Esiste una sottile linea che divide le buone idee dalle buone realizzazioni. Presentato ormai diversi anni fa, Agony si prefissava di ridefinire il concetto di horror moderno, offrendoci una versione estremamente curata dell'Inferno (basata a metà tra Dante e i dipinti del polacco Beksinski). Tutto molto interessante, se non fosse che il risultato finale si presenta come un qualcosa di totalmente insensato e scollegato, con sezioni che non hanno nessuna ragione di esistere e una campagna tutta mortalmente uguale e senza alcun tipo di mordente, andando a ledere anche un art design che passa dall'intrigante all'anonimo nel giro di pochi minuti.
Ti porto all'inferno con me
Vorremmo essere in grado di dirvi che, almeno dal punto di vista narrativo, Agony è capace di regalare bei momenti nel corso della sua campagna. Purtroppo invece, complice un gameplay al limite del commercializzabile, si risolve in scene dal senso poco compiuto che portano a vivere un viaggio attraverso alcune delle zone più iconiche dell'Inferno. Se questo non fosse già abbastanza, le (poche) scelte multiple presenti, decantate come utili a scoprire importanti risvolti narrativi, danno vita a discussioni pompose e retoriche, che avrebbero anche il loro senso, se non fossero instillate in una progressione che perde completamente il lume della ragione dopo la prima manciata di minuti. A fare da corollario ci pensa una progressione poco chiara e una serie infinita di documenti che, pur restando tra le cose più interessanti del titolo, non bastano a mitigare la confusione generale di un progetto davvero pasticciato. I problemi produttivi devono aver verosimilmente contaminato anche la buona riuscita di una campagna che poteva certamente essere interessante, ma che per assurdo trova nel suo contenuto extra (la sessioni nei panni della succube) i momenti più validi e, probabilmente, quelli che meno hanno risentito dei tagli e delle censure. Il viaggio nei panni di un'anima dannata alla ricerca della salvezza è quindi totalmente fallito, tra demoni fiacchi e ripetitivi e la ricerca di una risposta al "chi siamo" che sostanzialmente non arriva mai, se non per una vostra interpretazione che ad un certo punto vi obbligherete a trovare pur di giustificare le ore perse a cercarla. A concludere in bellezza un quadretto straordinario, ci pensa un finale talmente insensato da ricordare a tratti quello di Firewatch, che però aveva dalla sua un viaggio decisamente più riuscito.
Corri, fai silenzio, ripeti
Veniamo al nocciolo della questione: il gameplay. Agony tenta disperatamente di unire la progressione degli ormai inflazionati walk simulator, ad una componente stealth che funziona con la stessa efficienza degli orari dei treni del Bel Paese. Nel corso della sua durata (estremamente variabile, tra le cinque e le dieci ore in base a quanti collezionabili ricercherete e soprattutto a quante volte vi perderete), Agony vi porterà ad attraversare stanze e corridoi dell'Inferno presidiati da altri martiri, ai quali attingere in caso di morte, e da una schiera poco nutrita di demoni, che non modificheranno il loro modo di comportarsi per l'intera durata del titolo e che vi richiederanno semplicemente di restare accucciati e trattenere il respiro per non essere individuati. Come se la ripetitività di queste azioni non fosse sufficiente, la meccanica reiterata di andare alla ricerca di sigilli disegnati su alcune pareti, con lo scopo di essere poi riprodotti su tavole che aprono la successiva porta, rappresenta la ciliegina su una torta che rischia di risultare indigesta ben prima delle battute finali. Anche la simpatica trovata adottata dopo la morte, ovvero la possibilità di volteggiare con la vostra anima alla ricerca di altri martiri o degli stessi demoni da possedere, risulta "impreziosita" da una quantità tale di bug che spesso vi ritroverete a ricaricare la partita senza nemmeno aver compreso cosa sia realmente accaduto.
La morte vera e propria poi è gestita tramite una serie di checkpoint a volte troppo vicini e a altre estremamente lontani, che per di più vivono la fastidiosa meccanica del conto dei decessi. Una volta utilizzato lo stesso checkpoint per tre volte, sarete obbligati a tornare a quello precedente, con la conseguenza di ripercorrere zone già visita, snaturando ancor di più una progressione già di per se tediosa e poco stimolante. A complicare ulteriormente le cose ci pensano degli ambienti sempre uguali a loro stessi e una serie di strade alternative utili unicamente all'accumulo sfrenato di collezionabili e a perdersi totalmente per le via dell'Inferno. Proprio a fronte di questo, consigliamo anche ai più stoici di avvalersi della possibilità di utilizzare, quante volte volete, il tracciante che vi darà la giusta direzione. Da segnalare anche la modalità Agonia: affrontarla significa mettersi di fronte a stanze generate proceduralmente, all'interno delle quali sarete chiamati a sopravvivere il più a lungo possibile, uccidendo quanti più demoni sarete in grado. Peccato che anche il sistema che gestisce questa meccanica faccia acqua da tutte le parti: non capiterà di rado, infatti, di ritrovarsi con labirinti che finiscono esattamente accanto a dove siete entrati.
Vado a cena da Satana
Dal punto di vista tecnico Agony si conferma un titolo che vive di poche luci e tantissimi momenti scuri, diremmo quasi al buio, per essere più chiari e diretti. Se qualcuno di voi ricorda i bellissimi primi trailer rilasciati, nei quali si poteva ammirare un comparto tecnico interessante e la possibilità di vivere la migliore trasposizione videoludica degli inferi, il prodotto finale è ben lontano da questo risultato. Tra texture ballerine, modelli poco dettagliati, animazioni così così e un'oscurità dilagante, difficilmente riuscirete a fare caso a qualcuno degli interessanti scorci del gioco. Al contrario vi resteranno impressi nella mente un frame rate poche volte così ballerino, che mai tocca i 30 frame al secondo e spesso cala fino a quasi a bloccarsi per frazioni di secondo; e la più unica che rara possibilità di ammirare un fastidiossimo tearing anche su una versione console di un titolo. Anche il comparto audio, che gode invero di un discreto doppiaggio in inglese, è minato da una prossimità perennemente ingannatrice, cosa che in uno stealth game risulta difficilmente perdonabile. Non pervenuta una colonna sonora che a fatica riusciamo anche solo a ricordare, nonostante la scrittura di queste righe a poche ore dall'ultimo test pad alla mano.
Conclusioni
Agony riflette un problema molto presente nel mondo dei videogiochi di oggi: un titolo attesissimo e pompato all'inverosimile tramite trailer assolutamente ingannevoli e promesse mai mantenute. Non c'è la blasfemia che tutti speravamo, né tanto meno una trama epica e ricca di simbolismo. Non sono sufficienti quattro nomignoli e un paio di riferimenti biblici per fare di un disastro come questo il titolo che sarebbe dovuto essere. Siamo sinceramente dispiaciuti di dover esprimere un giudizio così negativo e di affossare in questo modo anni di lavoro di un intero team, ma il nostro obiettivo è giudicare e dare un'idea a voi lettori di quello che vi troverete di fronte. Agony, sotto questo aspetto, rappresenta quanto di peggio si possa desiderare e consigliamo a tutti di tenere in tasca i propri soldi, attendendo magari un nuovo gioco dello stesso team, sperando che questa volta si riuniscano almeno una volta a settimana per comprendere in che direzione muoversi.
PRO
- Artisticamente regala comunque qualche scorcio interessante
CONTRO
- Tutto il resto non funziona come dovrebbe