World of Warcraft, in un certo senso, ha anticipato alcuni aspetti della pandemia da Coronavirus con il celebre caso del Corrupted Blood, che sconvolse il gioco e la community ormai una quindicina di anni fa, mostrando alcune impressionanti coincidenze con alcune caratteristiche dell'attuale pandemia reale.
Inaspettatamente, World of Warcraft è diventato un vero e proprio case study nell'ambito delle pandemie per aver messo in scena, involontariamente, una versione alquanto realistica, sebbene decisamente catastrofica, di una pandemia. Tutto partì nel settembre 2005 con l'esplosione del caso Corrupted Blood: questo era un debuff speciale causato dal boss Hakkar alla fine del raid Zul'Gurub. L'attacco provocava un calo progressivo della salute dei personaggi fino alla loro morte, ma doveva ovviamente concludersi con l'abbattimento del boss.
Un bug fece però in modo che gli effetti del debuff riemergessero al di fuori dell'evento istanziato: i companion risultavano infatti ancora infetti al di fuori del combattimento con il boss, spargendo la malattia a macchia d'olio a tutti coloro con cui entravano in contatto.
La questione portò a una quantità immane di morti all'interno del gioco, anche perché l'effetto era particolarmente potente e letale sui personaggi di livello più basso, portando Blizzard alla decisione di chiudere i server affetti dal problema e far ripartire il gioco ripulito dal bug.
Di recente, anche l'epidemiologa Nina Fefferman dell'Università del Tennessee è tornata su questo argomento, non tanto per la sua importanza in ambito scientifico quanto per le implicazioni sociali che sono emerse all'epoca in World of Warcraft. I comportamenti dei giocatori e anche di Blizzard hanno infatti delle interessanti concomitanze con quanto succede nelle epidemie vere e quanto stiamo vedendo anche attualmente con la pandemia di coronavirus.
Mentre la malattia dilagava, i giocatori reagivano in maniere diverse: alcuni hanno deciso di allontanarsi dal gioco in attesa che la situazione si risolvesse, assumendo dunque la posizione della quarantena forzata che stiamo vedendo nei paesi in cui viene applicato il lockdown, ma in certi casi i giocatori con personaggi dotati di capacità curative si sono organizzati per cercare di offrire aiuto nel mondo di gioco, anche con la creazione di accampamenti e luoghi per curare i malati.
C'erano poi i curiosi che esploravano il gioco per vedere gli effetti della pandemia, spargendola ulteriormente, mentre altri cercavano riparo nei luoghi più lontani e meno popolati del mondo di gioco. Inoltre, gli NPC gestiti dalla CPU (come i mercanti) risultavano infetti ma continuavano le loro routine standard, agendo un po' come i soggetti asintomatici.
Interessanti anche le reazioni successive all'accaduto: in generale gli utenti si sono molto lamentati con Blizzard per l'incapacità di gestire l'emergenza e per la mancanza di prontezza nell'arginare il diffondersi del bug, anche perché i danni, sebbene ovviamente virtuali e di poco conto, si sono riflessi in certi casi in danni economici, o comunque rilevabili in termini di tempo perso.
Insomma, sebbene la situazione abbia comportato danni ovviamente risibili rispetto a una pandemia reale, si capisce come mai anche un caso come il Corrupted Blood di World of Warcraft sia in un certo senso oggetto di studio anche da parte degli epidemiologi alle prese con l'attuale pandemia da coronavirus.