugace, in Italia. La conseguenza è che alcuni giocattoli a essa correlati non vengono affatto distribuiti qui da noi, e si riprende solo con l'enorme Scorpion, ovvero con la terza serie animata. Anche negli USA e in Giappone i nuovi Transformers non incontrano i favori del pubblico, a parte il già citato Predaking, confermando la teoria secondo cui un giocattolo deve necessariamente essere "spinto" da un (valido) cartone animato o viceversa. Con la terza serie dei Transformers vengono introdotti gli HeadMasters, ovvero veicoli che si trasformano in robot (e fin qui ci siamo), mentre i relativi piloti cyborg ne diventano la testa. Ovviamente Takara si ispira a
Jeeg robot d'acciaio per l'idea, che funziona alla grande e vede il ritorno dei Transformers anche in Italia. Il capo degli Autobot è ora Fortress Maximus, ovvero un HeadMaster "doppio" (un piccolissimo ometto diventa la testa di un robot, che a sua volta diventa la testa di un robot alto circa sessanta centimetri - mai arrivato qui da noi, probabilmente per il costo proibitivo), diretto rivale del nuovo capo dei Decepticon, Scorpion. La serie è molto più "giapponese" delle altre, e per questo motivo perde gran parte del proprio fascino. A questo c'è da aggiungere una pessima versione italiana, soprattutto per quanto concerne il doppiaggio: non c'è da stupirsi che la quarta e ultima serie animata dei Transformers (almeno per quanto concerne la nostra penisola) sia stata trasmessa per puro caso e una volta sola. Nonostante tutto, i giocattoli continuano a uscire e vengono proposti i nuovi Pretenders, ovvero umanoidi al cui interno si celano dei robot trasformabili: idea carina, ma applicata in modo pessimo e senza nulla a suo supporto. Fine della storia.
Ristampa bestia.
Dopo aver provato inutilmente a rinnovare la serie introducendo i Microtransformers, nei primi anni '90 Hasbro cerca di proporre una versione "alternativa" dei primi Transformers e al contempo ripropone gli originali cambiandone i colori e dotandoli di apparecchi con luci e suoni. Al contempo viene replicata la prima serie animata, arricchita da semplici elementi in computer grafica. L'operazione non riscuote il successo sperato e si limita a fare da apripista per l'ultima linea originale: Beast Wars Transformers. Ambientata nella
preistoria, Beast Wars viene supportata da una serie animata completamente realizzata in computer grafica e arriva anche in Italia. Di certo non riscuote il successo degli anni '80, ma stravolge davvero il mondo dei Transformers. I personaggi non diventano più veicoli e viceversa, bensì animali preistorici e non, contraddistinti da uno stile completamente diverso da quello adottato in precedenza: forme arrotondate e "umanoidi" anziché robotiche e squadrate, numerosi punti di snodo, trasformazioni... difficilissime da mettere in atto. Impossibile effettuarle senza far riferimento al manuale delle istruzioni. Beast Wars Transformers è l'ultima linea di giocattoli a essere importata negli USA e in Europa. Per rivedere i robot trasformabili, si dovrà aspettare qualche anno...
La rivoluzione del 2000
Esaurita la vena "bestiale" della linea Transformers, Takara decide di ripartire dall'inizio e di approfittare dell'evoluzione tecnologica per realizzare dei prodotti che fossero all'altezza delle aspettative non solo dei nuovi appassionati, ma anche dei vecchi nostalgici. Nascono così i Transformers 2000: di nuovo Autobot (Cybertron, in questo caso) contro Decepticon (Destronger), ma con tematiche differenti per quanto concerne le trasformazioni. I primi diventano normali veicoli e i secondi bestie, ma con varie caratteristiche extra pescate dalle idee migliori sviluppate in passato. Prendiamo i leader delle due fazioni, ad esempio:
Super Fire Convoy si trasforma da camion dei pompieri a robot, e può combinarsi con la parte posteriore del veicolo per diventare un robot più grande. Addirittura la sua versione "extra large" può a sua volta combinarsi con un altro robot della serie (God Magnus) per diventare ancora più grosso... Dall'altra parte, Gigatron si trasforma in sei modi diversi. La caratteristica più interessante dei Transformers 2000 è l'impegno dei designer a rendere i vari robot credibili e dettagliati sia nella loro forma umanoide, sia in quella di veicolo, diversamente da quanto accadeva in passato per ovvi limiti tecnici. Questa accuratezza ha però delle conseguenze negative, in quanto le trasformazioni sono spesso complicatissime da effettuare e l'estrema snodabilità dei personaggi rende le cose ancora più difficili. È forse questo fattore a determinare lo scarso successo della linea in Occidente, insieme anche alla discutibile scelta di utilizzare materiali diversi (e scadenti) per i mercati non giapponesi. Preso atto del risultato, Takara cambia rotta dopo qualche tempo e crea la linea Transformers Armada. L'idea è di riscrivere nuovamente la storia dei Transformers, introducendo i Mini-con (variante dei vecchi HeadMaster) e modificando tutti i vecchi Autobot e Decepticon. In realtà idee originali non ce ne sono e la realizzazione tecnica dei giocattoli è nettamente inferiore rispetto ai Transformers 2000, ma da un lato i comics della Dreamwave, dall'altro una nuova serie animata (in dirittura d'arrivo anche in Italia) decretano il successo della linea. In quest'ottica, il promettente videogame per PS2 tratto proprio dalla serie Transformers Armada non fa che confermare il successo di quest'ultima incarnazione dei Car Robot.
I fumetti
La Marvel, come ho scritto in precedenza, si occupa della sceneggiatura delle prime due serie animate dei Transformers ma al contempo realizza una collana a fumetti in cui offre una versione alternativa (e piuttosto incasinata, in verità) delle vicende di Autobot e Decepticon. Contraddistinti da alti e bassi (bassissimi, anzi), i comics dei Transformers partono con storie degne di nota e invenzioni originali per poi perdersi per strada, gettando nella mischia innumerevoli personaggi senza dare alcuna spiegazione della loro origine. Parallelamente, la divisione inglese della Marvel crea a sua volta una storia alternativa,
si dice più "drammatica" che non movimentata. I fumetti americani vengono tradotti in Italia da Play Press (oggi sono praticamente introvabili) e godono di fortune alterne, insieme ai comics tratti da altre serie animate in voga negli USA (G.I. Joe su tutte). L'idea di realizzare dei nuovi fumetti è molto recente e fa parte di un generale revival dei Transformers che ha coinvolto un po' tutto il mondo. I fumetti Dreamwave godono attualmente di una versione italiana grazie alla Panini, e sono contraddistinti da disegni assolutamente eccezionali per quanto concerne i robot, nonché da storie più "adulte" e moderne. Un mix che funziona, stando alle classifiche di vendita USA, di cui i Transformers sono nuovamente protagonisti. In Giappone vengono realizzati anche diversi manga ispirati alla serie, che però non spiccano per la loro qualità e non varcano i confini nipponici. Una chiara dimostrazione di come i Transformers siano frutto di un mix di idee giapponesi e americane.
I videogame
Una serie come quella dei Transformers non poteva non godere di qualche trasposizione videoludica. La legge dei tie-in, però, è crudele: di tutti i titoli realizzati solo l'ultimo in ordine cronologico risulta essere un prodotto di qualità. Si comincia nel 1986 con Transformers per Commodore 64: sulle indimenticabili note della sigla, si sceglie uno degli Autobot disponibili e si esplorano livelli rappresentati graficamente da una serie di piattaforme, fondamentalmente alla ricerca di nemici. Poi il nulla: è incredibile a dirsi, ma non vengono prodotti tie-in dei Transformers fino
alla nascita della serie Beast Wars. I giochi in questione, sviluppati per PC, Nintendo 64 e PSone, sono dei picchiaduro a incontri caratterizzati da una scarsa realizzazione tecnica e dalla mancanza di mordente. Ben diverso è il discorso riguardante l'imminente Transformers Armada - Prelude to Energon (successivamente rinominato nel semplice "Transformers") per PS2. Si tratta di un action game che unisce una realizzazione tecnica eccellente a un mix di elementi action, stealth e strategici. Al comando di un Autobot a scelta tra il potente Optimus Prime, il veloce Hot Shot o lo scaltro Red Alert, bisogna esplorare enormi livelli alla ricerca dei Mini-Con, grazie ai quali i Transformers acquistano una miriade di nuove capacità.
Il futuro
Dopo aver portato ai propri limiti la serie Transformers Armada, introducendo nuovi giocattoli e più complesse trasformazioni, Takara ha introdotto i nuovissimi Transformers Alternators. Gli
sviluppi della serie non si fermano qui, dunque: si persegue nuovamente la creazione di un prodotto perfetto, innovativo quanto i primi Diaclone in un mercato dalle sorti alterne, in cui bisogna necessariamente fare centro per vendere. Nel frattempo, in Giappone si festeggia il ventesimo anniversario del franchise con una nuovissima linea per collezionisti, realizzata in collaborazione con i creatori della famosa serie Bandai "Soul of Chogokin". Il primo modello a uscire è il Master Piece Convoy, ovvero una versione virtualmente perfetta di Optimus Prime: alto il triplo della sua versione '84, completamente snodabile e fedelissimo alla prima serie animata. A seguire, i remake degli altri Autobot... una vera gioia per appassionati di lunga data.