Nel caso non l'abbiate fatto, vi invitiamo a dare un'occhiata al video promozionale pubblicato da Activision e Sony per promuovere il Call of Duty Italian Video Challenge, dove vediamo l'onnipresente Belen alle prese con un'improbabile chiamata alle armi per i giocatori del nuovo capitolo dello sparatutto su PlayStation 4. "Sono una ragazza a cui piacciono le sfide epiche e divertenti", dice la celebre soubrette infilata in un elegante vestito nero con alle spalle scene di guerra e distruzione, e la risata è francamente difficile da contenere.
La scelta del testimonial in questo caso sembra talmente fuori luogo da far pensare a una sorta di strategia inversa da parte di un publisher comunque esperto come Activision Blizzard, tanto da far riflettere sulla possibilità che si sia trattato di una deliberata volontà di far chiacchierare, nel bene o nel male, del gioco in questione, che peraltro era stato già al centro di ampie discussioni all'epoca del primo trailer di presentazione, con reazioni non proprio entusiaste da parte di gran parte del pubblico.
Intendiamoci, non è la prima volta che si utilizzano testimonial "d'eccezione" per promuovere un videogioco, e anzi proprio Call of Duty ha una lunghissima storia di scelte effettuate in questo senso e in effetti, anche nello specifico, di belle donne prestate alla promozione dei vari capitoli. Tuttavia, la presenza di Megan Fox, Cara Delevingne e Emily Ratajkowski avevano ben altro senso all'interno del contesto in cui erano inserite, in spot girati dal vivo che giocavano sulla confusione tra piano reale e sogno a occhi aperti. Il video promozionale con Belen ricorda invece piuttosto una delle celebri pubblicità dei libri di Alfonso Luigi Marra, con la showgirl tanto bella quanto assolutamente fuori luogo alle prese con la promozione di un evento competitivo incentrato su Call of Duty. Certo la produzione a budget evidentemente limitato contribuisce di sicuro a questa impressione, ma è proprio la scelta del soggetto, con tutti i significati che si porta dietro, a farci storcere il naso.
La "semiotica di Belen" sembrerebbe essere il problema qui, e si apre la discussione su una certa arretratezza riscontrabile spesso nel modo in cui i prodotti videoludici, o le iniziative a questi legate, vengono promosse davanti al pubblico di massa. La legge universale della seduzione a ogni livello è alla base del marketing e l'utilizzo di sex symbol per diffondere altri oggetti del desiderio è una delle regole fondamentali della comunicazione pubblicitaria, tuttavia in casi come questo si genera una sorta di cortocircuito a causa dei significati di cui il soggetto è caricato.
Non si può pretendere di utilizzare semplicemente la showgirl del momento per promuovere un prodotto così settoriale come un videogioco, tanto più se si tratta di un evento specifico dedicato agli appassionati più esperti e "hardcore". Non per nulla i testimonial di questo tipo hanno funzionato benissimo nel pubblicizzare oggetti che si rivolgevano a un pubblico più variegato: Giorgio Panariello nelle pubblicità di Wii o Nicole Kidman con Brain Training hanno avuto ottimi riscontri per Nintendo, ma i prodotti avevano in quel caso un respiro più ampio e una pubblicità di carattere più popolare, finanche nazional-popolare come nel caso del comico toscano, vi si associa perfettamente. Si tratta però di casi rari che confermano come l'applicazione di certi principi e personaggi non sia semplice all'interno del vasto universo videoludico e rischia di diventare anzi facilmente goffa, facendo pensare come la ricerca di un soggetto estremamente popolare sembri più un tentativo maldestro di strappare il videogioco dalla sua cerchia di "nerd" e lanciarlo in pasto al pubblico di massa.
Da una parte però tutto questo assume un fascino romantico: il video con Belen, facendo le dovute proporzioni, fa tornare alla mente i tempi gloriosi di Jerry Calà e Walter Zenga con Sega o il primissimo Jovanotti con il NES. Proprio per il suo essere espressione diretta di una difficoltà di posizionamento che i videogiochi continuano evidentemente ad avere nel mercato pubblicitario italiano, l'approccio naif al "testimonial d'eccezione", se non altro, riaccende la nostalgia.