C'è stato un periodo, qualche anno fa, in cui il genere degli sparatutto in prima persona ha disperatamente cercato di ridarsi una dignità guardando al passato. A un certo punto della generazione Xbox 360/PlayStation 3 (e di riflesso anche su PC) le semplificazioni, i limiti e le false promesse di evoluzione di una fetta piuttosto ingombrante della produzioni tripla A hanno seriamente rischiato di rappresentare una strada senza uscita per gli FPS, fino a quando qualcuno non si è ripreso dal torpore e ha cercato di dare una scossa di vitalità, recuperando lo spirito delle origini, grazie a cui tentare un'inversione con cui rifuggire un futuro all'insegna della linearità, gli script e lo scarso spessore negli scontri a fuoco che sembrava ormai scritto. Abbiamo così assistito all'insorgere di un'opposizione, rappresentata in prima istanza da Hard Reset, Serious Sam 3, Duke Nukem Forever, Shadow Warrior, Rise of Triad e altri titoli che, vuoi per reale vocazione, vuoi per opportunismo, si fregiavano orgogliosamente di ispirarsi alla vecchia scuola. Oggi la situazione sembra molto più equilibrata e diversificata, anche in seno alle produzioni di alto profilo (si pensi a Wolfenstein o al nuovo DOOM, che col suo ritorno all'azione senza compromessi rappresenta, ancora una volta, un simbolo dei tempi), per tacere dei progetti indipendenti, dove se ne trovano di ogni. Essere "old school" non è più un richiamo pubblicitario, qualcosa da strillare con così tanto ardore in copertina, eppure ciò non vuol dire che il dichiarato recupero della tradizione abbia esaurito le cose interessanti da dire, anzi.
La nostra recensione di Devil Daggers, sparatutto vecchia scuola con tantissimo carattere
Abisso senza fine
Devil Daggers potrebbe apparire come un vile clone di DOOM, ma in realtà è molto, molto di più. Perché è sì un gioco che si rifà con una riverenza ai limiti del calligrafico al padre putativo del genere e altri classici limitrofi (Heretic), ma è anche un gioco che non sarebbe stato possibile se non nel post-Super Meat Boy, Hotline Miami e volendo anche trip audiovisivi e sensoriali come Dyad.
Insomma, titoli che propongono formule di primo acchito estremamente ostiche, in cui si dura uno sputo di secondi, ma che celano una cura e una profondità delle meccaniche di gioco di tutto rispetto, liete di dischiudersi e farsi scoprire morte dopo morte (dopo morte, dopo morte...), scongiurando la frustrazione grazie alla possibilità di riprovarci istantaneamente. Il titolo dei debuttanti Siloth funziona basandosi sullo stesso principio, applicandolo tuttavia a una struttura ancora più minimalista ed estrema. Perché nel gioco non c'è alcun livello da superare in vista del prossimo, su cui eventualmente tornare per migliorare il proprio punteggio, ma un'unica arena dove affrontare ondate di abomini di ogni genere, che sembrano usciti dall'incubo di una notte di mezza estate del '93 avuto da Adrian Carmack. È come prendere i dieci migliori secondi di DOOM in spazio aperto e proporli in una catena di loop via via più estremi, in cui si viene sbattuti a muso duro, sfracellandoselo, contro l'essenza dello sparare in prima persona: mirare, aguzzare la capacità di predizione, scegliere l'arma più opportuna al momento più opportuno e muoversi. In altre parole ridefinire in continuazione i rapporti di forza in campo tra noi e un male soverchiante. Solo che il male da queste parti è davvero soverchiante, visto che non c'è un'uscita da raggiungere, un boss da sconfiggere o un limite alle orde che ci assaltano senza scampo, da ogni direzione. Il destino è già scritto: alla fine avrà sempre lui la meglio. La differenza è quanto a lungo si dovrà farlo aspettare per avere la nostra pelle. Un successo la cui unità di misura è quella dei secondi, decimillesimi compresi, e che spesso, spessissimo non supererà ordini di grandezza a due cifre. D'altronde stiamo parlando di un titolo che si presenta con un unico achievement Steam che suona come una dichiarazione di intenti piuttosto esplicativa: sopravvivere per almeno 500 secondi. Un obiettivo, tra l'altro, che nel momento in cui scriviamo è stato raggiunto soltanto da 5 dei 16.800 giocatori attivi (dati Steamspy).
Semplicità sopraffina
Devil Daggers potrebbe apparire un semplicistico esercizio di sadismo da parte di alcuni hipster nostalgici, ma per quanto rimanga indubbiamente una delle esperienze più spietate e brutali si possano sperimentare mouse e tastiera alla mano è tutt'altro che un esempio di sperimentazione fine a sé stessa o un prodotto tirato via. Ci sono delle ragioni se come molti in giro per la Rete, tra i forum e le recensioni di Steam e, non ultimo, chi scrive, vi ritroverete a premere compulsivamente R per riprovarci a seguito di un tentativo di pochi secondi, ancora e ancora, salvo poi scoprire che ci state macinando sopra un quantitativo indecente di ore. Il sistema di controllo è di una precisione e di una reattività esemplari, prevedendo anche un set di movimenti avanzati implementati a regola d'arte.
Il bunny hopping, tramite cui solcare con più slancio il pavimento dell'arena, godendo di mobilità extra preziosissima tanto in termini difensivi che offensivi, è calibrato in maniera ammirevole: può essere eseguito a diversi gradi di ritmicità, a cui corrispondono accelerazioni differenti, senza far perdere di continuità ai movimenti, offrendo una sensazione di controllo sui propri passi e sui cambi di direzione, anche in volo, che si contraddistingue per una piacevolezza che ha quasi del "tattile". Lo stesso vale per il rocket jump (o meglio: dagger jump) che, con la giusta dose di pratica, apre le porte anche all'esecuzione di un doppio salto. C'è poi il capitolo armi, riguardo cui si può fare un discorso simile, che finisce per legarsi a doppio filo con l'enemy e il sound design. I pugnali diabolici che danno il nome al gioco possono essere usati a raffica, come una mitraglietta, o a colpo singolo, come un fucile a pompa. Raccogliendo le gemme rosse rilasciate da certi tipi di nemici, tuttavia, si possono potenziare, aumentando via via di efficacia, dando accesso a una sorta di "modalità berserk" con cui tirare brevissimamente il fiato o acquisire una devastante modalità a ricerca. Il punto è che nel delirio che si crea a schermo non sempre è facile recuperare una gemma e queste dopo qualche istante spariscono o posso venire inghiottite da taluni tipi di creature. Il bello è che in realtà le gemme vengono attratte automaticamente dal giocatore, entro certe distanze, ma solo se non si sta sparando. Un perno piccolissimo, di una banalità sconcertante, ma che nel turbinio dell'azione finisce per assumere il valore di un fattore rischio/ricompensa davvero ficcante.
Lo stesso audio è ricco di effetti meticolosamente studiati per aiutare a interpretare meglio cosa sta accadendo, se si pone la dovuta attenzione, permettendo di valutare al volo certe variabili che si pongono come base per quel nugolo di piccole ma determinanti scelte tattiche che influenzano in continuazione lo svolgimento della partita. Bene, nel caso delle gemme un ronzio sordo avvisa che si sta orbitando in una zona dove ce ne sono alcune a terra, suggerendo che si potrebbe rilasciare per qualche istante il tasto sinistro del mouse e attirare a sé il bonus, se ce ne sono le circostanze, o di tentare quantomeno di ritagliarsele. Un altro tipo di suono allerta invece che un nemico ha cambiato stato e ci sta puntando in maniera pericolosamente aggressiva e sarebbe opportuno disimpegnarsi quanto prima da altre minacce per dedicargli la priorità assoluta. Questi sono solo un paio esempi del livello di attenzione riposto in una formula in grado di arrivare a mettere in scena una delle rappresentazioni del caos più scioccanti di sempre in cui però nulla sembra essere stato lasciato al caso. Poco o nulla invece è spiegato, tant'è che meccaniche come queste vanno scoperte con l'esperienza e in molte community si è instaurato uno spirito solidale e collaborativo per certi versi simile a ciò che si vede per i Souls, aumentando l'appeal ermetico ed oscuro che ammanta l'intera produzione, già a partire dall'identità dei suoi autori, avvolta da un mistero che odora di zolfo. Di loro non si sa nulla, se non che sono indubbiamente dotati, anche nell'implementare una funzione che in svariati titoli indipendenti (ma non di rado anche in produzioni multimilionarie...) può rivelarsi rognosetta, specie al lancio, come le classifiche. Devil Daggers le implementa in maniera agile ed efficiente, integrandole pure in-game, permettendo di avere immediato riscontro dei frutti di tutto il sangue che si sta versando sul suo altare, alimentando adeguatamente la foga di superarsi anche per effetto di questa molla comparativa. Non solo: ad esse è associato un comodo sistema di replay, grazie a cui visualizzare la partita di qualsiasi utente, compresi i primi, apparentemente disumani classificati, tramite cui provare a carpire avidamente ogni segreto di questo piccolo ma significativo exploit di inizio 2016.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Processore: Intel Core i5 2500K@4.4 GHz
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 970 OC
- Memoria: 8 GB DDR3 1600MHz
- Sistema operativo: Windows 10 64 bit
Requisiti minimi
- Processore: Dual Core 2.0 GHz
- Scheda Video: GPU discreta con supporto OpenGL 3.3
- Memoria: 1 GB
- Spazio su disco: 400 MB
- Sistema operativo: Windows 7
Conclusioni
Acquistare Devil Daggers è come stipulare un patto col diavolo: ci fa entrare in una dimensione fatta di fascinazioni estetiche ricreate con una sensibilità e una competenza non comuni, piccoli e grandi piaceri del gameplay e momenti di pura esaltazione, salvo accorgerci in un secondo momento di essere caduti in una trappola mefistofelica, che condanna a giocare ancora e ancora, dannandosi per acciuffare miglioramenti delle proprie performance che potrebbero anche non arrivare mai. Leggete per bene le avvertenze e fate i conti con la vostra anima: potrebbero rivelarsi i 5 euro meglio spesi da diverso tempo a questa parte o tra quelli che rimpiangerete più a lungo.
PRO
- Gameplay semplice ma estremamente rifinito
- Caratterizzazione retrò irresistibile
- Spietato ma assuefacente
CONTRO
- Assuefacente ma spietato