I fan di Gundam hanno senz'altro accolto con entusiasmo la notizia dell'uscita di Dynasty Warriors: Gundam Reborn, una sorta di reboot per la serie prodotta da Tecmo Koei e nata come spin-off del celebre franchise Dynasty Warriors. Si tratta di un tie-in che all'esordio ha fatto molto parlare di sé appunto per l'inedito accostamento fra le meccaniche Musou e l'anime creato da Yoshiyuki Tomino, molto caro agli appassionati italiani non solo per via delle sue tematiche, eccezionalmente moderne per i tempi, ma anche e soprattutto per le controversie che ne hanno accompagnato la prima (e, per decenni, unica) trasmissione in Italia, negli anni '80.
Al comando dei più famosi Mobile Suit appartenenti all'Universal Century, il nostro obiettivo nel gioco era molto semplice: eliminare orde di nemici nell'ottica di missioni basate sul controllo del territorio, nella fattispecie la liberazione di specifiche zone della mappa dalla presenza di unità ostili. Operazione che dovevamo eseguire alternando le non tantissime combo a nostra disposizione per falciare gli Zaku, i Dom e le loro varianti, attivando non appena possibile delle devastanti super mosse per sveltire il processo. Una formula perfettamente identica a quella dei Dynasty Warriors tradizionali, e che abbiamo ritrovato praticamente priva di modifiche anche nel secondo e nel terzo episodio della serie, quest'ultimo però forte di una piccola rivoluzione tecnica (l'uso del cel shading per la grafica, decisamente azzeccato) e di una campagna che si basava narrativamente su di una sorta di realtà alternativa, scelta coraggiosa ma di scarsa attrattiva per i puristi. A distanza di tre anni, quando ormai gli sviluppatori di Omega Force sembravano aver detto tutto ed esplorato qualsiasi sfaccettatura dell'accostamento fra Mobile Suit e Musou, ecco Dynasty Warriors: Gundam Reborn, realizzato peraltro in esclusiva per PlayStation 3, a tentare un difficile rilancio.
Doveva essere l'episodio della rinascita, invece Dynasty Warriors: Gundam Reborn è un passo indietro
Nessuno ce la fa
In termini contenutistici c'è ben poco di cui lamentarsi, visto che le due campagne in single player (affrontabili però anche in co-op locale con un amico) di Dynasty Warriors: Gundam Reborn offrono un intrattenimento particolarmente duraturo e pensato espressamente per i fan del Mobile Suit bianco.
Dalla schermata di avvio è infatti possibile accedere all'Official Mode, che include sei differenti storyline basate sugli eventi di "Mobile Suit Gundam", "Mobile Suit Zeta Gundam", "Mobile Suit Gundam: Char's Counterattack", "Mobile Suit Gundam Unicorn", "Mobile Suit Gundam Seed" e "Mobile Suit Gundam Seed Destiny", ognuna con i personaggi e le vicende più importanti, narrate purtroppo attraverso sequenze statiche che non hanno ricevuto una traduzione in italiano (i dialoghi sono in giapponese, i testi in inglese) e che risultano relativamente pesanti da seguire alla lunga. Le missioni incluse in questi pacchetti seguono dunque la trama dei relativi anime e ci mettono ai comandi di Mobile Suit differenti a seconda del caso, con la possibilità di raccogliere sul campo di battaglia una serie di "progetti" utilizzabili per migliorare le caratteristiche dei robot appartenenti alla nostra scuderia, seppure nei termini di un'interfaccia non propriamente intuitiva, che si dilunga inutilmente in selezioni e conferme anziché fornirci un quadro chiaro e semplice dell'upgrade di turno e di come influisca sul funzionamento del robot. Sempre dalla schermata di avvio è inoltre possibile cimentarsi con l'Ultimate Mode, una modalità alternativa che mischia personaggi e trame per proporci una sequenza di stage diversa dal solito, con obiettivi specifici da raggiungere pur senza mettere in campo, però, cambiamenti sostanziali rispetto a quella che è la struttura di base.
Trofei PlayStation 3
Si basano ovviamente sui numeri i trentadue Trofei contenuti in Dynasty Warriors: Gundam Reborn. Al di là di quelli ottenibili completando le varie saghe, la maggior parte degli achievement si ottiene infatti eliminando una certa quantità di avversari, ottenendo una percentuale dei progetti per i Mobile Suit e, per i giocatori davvero pazienti, completando l'Ultimate Mode cinque, dieci e venti volte.
Qualcosa di vecchio e qualcosa di... vecchio
Chi si aspettava da Dynasty Warriors: Gundam Reborn l'introduzione di qualche novità dal punto di vista del gameplay rimarrà purtroppo deluso: la formula è sempre la stessa, il che significa che in ogni livello bisogna eliminare tutti i nemici e ripulire determinate zone della mappa, eventualmente prestando attenzione all'energia dei nostri compagni se la loro sopravvivenza viene posta come un fattore decisivo per il completamento della missione.
Se dunque eravate già abituati ad approcciare gruppi di robot ostili, alternare due o tre combo ed eseguire le special non appena possibile, per poi passare agli avversari successivi, vi sentirete subito a casa, con tutti i pro ma soprattutto i contro di un gameplay che appare immutabile e che in tanti anni non è andato oltre l'aggiunta di un paio di manovre; in questo caso specifico il fuoco caricato, in grado di eliminare qualche nemico con un singolo colpo di fucile, e il "focus", che amplifica per un determinato periodo di tempo le nostre manovre e può essere combinato in modo devastante con la mossa speciale, dando vita a un attacco "di coppia" con il compagno.
Ci si può spostare rapidamente sulla mappa grazie al boost (il cui funzionamento è regolato dall'apposita barra) e ciò rende meno frustrante dover alternare la propria azione da un'estremità all'altra dello scenario, ma la ripetitività di tale impianto è fin troppo evidente e la filosofia alla base delle produzioni Musou, che preferisce orde di avversari quasi completamente passivi a scontri più essenziali e significativi, non è d'aiuto al fine di rendere l'esperienza divertente a lungo. Il che significa che anche stavolta Koei Tecmo si è rivolta unicamente ai fan sfegatati di Gundam, quelli disposti a chiudere un occhio (o magari entrambi) di fronte all'incapacità di rinnovamento di una serie che, con questo nuovo episodio, fa segnare in pratica dei passi indietro anziché in avanti. Il discorso vale in modo particolare per il comparto tecnico, che abbandona l'ottima soluzione del cel shading vista in Dynasty Warriors: Gundam 3 per tornare allo stile dei primi due capitoli, con un gran numero di Mobile Suit sullo schermo, come da tradizione, ma ambientazioni scialbe, desolate, anonime, prive di dettaglio e interattività.
Conclusioni
Doveva essere l'episodio della rinascita, e invece Dynasty Warriors: Gundam Reborn non fa che confermare le mancanze di una serie incapace di rinnovare la propria offerta. Col terzo episodio si era cercato di mescolare un po' le carte dal punto di vista tecnico, utilizzando un'ottima grafica in cel shading che valorizzava il design dei Mobile Suit, ma anziché puntare nuovamente su tale scelta si è deciso di fare marcia indietro, tornando a uno stile tradizionale che però appare ben poco adeguato ai tempi, specie se consideriamo che le console di nuova generazione sono già sul mercato. Il problema grosso del gioco risiede però nel suo gameplay, eccessivamente ripetitivo e privo di sfide interessanti, accompagnato da una struttura corposa che tuttavia risulterà appetibile solo ai fan più irriducibili di Gundam.
PRO
- Due modalità molto corpose
- Ha sempre il suo fascino per i fan
- Tanti Mobile Suit fra cui scegliere
CONTRO
- Gameplay vetusto e ripetitivo
- Graficamente segna un passo indietro
- Privo di qualsiasi localizzazione in italiano