Mentre tutti guardano con impazienza alla nuova generazione di console, gli utenti PlayStation 3 stanno vivendo quella che è probabilmente una delle annate più ricche per l'attuale piattaforma Sony, e non solo grazie a blockbuster del calibro di The Last of Us, God of War: Ascension e Beyond: Due Anime.
Tra giochi indipendenti e progetti dalle dimensioni contenute, PSN ha visto dallo scorso anno a oggi una serie di esclusive estremamente originali, da Sound Shapes a Journey, da Dragon's Crown a The Unfinished Swan. Fin dalla sua presentazione alla Gamescom dello scorso anno, Rain si è presentato come uno dei tasselli più interessanti di questo mosaico. Rispondendo alla domanda "Quale super potere vorresti avere?", quello dell'invisibilità è probabilmente uno dei più bramati. Dopotutto, chissà in quanti hanno fantasticato almeno una volta sulle azioni maliziose e sugli scherzi che è possibile fare sapendo di non essere visti da nessuno. Eppure in Rain, l'invisibilità non è un dono né una maledizione, ma allo stesso tempo è entrambe le cose. Fin dal momento in cui il ragazzino protagonista mette piede fuori dalla propria cameretta si accorge di questa sua strana condizione: il suo corpo può essere intravisto soltanto quando è bagnato dalla pioggia, ma quando è al coperto è del tutto invisibile. Comincia così una storia malinconica nel tentativo di salvare una bambina inseguita da una imperiosa e sinistra figura, l'Oscuro. Allo scopo di raggiungerla si attraversa così una città deserta, dove è sempre notte e la pioggia non cessa mai.
Rain è una melanconica poesia che ti tiene stretto anche dopo aver spento la console
Trofei PlayStation 3
In maniera decisamente poco originale, Rain permette di sbloccare Trofei man mano che si portano a termine i vari capitoli della storia. Gli ultimi tre si ottengono poi giocando per una seconda volta l'avventura e collezionando le memorie nascoste nelle diverse ambientazioni.
Al chiaro di luna
Per circa tre ore si visitano quartieri desolati, architetture d'ispirazione europea, in una sorta di Parigi fantasma che diventa sempre più estranea e mutevole. Capitolo dopo capitolo si passa da una chiesa abbandonata a un'enorme fabbrica, da un sistema fognario a un piccolo circo, in maniera lineare e senza libertà d'esplorazione, dritti fino alle battute finali, dove l'ambientazione si fa più illogica e irregolare man mano che il giocatore intuisce qual è il segreto dietro a questo mondo piovoso. Peccato che proprio questa grande rivelazione non sia in grado di colpire o sorprendere appieno chi gioca, soprattutto per via di alcuni indizi forse troppo evidenti che vengono dati fin dalla caratteristica introduzione acquerellata e che lasciano il tempo di formulare più di un'ipotesi. Nonostante questo, e nonostante sotto sotto pecchi di poco coraggio, la conclusione di Rain è comunque commovente e d'effetto, in grado di trattare con molta efficacia il contrasto tra luce e oscurità, tra vita e morte. Fin da subito, l'abilità di essere visibili solo sotto la pioggia ha fatto pensare a una grande enfasi sul level design e sul puzzle-solving, ma a dirla tutta il lavoro del designer Tomokazu Ohki si è ridotto a pochi enigmi interessanti.
Il più delle volte ci si ripara sotto una balconata per non essere visti dalle creature nemiche, si salta nelle pozzanghere o si usano degli oggetti per attirare la loro attenzione, ma anche se si muore spesso tra un tentativo e l'altro, l'avventura non accelera mai per livello di sfida e profondità di gioco. L'idea per cui il fango sporca i piedi del ragazzino, rendendolo visibile anche sotto la pioggia, non viene mai davvero sfruttata per sessioni stealth interessanti, mentre l'interazione che c'è tra il protagonista e la bambina non riesce a raggiunge in nessuna occasione quel grado di complessità che si è visto, ad esempio, tra Ico e Yorda. Quando alla scorsa Gamescom di Colonia abbiamo incontrato Yuki Ikeda, il director del gioco ci disse come la sfida più difficile per il team è stata la gestione della telecamera nelle sequenze in cui il personaggio è completamente invisibile. In effetti è ancora possibile notare alcune schermate in cui la navigazione "alla cieca" risulta piuttosto difficile, e forse è stato proprio questo uno dei maggiori limiti al puzzle design, ma nel complesso PlayStation C.A.M.P. è riuscito a confezionare un'esperienza in grado di non disorientare, tant'è che non è mai capitato di morire a causa della telecamera mal posizionata. Ma il vero protagonista di Rain non è uno dei personaggi, non è la pioggia e nemmeno la città, bensì la sensazione di solitudine e incertezza che ora avvolge e ora abbandona il giocatore. Attraverso una miscela fatta di gameplay, sequenze visive e testi a schermo, il gioco di Ikeda riesce a far provare emozioni estremamente forti: il senso di smarrimento in una città aliena e deserta non fa altro che accentuare il desiderio di ricongiungersi a qualcuno, ma il dono dell'invisibilità diventa una maledizione quando tentiamo inutilmente di farci notare dalla bambina.
E quando finalmente smettiamo di essere "bimbi sperduti" e riusciamo a ricongiungerci a lei, il viaggio assume tutto un altro sapore. La città è esattamente la stessa di prima, cupa, desolata e piovosa, ma attraversarla in compagnia di qualcuno aggiunge quasi vivacità allo stile artistico freddo e desaturato scelto dagli autori. Poi tutto ripiomba nel grigiore di prima, e in un'altalena melanconica si sperimenta il disagio dell'abbandono, l'attaccamento irrinunciabile verso qualcuno, la disperazione della perdita e la speranza che prima o poi ci si possa ricongiungere. Rain è una poesia che fa vibrare corde emotive più o meno forti a seconda della sensibilità di chi gioca, e delle esperienze avute con amici, fratelli o con la persona di cui si è stati innamorati, attraverso un tipo di narrazione che ti tiene stretto durante il viaggio e resta con te dopo aver spento la console. In questo, la componente sonora ha un ruolo fondamentale, da un lato col rumore incessante della pioggia, dall'altro con un riadattamento di Clair de Lune che si affianca a una serie di toccanti brani originali.
Conclusioni
Nonostante sia molto più "gioco" rispetto a titoli come To The Moon e Dear Esther, l'esperienza di Rain cambia in maniera simile a seconda della propria sensibilità nei confronti di certe tematiche. Se non ci si lascia catturare dall'atmosfera malinconica e dalla storia dei due protagonisti, quel che resta è un'avventura sufficientemente breve da non annoiare, ma comunque lineare e incapace di offrire enigmi davvero interessanti. Ma dopotutto è lo stesso discorso che facemmo all'uscita di perle del calibro di Journey e The Unfinished Swan, e sebbene sia indubbio che Ikeda e compagni avrebbero potuto spingere un po' di più sulla profondità dei puzzle, è pur vero che Rain rappresenta uno degli ultimi e riusciti tentativi di portare su PSN titoli originali, emozionanti e fuori dagli schemi.
PRO
- Atmosfera e narrazione dolce e toccante
- Ottime scelte artistiche
- Termina prima di diventare ripetitivo
- Meccanica interessante...
CONTRO
- ... ma mai sfruttata efficacemente negli enigmi
- Ci sarebbe piaciuto più audacia nella sequenza finale