Con 28 milioni di giocatori unici al mese e un circuito esportivo globale che va dai tornei amatoriali fino ai campionati mondiali con milioni di dollari di montepremi, passando per i circuiti universitari, VALORANT si è ritagliato un posto nell'olimpo degli sparatutto tattici. Questi risultati non erano affatto scontati quando è stato lanciato, tantomeno in fase di sviluppo, visto che i suoi autori puntavano a risolvere molti dei problemi che affliggevano la scena dei tac-shooter con un prodotto che avrebbe avuto bisogno di almeno quattro anni di incubazione.
Durante il Lucca Comics and Games abbiamo avuto la possibilità di intervistare Arnar Hrafn Gylfason, product lead di VALORANT, per parlare con lui di come è nato il gioco, di come è cresciuto e di quali sono gli ostacoli da superare dovendolo guidare verso un futuro sempre più competitivo. Il suo curriculum videoludico è la storia di ogni appassionato che, iniziando come tester al controllo qualità, è arrivato a dirigere uno degli sparatutto più popolari del pianeta. "Io videogioco da sempre, da quando avevo cinque o sei anni" ci ha detto.
"I miei primi titoli sono stati Railroad Tycoon, Civilization su Mac e il primo Football Manager (con il Liverpool). Quando ho iniziato il mio viaggio nel gaming, sono nato e cresciuto in Islanda, non pensavo che questo potesse diventare la mia occupazione, ma dopo tante ricerche mi sono imbattuto in un annuncio di lavoro di CCP Games, lo studio di Eve Online, l'unico sviluppatore del paese".
Dopo aver fatto domanda come tester e senza sapere nulla di come si crea un videogioco, Gylfason ha iniziato a muovere i suoi primi passi e già dopo qualche anno ha iniziato ad occuparsi di game design e poi, dopo tanta esperienza, di produzione. "Per me è qualcosa di magico riuscire a mettere insieme tante persone per creare un videogioco. Questa è la filosofia che mi ha guidato quando sono passato a Riot prima su League of Legends e poi su VALORANT".
Dove volevamo che fosse
VALORANT non è un progetto nato da un giorno all'altro. Viste le sue similitudini con altri capisaldi del genere sparatutto come Counter-Strike o Overwatch, si potrebbe pensare che sia stato pensato come mossa commerciale e messo in piedi in un paio d'anni. Al contrario, ce ne sono voluti quattro per portare il titolo dalla fase embrionale alla beta nel 2020; una finestra di lancio in periodo davvero complicato. "Quando abbiamo lanciato VALORANT non riuscivamo a pensare al suo futuro perché eravamo in un momento di incertezza tale (era il periodo dei primi lockdown) che non sapevamo cosa sarebbe successo da lì a sei mesi. Ci abbiamo lavorato per anni e anni, non sapendo come la comunità degli sparatutto tattici avrebbe reagito, se ci avrebbe accolto, se gliene fosse fregato un c***o, per usare un francesismo (ride)".
Nonostante la partenza movimentata, con eventi cancellati e problemi di tutti i tipi, Gylfason si dice soddisfatto del gioco che ha messo tra le mani degli appassionati: "VALORANT ha sorpassato le nostre aspettative più rosee in termini di traguardi raggiungibili e raggiunti. Questo, però, ha creato molte nuove aspettative per il suo futuro visto il nuovo pubblico che si è avvicinando al genere grazie a noi. VALORANT ha moltissimi utenti donne che hanno trovato nella sua atmosfera e nel suo gameplay il titolo di cui erano alla ricerca. Inoltre adesso abbiamo debuttato anche in Cina. Gli sparatutto tattici sono un genere che non si pubblicizza, quindi il nostro obiettivo è usare VALORANT per raggiungere tutti coloro che in uno sparatutto tattico sarebbero a loro agio, ma ancora non lo sanno".
Cambiare filosofia
Gylfason e il suo team hanno avuto sempre un grande obiettivo, sia in fase di creazione, sia adesso che il gioco si sta evolvendo nel tempo: sviluppare un'identità propria rispetto a quella di League of Legends. "I benefici dell'arrivare da LoL sono stati molti: avevamo tanta esperienza con prodotti iper-competitivi e molte persone qualificate in materia. Poi è merito del team di LoL se abbiamo l'infrastruttura globale che abbiamo. Ci sono, però, anche dei malus: spesso, ancora oggi, dobbiamo fare un'opera di separazione, distaccandoci dalla filosofia di gioco di League e dal suo modo di progettare il gameplay. Ogni volta che ci mettiamo a creare ci dobbiamo assicurare di stare percorrendo la nostra strada senza chiederci 'ma cosa farebbe il League Team?'"
Con questo distacco, vista anche e soprattutto la visuale in prima persona, è nata anche una nuova filosofia di progettazione per quanto riguarda i due pilastri portanti di VALORANT: gli agenti e le mappe. Gylfason ci ha detto che questi contenuti "devono essere aspirazionali: i giocatori devono poter aspirare a diventare come gli agenti che gli piacciono e devono poter aspirare a vivere in luoghi futuristici come quelli in cui ambientiamo le mappe, magari con un po' meno elementi distopici come su Bind". Questo approccio si riflette in ogni aspetto del prodotto: dai vestiti degli agenti alla musica che ascoltano, dalla loro personalità alla loro storia in relazione ai luoghi in cui sono ambientate le mappe. Questo "crea un rapporto personale tra il giocatore e il suo personaggio preferito e crea un senso di comunità di cui siamo particolarmente orgogliosi".
Ogni nuovo agente è il pezzo di un puzzle
Quando il gioco è stato mostrato per la prima volta al decimo anniversario di LoL, Gylfason ricorda le parole di alcuni streamer presenti che hanno detto "aspetta un attimo, questo gioco non è ambientato nell'universo di League, è uno shooter che ha anche un wallhack? E la resurrezione!?" Quello stupore è stato un segnale importante per gli sviluppatori perché, continua il product lead di VALORANT, "lì abbiamo capito di aver raggiunto uno dei nostri obiettivi ovvero stravolgere le aspettative su quello che avrebbe dovuto esserci nel gioco".
In quel momento è emersa anche la stratificazione che gli sviluppatori hanno voluto inserire in VALORANT dando così tante abilità ad ogni singolo personaggio. "Ogni round è un enigma che può essere risolto in dozzine di modi. I giocatori devono chiedersi in ogni momento cosa succede, dove sono le informazioni, dove non ci sono e quali sacrifici la squadra è disposta a fare per comprendere la situazione; questi sono tutti problemi di gioco che ogni agente risolve in modo diverso. Ogni nuova abilità è il pezzo di un puzzle che deve insieme sorprendere chi gioca e incastrarsi con tutti gli altri. Ogni cosa che aggiungiamo deve essere una variabile di cui devono tenere conto tanto gli attaccanti quanto i difensori".
Visto il suo recente debutto (con relativa controversia) non potevamo non chiedere come il nuovo agente Iso si incastrasse nel puzzle che ci era appena stato descritto, Gylfason ci ha risposto così: "Il nostro nuovo agente Iso è la manifestazione dell'iper aggressione, è il fragger per eccellenza. È un duellante estremamente aggressivo tutto incentrato sull'isolamento degli avversari. Iso è diminutivo di isolare e il suo obiettivo è eliminare i nemici uno dopo l'altro. Una delle cose a cui VALORANT aspira è di creare personaggi in cui è possibile immedesimarsi, vogliamo rappresentare quante più persone nel mondo possibile. Abbiamo appena inaugurato i server in Cina, per questo abbiamo voluto far sentire rappresentati i giocatori cinesi. Con lo stile artistico di Iso abbiamo voluto mostrare un lato della Cina forse poco conosciuto e più giovane: parliamo di street style, cultura e rappresentazione".
Il rapporto con la community
Come tutti i videogiochi live service, anche VALORANT ha un rapporto burrascoso con la sua community, a volte per l'intervento tardivo degli sviluppatori nella risoluzione di un problema, a volte per la correzione di un aspetto che ai giocatori piaceva com'era, ma che non rientrava nella visione della casa madre. Il recente depotenziamento del fucile a pompa Judge, per esempio, è stato dettato dal fatto che nelle parole di Gylfason "con Raze e a Jett potevi correre con due Judge in mano e ignorare tutta la parte tattica del gameplay e questo non rientra nella nostra visione".
Il conflitto è frequente, soprattutto con i più appassionati della sfera competitiva: "la community a volte è in disaccordo e spesso ci scontriamo, a volte siamo noi a sbagliare e quando succede torniamo indietro. Spesso, però, l'errore che causa il contrasto è nella comunicazione del cambiamento. Essere trasparenti sulla nostra direzione è fondamentale perché così, anche se i giocatori sono in disaccordo con i nostri obiettivi, almeno ne comprendono il perché: glielo dobbiamo perché così capiscono che problema dobbiamo risolvere o quale opportunità stiamo cercando di sfruttare".
VALORANT ha un percorso di sviluppo inesorabile e inarrestabile visti i traguardi e le scadenze che si è imposto, ma questo non impedisce agli sviluppatori di prendersi del tempo per sé in compagnia del gioco, sia a livello casual che competitivo. Nel caso vi stiate chiedendo se solo voi beccate delle Raze che hanno solo voglia di sparare e fare casino, sappiate che non c'è scampo perché persino il product lead di VALORANT è una di loro: "Il mio agente preferito in assoluto è Raze, la uso da quando era un prototipo, entro nel territorio nemico tirando le bombe e muoio subito, mi diverto un sacco, ma non sono molto utile alla squadra. Sova è quello che dovrei giocare, sono molto bravo e lo uso quando sono particolarmente competitivo e all'interno di Rumble, una gara molto agguerrita che abbiamo internamente a Riot. Quando mi metto d'impegno i risultati si vedono: abbiamo vinto quel torneo".
Prima di salutare Arnar Hrafn Gylfason non potevamo non chiedergli se VALORANT avrebbe mai visto un agente italiano visto che la mappa dedicata a Venezia è stata una delle prime ambientazioni create. "Perché no?" ci ha risposto "Un agente italiano non è ancora in programma. Abbiamo già stabilito le nazionalità dei prossimi due, ma dopo chi sa? Un agente italiano è certamente una possibilità in futuro, ma non mi sbilancerò sul quando".