Keiichiro Toyama, senza ombra di dubbio, merita di essere annoverato tra i grandi autori della storia dei videogiochi. D'altro canto, quando si è il director e scrittore di titoli come il primo Silent Hill e i Siren, senza dimenticare i due notevolissimi Gravity Rush, non è certo necessario fare molto altro per divenire un patrimonio culturale vivente del medium, anzi, con un curriculum del genere alle spalle, persino un ritiro dalle scene in grande stile sarebbe più che comprensibile, visto quanto è difficile restare al top in un ambiente in continua trasformazione come quello dell'intrattenimento digitale.
Eppure si sa, le menti creative difficilmente si fermano e poco importano i picchi raggiunti in passato; Toyama si è quindi rimboccato subito le maniche dopo l'abbandono di Sony Interactive e ha deciso di seguire il percorso di molti altri colleghi illustri: fondare un team indipendente. Il nome del nuovo progetto? Bokeh Game Studio, una squadra di sviluppatori creata con il chiaro intento di farsi notare facendo leva sui principali punti di forza del fondatore. Il primo lavoro di Toyama e dei suoi nuovi pargoli, dunque, è un horror di nome Slitterhead, quantomai da tenere d'occhio visto il director alle redini e la curiosa volontà di puntare su un gameplay spettacolare e ricco di azione.
Eppure, mettendo da parte le ottime premesse, le prime impressioni su Slitterhead non sono state tra le più positive: il gioco è parso da subito tecnicamente molto arretrato e il grosso dell'interesse è sempre girato quasi esclusivamente attorno al potenziale della meccanica della possessione dei corpi su cui si basa, perché le prove dirette di rado hanno convinto. E qui entriamo in scena noi, che ci siamo approcciati con grandi speranze alla recensione, convinti che, nonostante le evidenti limitazioni, il gioco potesse offrire se non altro un'esperienza ben più originale e memorabile della media. Ciò che abbiamo trovato ad attenderci, però, è un prodotto la cui creatività non è stata sufficiente a superare le barriere di un comparto tecnico davvero troppo arretrato e un Toyama forse troppo attaccato alle sue glorie passate, che come molti grandi autori non è riuscito a cavalcare a dovere l'onda dell'esperienza. Oggi cercheremo di spiegarvi tutto nel dettaglio, nella nostra immancabile recensione di Slitterhead.
Un protagonista possessivo
La premessa di Slitterhead è, come già accennato, alquanto atipica. Voi non vestite propriamente i panni di un personaggio umano, bensì quelli di uno Hyouki, in pratica una sorta di spirito dotato della capacità di possedere altre creature e di controllarle liberamente come se fossero il proprio corpo. Quando la campagna inizia, il vostro alter ego - poi soprannominato Night Owl - si ritrova a Kowlong (praticamente una fitta area residenziale di Hong Kong) senza alcun ricordo del suo passato e delle sue motivazioni, oltre che minacciato da misteriose creature chiamate Slitterhead, affamate di cervelli, in grado di nascondersi tra la gente, e curiosamente ostili nei suoi confronti per qualche motivo.
Ecco, se notate una premessa già più elaborata di quella della maggior parte degli action in circolazione, non temete, le cose si fanno molto più matte e imprevedibili col passare del tempo. Dietro alle origini di Night Owl e degli Slitterhead ci sono infatti non pochi misteri, e il grosso della trama si dipana grazie al legame del vostro "spirito" con degli specifici individui chiamati Unicum, che mantengono la propria coscienza una volta posseduti e ottengono addirittura dei super poteri quando in simbiosi con lui.
Nel complesso la narrazione non ci è dispiaciuta, perché, nonostante non sia priva di eccessi e incongruenze, risulta piuttosto coinvolgente; inoltre non è male nemmeno la caratterizzazione di parte degli Unicum, che avanza a forza di brevi conversazioni e di eventi durante le missioni. Ciò detto, nonostante gli aspetti positivi appena descritti non mancano anche quelli negativi, legati per lo più alla presentazione generale. I tanti personaggi infatti non sono doppiati, e si esprimono per lo più in una sorta di "simlish" fatto di versi e frasi fatte che rende abbastanza ridicoli certi momenti pensati per esser ben più pieni di Pathos. Inoltre le conversazioni tra Night Owl e gli Unicum avvengono attraverso schermate di dialogo che sembrano prese di peso dall'era PS2, a loro volta un po' troppo basilari per trasmettere realmente l'importanza dei momenti cardine nella trama. Se non altro la creatività e l'art direction del team riescono a fare capolino a tratti, grazie ad alcuni filmati piuttosto riusciti e a un'atmosfera davvero molto dark e inquietante; segnatevi però la questione dei limiti tecnici, perché purtroppo è una mancanza che ha compromesso il gioco in altri aspetti davvero importanti.
One spirit army
Parliamo del gameplay, perché meccanicamente Slitterhead comunque ha un certo guizzo rispetto al resto del genere, proprio per via della capacità di Night Owl di possedere liberamente i corpi delle persone nelle vicinanze accennata a inizio articolo. In pratica voi siete a tutti gli effetti una sorta di spiritello svolazzante, che può controllare corpi umani come se fossero il suo e da lì spostarsi liberamente in un'area circolare nemmeno troppo limitata. Il passaggio è praticamente istantaneo, non richiede barre caricate né risorse di alcun tipo, ma non può essere liberamente fatto su tutti gli individui presenti in una mappa: alcuni non sono "compatibili" con lo spirito e questa cosa viene sfruttata spesso per rendere più ovvia la progressione o limitare il level design. Night Owl conferisce a ogni corpo posseduto maggiore resistenza e la capacità di formare armi di sangue, utilizzabili sia per attaccare gli Slitterhead che per pararsi. La parata, in particolare, è una manovra molto unica in questo titolo, perché è a otto direzioni, ed è possibile eseguire delle difese perfette se si sposta il proprio strumento nella direzione giusta al momento dell'attacco nemico.
Queste parry direzionali non sono assolutamente sottovalutabili: le armi possono sì difendervi dai colpi, ma hanno una resistenza limitata che le parate perfette non consumano affatto; non bastasse, eseguire più parry in serie permette sia di sferrare veloci e potenti contrattacchi che di rallentare il tempo, garantendo di portare avanti la propria offensiva senza particolari limitazioni. All'inizio queste meccaniche possono sembrare superflue, ma andando avanti nel gioco la difficoltà degli avversari sale sensibilmente, e certi scontri sono così brutali da rendere questa meccanica fondamentale per riuscire a danneggiare gli Slitterhead più poderosi. Se siete preoccupati per il livello di sfida eccessivo, comunque, non temete: solo le possessioni "normali" devono far obbligatoriamente uso di queste manovre base, laddove gli Unicum hanno a disposizione una serie di poteri così efficaci da permettere al giocatore di superare bene o male qualunque sfida. Ah, per la cronaca, questi personaggi principali sono anche più numerosi di quanto crediate e tutti molto diversi tra loro per quanto riguarda l'approccio agli scontri.
Eh già, i corpi particolarmente affini alla possessione di Night Owl sono unici di nome e di fatto, dato che non solo hanno armi dedicate, ma possiedono di norma tre abilità speciali, di cui una viene traslata anche ai corpi normali durante la possessione (di norma quella meno poderosa, non si può scegliere quale). La prima Unicum sbloccata è la giovane Julee, una ragazza con capacità curative, artigli rapidissimi e la possibilità di lanciare proiettili di sangue di vario tipo, ma andando avanti i poteri si fanno davvero curiosi, dalla capacità di creare torrette di sangue che attirano i nemici, a quella di evocare intere armate di poveracci da dominare in gruppo per costringerli ad attaccare senza sosta i nemici. Considerando che gli avversari, nella campagna, diventano sempre più numerosi, resistenti e in grado di infliggere molti danni, e che i loro schemi d'attacco variano rendendo difficile abusare della parry, usare strategicamente i poteri degli Unicum diventa fondamentale per non perire, così come molto importante risulta il recupero del sangue e dell'energia usati per le abilità. Il recupero del fluido vitale è tuttavia lento e richiede pozze per terra, mentre quello dell'energia dipende quasi interamente dalle parry riuscite, perciò ogni battaglia diventa una curiosa danza di fasi difensive e offensive, dove a volte si inizia a passare a raffica da un corpo all'altro per attirare l'attenzione dei nemici e trovare delle aperture utili per rigenerare le proprie risorse.
Sulla carta tutto questo è brillante: la possessione in Slitterhead dà forma a tutti gli effetti a un titolo dove sono importanti sia la capacità di utilizzare le manovre fondamentali che l'uso strategico delle proprie abilità in combinazione, anche perché di Unicum se ne possono usare al massimo due durante le missioni. Peccato però che questa idea molto originale, ora della fine, funzioni solo a metà e non basti a sopperire alle mancanze strutturali del gioco. Infatti, se da un lato i poteri sono molto variegati e interessanti, dall'altro la difficoltà è spesso gestita in modo strambo e mal calcolato, e molti combattimenti sono piagati da un'intelligenza artificiale scadente. Rimbecillire un avversario passando a raffica da un corpo all'altro è fin troppo facile - diventa persino abusabile quando si ottengono certe capacità - e, salvo che non usiate certe abilità, le routine comportamentali sia dei posseduti che dei vostri compagni sono praticamente inesistenti, quindi è inutile affidarsi anche solo marginalmente alle loro azioni in battaglia. In più, anche per via di animazioni che lasciano un po' a desiderare e di una limitatezza generale dei sistemi, molto del livello di sfida dipende da colpi ad area, scatti improvvisi, status fastidiosi (se non altro limitabili) o poteri che bypassano le meccaniche difensive offerte, e davanti a questi squilibri anche il giocatore è portato a usare quegli Unicum i cui vantaggi sono nettamente superiori agli altri. Per la cronaca, nel caso non l'aveste ancora intuito, su alcuni poteri gli sviluppatori di Bokeh non si sono regolati: un Unicum specifico chiamato Edo infligge, con uno specifico buff, qualcosa come quattro volte il danno degli altri (scioglie letteralmente certi boss) e utilizzarlo rende pressoché triviali degli scontri che dovrebbero essere molto impegnativi; vi assicuriamo però che alcune combinazioni, e un altro personaggio che non vogliamo svelarvi, sono persino più esagerati. Un gioco con un sistema così furbo avrebbe giovato molto da un bilanciamento generale più ponderato e da un IA migliore; così com'è le battaglie sono comunque piacevoli, ma ben lontane dall'essere esaltanti.
Loop sanguinari
Passiamo alla struttura, dato che abbiamo già precisato come il gioco abbia mancanze strutturali importanti e, dato che il sistema di combattimento non basta a controbilanciarle, è il caso di entrare più nel dettaglio. Innanzitutto, la progressione della campagna di Slitterhead è alquanto particolare: le conversazioni di cui parlavamo prima sono anche il modo per sbloccare buona parte delle missioni affrontabili a Kowlong, il che significa che se non si ottengono tutti gli Unicum è possibile rimanere bloccati finché non si trova quello necessario. Buona parte dei personaggi si trovano quasi automaticamente mentre si avanza, ma alcuni sono abbastanza ben nascosti, e può essere fastidioso capire quando e come recuperarli per andare avanti. Inoltre il gioco è costruito su un loop di viaggi temporali piuttosto peculiare, che porta certe missioni ad essere a tutti gli effetti versioni modificate di quelle precedenti, spesso con nuovi nemici, eventi o passaggi che portano in altre zone della mappa. Questo rende alcune parti della campagna inutilmente ripetitive, dato che certe fasi vanno comunque obbligatoriamente rifatte per arrivare alla nuova "ciccia".
Invero quello della ripetizione delle fasi non è un difetto particolarmente grave: il più delle volte le missioni mutano rapidamente, e non sono comunque così longeve da rappresentare un grave problema. No, il problema principale sta nella ripetitività strutturale delle stesse, dato che molte mappe richiedono di superare delle fasi platform e investigative per trovare obiettivi, o Slitterhead mimetizzati tra gli umani. Questi momenti sono i più noiosi e peggio congegnati del gioco e purtroppo sono numerosi.
L'esplorazione di per sé non è nemmeno malvagia: le abilità di Night Owl gli permettono di spostarsi anche in verticale e salire sui tetti, e nelle varie zone sono nascosti segreti che aumentano i punti abilità dei personaggi e permettono di potenziare le loro abilità oltre a quelli guadagnati normalmente dalle quest principali. Se si considera poi che vi sono pure altari sparsi con difficili boss segreti aggiuntivi, il gioco spinge a esplorare e a completare le missioni senza lasciare nulla al caso. Il problema è appunto che la maggior parte delle mappe sono semplici e lineari, con blocchi evidenti o forzature che obbligano a seguire il percorso primario con ben pochi bivi; questa scelta, oltre a sprecare il notevole potenziale legato alla meccanica della possessione, rende dopo un po' anche le fasi esplorative stancanti. L'inciampo più evidente, tuttavia, crediamo siano gli inseguimenti... questi sono, a tutti gli effetti, corse dietro a Slitterhead che scappano per la città, lasciandosi dietro ostacoli o alleati per fermare la vostra avanzata: rincorrere ed eliminare un nemico (o raggiungere un boss) è abbastanza piacevole le prime volte, ma la cosa viene ripetuta così tanto da diventare irritante e rovinare irrimediabilmente il ritmo generale dell'avventura. Il fatto di poter osservare attraverso gli occhi dei nemici durante una ricerca, per quanto piacevole per i nostalgici di Siren, non migliora la qualità di queste fasi di gioco.
È un vero peccato, perché nel complesso, tra concept brillante e alcune idee davvero interessanti applicate all'endgame e all'avanzamento (che non vogliamo anticiparvi), Slitterhead aveva le carte in regola per potersi ritagliare una nicchia e diventare un mezzo cult. Ora della fine, però, la mancanza di risorse ha chiaramente influenzato la produzione in modo negativo, impedendo agli sviluppatori di sperimentare più di tanto con la meccanica della possessione.
Indietro nel tempo
E qui è il momento in cui bisogna davvero parlare del comparto tecnico, perché già abbiamo parlato dell'assenza di doppiaggio, di quanto "vecchi" sembrino alcuni intermezzi, e di quanto limitata sia l'intelligenza artificiale, ma questo è niente se poi si va ad analizzare la grafica del gioco. Siamo letteralmente davanti a un titolo con personaggi e animazioni così arretrati da sembrare appartenente all'era PS3, e la nostra non è un'esagerazione. Non è nemmeno una questione legata a una volontaria scelta estetica: i modelli dei personaggi principali sono abbastanza accettabili, ma quelli dei cittadini comuni di Kowlong sono generalmente tremendi e completamente privi di animazioni facciali (cosa che si ritrova spesso anche in personaggi importanti nei filmati di intermezzo), le ambientazioni poi non sono molto meglio. Non bastasse, il gioco non riesce a renderizzare un gran numero di modelli a schermo, né a gestire un'intelligenza artificiale in grado di farli spostare nelle zone di battaglia, quindi sia gli Unicum che i corpi da possedere si limitano a comparire dal nulla dopo un po' di tempo. È un altro effetto piuttosto ilare, che indebolisce ulteriormente l'atmosfera opprimente che il gioco cerca costantemente di trasmettere.
Ora, è chiaro che non si tratta di cose facili da fare per un team piccolo in poco tempo, ma questo livello tecnico, unito alle mancanze strutturali e di design di cui parlavamo prima, dà l'impressione che i ragazzi di Bokeh Studio abbiano dovuto correre e tagliare molti ponti per far uscire un titolo giocabile in così poco tempo; la peculiare struttura "a loop" che riutilizza costantemente le stesse mappe non fa che aumentare ulteriormente i nostri sospetti a riguardo. E sia chiaro, se il gioco fosse eccelso in ogni altro aspetto saremmo più che disposti a passare sopra anche a mancanze tecniche di questa portata, ma abbiamo già precisato che non è così; Slitterhead è chiaramente un videogioco che ha dovuto sacrificare molto durante lo sviluppo, e nel farlo non è riuscito a far brillare le allettanti idee di chi lo ha creato.
Conclusioni
Slitterhead è un grande spreco. Molti dei concetti alla base del gioco sono brillanti e dimostrano come Toyama sia ancora oggi un creativo capace di sperimentare e creare titoli fuori dal comune, ma è evidente come, privato delle risorse di un tempo e costretto a ripartire da un nuovo team, non sia stato in grado di dare degnamente forma alla sua visione iniziale. L'opera prima di Bokeh Game Studio è, a nostro parere, comunque sufficiente grazie alla sua originalità e ad alcuni aspetti piuttosto riusciti; peccato che non sia nulla più di questo.
PRO
- Narrazione fuori di testa, ma interessante e non priva di momenti validi
- Idee alla base del gioco davvero interessanti
- Sistema di combattimento piuttosto unico
CONTRO
- Rozzo nelle meccaniche, con parecchi sbilanciamenti nella difficoltà
- Tecnicamente terribile, sembra di due generazioni fa
- Campagna mal strutturata e con diversi momenti ripetitivi