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In viaggio con la scimmia

Arriva il momento di giocare l'avventura di Monkey e Trip, protagonisti del nuovo gioco dei Ninja Theory.

RECENSIONE di Antonio Jodice   —   06/10/2010
Enslaved: Odyssey to the West
Enslaved: Odyssey to the West
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Versione testata: PlayStation 3 e Xbox 360

Enslaved: Odyssey to the West ha impiegato un po' di tempo a porsi sotto i riflettori del palcoscenico del mondo dei videogiochi. All'inizio era, semplicemente, il nuovo lavoro dei Ninja Theory, quei ragazzi di Cambridge che con Heavenly Sword avevano destato molto interesse con un titolo dall'ottima veste grafica, ma piagato da troppa brevità, per mantenere le altissime aspettative che s'erano create d'intorno. Questa volta è accaduto un po' il contrario, con un gioco che attraverso una serie di prove ha saputo farsi largo nell'immaginario di giornalisti e giocatori, sempre baciato da una cura artistica e un'attenzione per lo stile che, a quanto pare, contraddistingue ogni produzione dei Ninja Theory.

In viaggio con la scimmia

Enslaved: Odyssey to the West, sin dalle premesse, è un progetto ambizioso visto che è la trasposizione action di quello stesso racconto, Viaggio in Occidente di Wu Cheng'en, da cui sono state tratte mille varianti, non ultima il Dragon Ball di Akira Toryiama. Solo che questa volta la novella viene piegata all'estro di personaggi umani verosimili, carichi di emozioni, che si muovono in un futuro devastato dai postumi di una guerra nucleare, in cui una minacciosa congrega di schiavisti setaccia quel che resta degli uomini sopravvissuti per rapirli e soggiogarli a un volere misterioso.

Monkey e Trip

Enslaved: Odyssey to the West si apre con i due protagonisti intrappolati a bordo di una delle navi degli schiavisti, almeno fino a quando Trip, eroina con la capacità di manipolare anche le tecnologie più complicate, non causa un sovraccarico d'energia che libera anche Monkey, il guerriero protagonista attivo del gioco. Dopo una fuga rocambolesca, entrambi finiscono in una New York coperta da una foresta vergine e completamente deserta, se non per i mortali robot disseminati ovunque, che da tempo si sono rivoltati contro i loro creatori, uccidendoli a vista. Tutta l'avventura è basata sulla dicotomia tra i due eroi, con Trip che è troppo debole per riuscire a sopravvivere al viaggio che la separa dal raggiungimento del villaggio del padre, da cui è stata rapita, e che quindi manipola una delle fasce di cui si servono gli schiavisti per soggiogare gli umani per far sì che Monkey le sia legato indissolubilmente. Se Trip muore, Monkey muore. Dietro la promessa di liberarlo una volta giunta a destinazione, comincia un viaggio che passa attraverso belle ambientazioni, momenti emotivamente toccanti, anche divertenti, e l'incontro di personaggi strampalati.

In viaggio con la scimmia

Per chi se lo ricorda, infatti, nella novella oltre alla scimmietta e al monaco Buddista (che qui è la bella Trip) c'era anche un maiale, che qui diventa il cecchino Pigsie, la cui figura ben presto si risolve nel contraltare ironico del trio, alleggerendo atmosfere altrimenti troppo drammatiche. Senza voler raccontare oltre di uno degli aspetti meglio riusciti di Enslaved: Odyssey to the West, ovvero la cura con cui sono costruite le relazioni tra i suoi personaggi.
Il giocatore controlla direttamente Monkey, a cui sono affidati tutti i combattimenti e le interazioni con il fondale, nel quale sono disseminate una serie di sfere rosse che servono per accumulare i crediti necessari per svilupparne le abilità, divise tra la potenza dello scudo, l'efficacia del bastone energetico, che spara anche colpi stordenti e al plasma, lo sblocco di una serie di mosse sempre più potenti e l'aumento dell'energia vitale. Trip lo segue a ruota attraverso i livelli, chiedendo d'essere aiutata solo quando si tratta di raggiungere parti più elevate o attraversare baratri troppo profondi, facendosi letteralmente lanciare per superarli. Può anche essere presa in collo in qualsiasi momento e non solo quando la conformazione delle mappe lo richiede, così che ben presto si crea un vero e proprio legame tra chi gioca e i nostri eroi. Premendo L1 si attiva un sotto menu con cui impartire dei semplici ordini a Trip, che può richiamare su di sé l'attenzione dei nemici, permettendo a Monkey di avanzare non notato dai robot, e attivare per suo conto leve e ingranaggi necessari per risolvere i puzzle ambientali che costituiscono uno degli elementi intorno a cui ruota tutto il gameplay.

In viaggio con la scimmia

Curiosità

Enslaved: Odyssey to the West è ricco di citazioni allo steampunk, un genere letterario sviluppatosi principalmente negli anni '80 nato intorno all'idea di un futuro alternativo in cui marchingegni d'epoca vittoriana, a vapore, si evolvevano verso innovazioni immaginifiche, spesso in un mondo devastato da cataclismi, partendo dalle visioni tecnologiche antecedenti di scrittori come Giulio Verne. Uno degli autori che consigliamo, a chi si innamorasse di quest'atmosfera, è Tim Powers, esponente di punta del movimento che ha influenzato persino la saga di Final Fantasy, con due romanzi: Le Porte di Anubis, vero capolavoro del genere, e Invito al Palazzo del Deviante. Sono di difficile reperibilità, ma soprattutto il secondo sembra una versione letteraria del gioco, per ambientazione e l'aria che vi si respira.

Combattimenti, platform e puzzle

Gli scontri coi robot sono uno dei momenti cardine di Enslaved: Odyssey to the West. Monkey ha a disposizione una serie di colpi a mani nude e delle combo che effettua intervallando l'utilizzo del bastone energetico che, quando si illumina, può rilasciare una mossa ruotata devastante. I robot sono in grado di pararsi, e col bastone, tenendo premuto il quadrato per il tempo necessario, si carica un colpo stordente che ne apre la guardia permettendo di infilare un pugno dietro l'altro. Salendo di livello, si sblocca una schivata, un contrattacco e la possibilità di usare il bastone come un vero e proprio fucile da cecchino, in grado di sparare colpi perforanti al plasma e proiettili stordenti, visto che al semplice picchiaduro si alternano sezioni in cui è fondamentale ripulire il fondale stando a debita distanza dai nemici. L'intelligenza artificiale dei robot è purtroppo bassa, visto che si limitano quasi esclusivamente a venire sotto e farsi riempire di legnate. Insomma, per essere un beat'em up per gran parte del tempo, Enslaved: Odyssey to the West non offre una grande sfida e a fine avventura le morti durante gli scontri si possono contare sulla punta delle dita di una mano... di Pigsie, che, da buon maiale, di dita ne ha solo tre. Diverso il discorso con i boss di fine livello, da affrontare ognuno con una tattica specifica e che richiedono uno studio attento del fondale e dei suoi elementi. Cosa che, comunque, si riesce a fare dopo pochi tentativi.
Su questa struttura si impiantano sezioni di guida, spettacolari e coreografiche, a bordo della nuvola energetica di Monkey, una sorta di overboard, e lunghe sequenze di platform. Anche qui, come durante gli scontri quando la telecamera evidenzia con il bullet time la fine di una combo, il lavoro svolto sulle inquadrature è quasi sempre magistrale, visto che le evoluzioni di Monkey tra pali, strapiombi e strutture sempre più giganti lasciano più volte con una bella sensazione di meraviglia. Per favorire questo fluire continuo di salti e capriole, il team ha scelto di rendere evidenti con un lampeggio gli elementi del fondale a cui aggrapparsi, tanto che basta premere la croce e l'analogico nella direzione di uno di questi per vedere Monkey saltare senza possibilità d'errore. Insomma, tranne un paio di casi in cui c'è un limite temporale per superare le varie sezioni, non si può morire fallendo un appiglio o saltando nella direzione sbagliata. Questo porta il giocatore, alla lunga, a concentrarsi unicamente sulla spettacolarità dell'azione, mentre si preme in continuazione il pulsante del salto, dirigendo distrattamente Monkey verso il punto dello stage dove è verosimile che debba spostarsi. Tranne le volte in cui bisogna coordinarsi con Trip per l'azionamento delle leve con le quali risolvere i puzzle ambientali che cadenzano il proseguire dell'avventura.
Nonostante questa bassa difficoltà, non si può certo dire che Enslaved: Odyssey to the West sia un gioco corto, visto che i livelli sono ben 14 e che per finirlo a normale occorrono circa dieci ore. Quel che conta, poi, è la qualità di questo tempo. Tenendo presente la la varietà delle ambientazioni e i continui cambi di ritmo e di situazioni che Ninja Theory propone, difficilmente chi gioca sentirà il bisogno di abbandonere l'avventura senza averla finita. Dopo di che resta il livello di difficoltà più alto, il completo potenziamento di Monkey e la raccolta di una serie di item nascosti, di cui preferiamo non parlare per non rovinarvi in niente il finale.

Trofei PlayStation 3

Non va male neanche sotto il profilo della raccolta dei trofei, visto che alla fine del gioco ci siamo trovati con più del 40% delle coppe raccolte, cercando di raccogliere quante più sfere energetiche possibile e cercando di realizzare tutte le sfide basate sui combattimenti, come l'uccidere un certo numero di nemici con una mossa piuttosto che con un'altra. Il Platino è un discorso più complesso, visto che vanno raccolte tutte le sfere e tutti gli oggetti nascosti, senza contare il dover finire il gioco anche a difficile.

Personaggi con autore

Enslaved: Odyssey to the West è un gran bel gioco da vedere, c'è poco da dire. Il motore che muove le animazioni dei personaggi e le loro espressioni facciali è oramai un marchio di fabbrica dei Ninja Theory e, pur avendo trasportato i tool che ne sono alla base all'interno dell'Unreal Engine 3, il passaggio è avvenuto senza alcun trauma. Colorato, con paesaggi vari e pieni di dettagli, pur con gli ormai noti limiti che si è imparato a conoscere dell'engine di Epic sotto il profilo dell'interazione coi fondali, non sono pochi i momenti in cui lascia il giocatore a gustarsi ogni scorcio e inquadratura.

In viaggio con la scimmia

Soprattutto su PlayStation 3 però ci sono problemi di fluidità, anche durante le scene d'intermezzo in cui l'inquadratura si allarga per delle panoramiche dove si fa notare la mancanza di Vsync (la sincronia verticale che, quando non c'è, spezza a metà le videate ndr). Le cose vanno meglio su Xbox 360, ma si rovina un po' il lavoro svolto dal team, che è altrimenti riuscito a infondere vera e propria linfa vitale in una serie di personaggi a cui non ci si può non affezionare. Questo anche grazie al grande impegno profuso nella caratterizzazione e nei dialoghi, ben doppiati in italiano, e che, unitamente al commento sonoro vanno a chiudere un pacchetto davvero buono sotto tutti i punti di vista.

Conclusioni

Multiplayer.it
8.4
Lettori (307)
8.4
Il tuo voto

Un'ottima ambientazione, diverse idee interessanti e una grande cura per il dettaglio descrittivo fanno di Enslaved: Odyssey to the West il gioco più riuscito nella storia di Ninja Theory. Il team di Cambridge continua a voler coniugare l'azione più pura con una narrativa di spessore e una ricerca sulla psicologia dei personaggi che ricorda più il mondo delle avventure che quello degli action. Non fosse per qualche sbavatura tecnica e per un livello di sfida che è tarato troppo verso il basso, limitando il potenziale delle diverse situazioni di gioco, l'avventura di Monkey e Trip avrebbe tutto il necessario per darle di santa ragione ai migliori esponenti del genere. Anche così, soprattutto affrontandolo da subito al livello di difficoltà più impegnativo, Enslaved: Odyssey to the West è un titolo che sarete felici d'aver giocato e vissuto tutto d'un fiato.

PRO

  • Personaggi a tutto tondo
  • L'ambientazione
  • La dinamicità dell'azione
  • Grande varietà di situazioni

CONTRO

  • Combattimenti poco impegnativi
  • Fasi platform quasi solo coreografiche
  • Qualche problema di fluidità