Disponibile dal 6 giugno in formato retail, Inner Chains ha fatto il proprio debutto alcuni giorni fa su Steam. Si tratta del titolo d'esordio di Telepaths' Tree, un team indie formato da ex componenti di CD Projekt RED, Epic Games, People Can Fly, Flying Wild Hog e Techland: gente con un certo curriculum, che tuttavia non si è resa conto della mole di problemi e difetti che affliggono il gioco.
Al di là infatti dei numerosi crash segnalati dagli utenti, che per fortuna non abbiamo riscontrato, questo peculiare FPS horror soffre per via di un'intelligenza artificiale mediocre, un'ottimizzazione tecnica praticamente assente, opzioni basilari e, soprattutto, la completa mancanza di rimandi narrativi al di là dell'introduzione cinematica, il che per un prodotto di questo genere non è un difetto da poco. L'unico modo per avere un'idea della trama alla base di Inner Chains è quello di leggere la sinossi sulla sua pagina Steam, tempestata al momento da recensioni negative: in un mondo misterioso, dominato da una raccapricciante tecnologia biomeccanica, una Casta Regnante ha ridotto il popolo in schiavitù imponendo l'adorazione di oscure divinità. Nei panni di una persona comune, veniamo offerti in sacrificio agli dei ma sopravviviamo al rituale e ci ritroviamo a vagare nel sottosuolo, alla ricerca di una via d'uscita dall'incubo.
Quote
Inner Chains indovina il design degli scenari, ma tutto il resto lascia molto a desiderare
Mondo mostro
Immaginiamo che l'obiettivo principale di una produzione indipendente, a maggior ragione considerate le politiche di rimborso offerte da Steam, sia quello di cercare un inizio col botto, una fase preliminare che cali immediatamente il giocatore nell'azione dopo avergli comunicato alcune semplici regole di base.
Inner Chains non fa nulla di tutto ciò, sprecando l'intero primo capitolo di una campagna che dura circa quattro ore a farci girovagare nello scenario in modo tediosamente lento, senza alcuna possibilità di interazione, men che meno di cimentarci con dei combattimenti. Dopo la sequenza del "sacrificio" e qualche deludente scontro a mani nude, minato da una rilevazione delle collisioni a dir poco approssimativa, entriamo finalmente in possesso della nostra prima arma, una sorta di fucile elettrico. Potremo utilizzarlo, facendo attenzione a evitarne il rapido surriscaldamento, per eliminare esseri umani ridotti in zombie lenti e patetici, che si trascinano nella nostra direzione nell'attesa, e forse nella speranza, di essere liberati dalle loro sofferenze. Ben presto l'esperienza rivela la propria anima puzzle, con raccapriccianti interruttori dal volto umano che bisogna attivare per far sì che determinate barriere elettriche si spengano o si accendano, consentendoci di passare e procedere verso la zona successiva, indicata eventualmente dallo svolazzare di polline proveniente da piante disseminate lungo il tragitto, talvolta di fianco a mostruosi checkpoint viventi. Non c'è dubbio, insomma, che la direzione artistica firmata da Tomasz Strzalkowski sfrutti a dovere il "bestiario" derivante dall'evidentissima ispirazione alle opere di Giger, ma tale traguardo rimane purtroppo fine a se stesso, visto che tutto il resto lascia molto a desiderare.
Armi e bagagli
Il mondo di Inner Chains è tanto pericoloso quanto orripilante: in giro per i livelli si trovano piante che attaccano chi gli passa accanto, cloache sui soffitti che rilasciano bombe velenose, enormi molluschi che afferrano dall'alto chi è così stolto da camminare là dove cade la loro bava e grosse uova che racchiudono creature in grado di lanciare letali palle di fuoco.
Si procede dunque lentamente, benché il nostro personaggio possa correre per alcuni tratti, cercando di raggiungere in ogni scenario delle tavole di pietra che sbloccano lettere dell'alfabeto e consentono, a un certo punto, di decifrare il codice che caratterizza tutte le incisioni presenti sui muri. Per trovarle è spesso necessario interfacciarsi con dispositivi, anch'essi biomeccanici e stomachevoli, che ci avvolgono il volto fornendoci la visione di una zona che dobbiamo raggiungere. Dopodiché ci sono i nemici: non solo i patetici zombie di cui abbiamo già parlato, ma anche guardie appartenenti alla Casta Regnante, mutanti, segugi infernali e la tipologia più letale di tutte, i "tank", che vanno eliminati facendo esplodere le bombole che portano sulla schiena oppure cercando di infliggergli un bel po' di colpi. L'approccio al combattimento è ben diverso da quello di sparatutto come DOOM o il classico Painkiller, per rimanere in tema horror: gli avversari sono generalmente pochi e vanno temuti, in quanto capaci di ucciderci con pochi colpi ben assestati. Per recuperare l'energia vitale, segnalata su di un bracciale saldato al polso del protagonista, dovremo fermarci presso appositi dispositivi (sì, anche questi raccapriccianti) che possono essere sfruttati un'unica volta e che rimpinguano la nostra salute, nonché le munizioni di una fra le tre armi che potremo utilizzare nel corso della campagna. Oltre al fucile elettrico, avremo infatti modo di impugnare un lanciafiamme e uno spara-dardi: il primo si pone in assoluto come lo strumento più efficace contro i nemici, che arrostiscono laddove esposti per qualche istante al getto di calore, mentre il secondo torna utile per i tiri di precisione (ad esempio per colpire lo zainetto dei tank), anche se il reticolo quasi invisibile e l'impossibilità di mirare rende tale operazione davvero complicata. Per ogni arma troveremo anche un dispositivo di fuoco alternativo a colpo singolo, rispettivamente una sfera elettromagnetica, una vera e propria palla di fuoco e una sorta di proiettile che sprigiona veleno all'impatto.
Croce sopra
Come accennato in apertura, Inner Chains soffre di evidentissimi problemi per quanto concerne l'intelligenza artificiale dei nemici. Al di là della loro scarsa capacità di individuarci, se non a pochi metri di distanza, gli avversari sono essi stessi soggetti all'attacco delle "piante" che abbiamo descritto, tanto che in determinate situazioni si arriva all'assurdo: basta attendere qualche secondo perché le guardie vengano automaticamente eliminate dalle loro stesse trappole, innescate durante l'immancabile ronda.
Per quanto riguarda i pattern d'attacco, risulta credibile solo quello degli "zombie", in quanto creature prive di intelletto e mosse unicamente dall'istinto, mentre per il resto non si verificano che semplicistiche cariche a testa bassa. Vuoi per la presenza di un buon numero di checkpoint, vuoi per le limitazioni dell'intelligenza artificiale, il grado di sfida del gioco è assolutamente banale e solo nelle fasi finali si incorre in un minimo di tensione, quando magari la nostra energia vitale è stata messa alla prova e le munizioni scarseggiano. Per fortuna, comunque, l'eventualità di ricorrere all'orribile corpo a corpo delle primissime fasi viene scongiurata dalla possibilità di aprire il fuoco anche quando gli indicatori sono a zero, sacrificando un po' di salute. A dare il colpo di grazia al design generale di Inner Chains ci pensa però l'ultimo scontro, un boss fight che sospettiamo sia afflitto da qualche sorta di bug: dopo aver distrutto il primo "hot spot" del nemico, non ci era assolutamente chiaro cosa bisognasse fare per arrecargli ulteriore danno, e così abbiamo provato per diversi minuti a sperimentare inutilmente... finché, saltellando, non siamo riusciti a finire sul muro che ci separava dalla sequenza conclusiva della campagna. Sì, anche quella piuttosto deludente. A tutti i problemi finora elencati si aggiunge il quadro tecnico: sebbene il mondo di gioco abbia un suo perché e offra in determinati momenti qualche scorcio suggestivo, gli asset ci sono sembrati generici, i modelli poligonali datati e la direzione anch'essa molto approssimativa. Pochissime le opzioni disponibili per la grafica, praticamente nessuna per i controlli (la sensibilità non può essere regolata, né sul controller è possibile invertire l'asse Y), ma è l'ottimizzazione che proprio manca: sulla nostra configurazione ci siamo dovuti accontentare di giocare a 30 frame al secondo a 1440p, laddove titoli come Gears of War 4 fanno segnare esattamente il doppio con una grafica a dir poco più complessa.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Processore: Intel Core i5 6600K
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 1070 Jetstream
- Memoria: 16 GB di RAM
- Sistema operativo: Windows 10
Requisiti minimi
- Processore: AMD Phenom II X4, Intel Pentium dual core serie G600
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX serie 700, AMD Radeon HD serie 7700
- Memoria: 4 GB di RAM
- Hard disk: 15 GB di spazio richiesto
- Sistema operativo: Windows 7 SP1, Windows 8.1, Windows 10 a 64 bit
Requisiti consigliati
- Processore: AMD FX serie 8000, Intel Core i3 serie 6000
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 970, AMD Radeon R9 380
- Memoria: 8 GB di RAM
- Hard disk: 15 GB di spazio richiesto
- Sistema operativo: Windows 7 SP1, Windows 8.1, Windows 10 a 64 bit
Conclusioni
Inner Chains è un titolo che ti aspetteresti di trovare in Accesso Anticipato, viste le molteplici problematiche che lo affliggono e un quadro generale carico di mancanze e difetti, che magari gli sviluppatori avrebbero potuto in parte limare con il contributo della community. Il mondo di gioco riesce a essere disturbante come da programma, visti gli evidenti riferimenti alle opere di H.R. Giger, ma tutto il resto non funziona: l'intelligenza artificiale è infima e dà vita a patetiche sequenze di auto-eliminazione da parte dei nemici, la rilevazione delle collisioni è approssimativa a dir poco, ci sono svariati glitch, manca una trama a sostegno dell'esperienza e la direzione sembra del tutto priva di rifinitura. A ciò si aggiunge la scarsissima quantità di opzioni grafiche e per i controlli, nonché un'ottimizzazione tecnica praticamente assente. Che peccato.
PRO
- Mondo di gioco raccapricciante
- Buona atmosfera
- Qualche scorcio suggestivo
CONTRO
- Intelligenza artificiale scarsa
- Approssimativo in ogni aspetto
- Graficamente generico e male ottimizzato